ANTONIETTA MEO
di L. Borriello
Il 3 luglio 1937 muore a
Roma una bambina di circa sette anni: Antonietta Meo, conosciuta come
Nennolina. Era nata il 15 dicembre 1930. Dotata di
una natura pronta e incline al bene, trova nell’ambito familiare un clima di
serenità pieno di amore che ne favorisce il rapido sviluppo della virtù.
La sua
è una vita apparentemente normale di una bimba romana che a tre anni va
all’asilo, a cinque è iscritta come piccolissima alla Gioventù Femminile di
Azione Cattolica, a sei anni inizia la prima elementare e, intanto, diviene
beniamina della Gioventù Femminile.
Ma la
normalità dura poco: il 1 aprile 1936 le viene diagnosticata una sinovite al
ginocchio sinistro che, ad una successiva diagnosi, si rivela sarcoma. Il 25
aprile le si amputa la gamba sinistra. Offre con piena consapevolezza tutta le
sue atroci sofferenze per il Papa, i missionari e i bambini dell’Africa nera.
Nel settembre del ‘36, torna a scuola con una protesi, ma non sa ancora
scrivere; per questo chiede alla mamma di scrivere per lei delle letterine a
Gesù, alla Madonna, a Dio Padre. Qualche volta deve scrivergliele la sorella
più grande; di solito, però, è la mamma che a sera scrive su fogli di fortuna,
fogli posti sotto la statua di Gesù così “di notte lui li avrebbe letti”.
L’amputazione
della gamba della piccola non serve, però, a bloccare il tumore, perché il 24
luglio le si devono tagliare tre costole: il sarcoma ha colpito i polmoni e
impedisce la respirazione alla bambina. Ma neppure questo doloroso ultimo intervento
serve a guarire Antonietta che, il 3 luglio del ‘37, a soli sette anni
raggiunge il suo amico Gesù.
Nel
dicembre del ‘38, il padre vuole che la gambina amputata e sepolta al Verano
venga ricongiunta alla salma: dopo trentuno mesi dall’amputazione e sedici
dalla morte di Antonietta, l’arto viene trovato completamente intatto. Richiuso
in una cassettina è posto accanto alla cassa con il corpo.
Questo
fenomeno, insieme a visioni ed estasi accertate, nonché alla predizione precisa
della morte - “In clinica resterò dieci giorni meno qualcosa” - fanno pensare
ad un intervento straordinario di Dio nella vita di questa bimba, che
rappresenta una vera e propria tipologia di esperienza mistica. Infatti, il 16
ottobre del ‘36 Antonietta afferma: “Vedo la Madonna non il quadro” e nel
gennaio del ‘37: “Io delle volte vedo Gesù” - soggiunge la mamma: “E come lo
vedi?” - Antonietta: “In croce”. Nel marzo del ‘37: “Ieri ho visto Gesù
risorto”. Poi Gesù non si fa più vedere e Antonietta scrive: “Caro Gesù io desidero
tanto di vederti e vorrei che tutti potessero vederti allora sì che ti
vorrebbero più bene” (9.4.’37).
Il 2
luglio del ‘37, dopo l’ultima Comunione, confida alla mamma: “L’ho veduto
questa mattina quando ho fatto la Comunione”. Un giorno del maggio ‘37, mentre
detta una delle sue letterine, Antonietta si ferma come per incanto; la mamma
la scuote e quando la piccola rientra in sé dice: “Sai ho visto Gesù
nell’angolo della stanza”.
Il 2
ottobre 1942, il Centro Nazionale della Gioventù Femminile dell’Azione
Cattolica Italiana si costituisce promotore della causa di beatificazione. Dopo
che l’eroicità delle virtù viene accertata dal processo diocesano di
beatificazione, nel 1981 la causa passa a Roma.
Ci
sono pervenute 158 Letterine, di cui sette autografe, ma molte altre, e non si
sa quante, sono andate perdute perché non si dava importanza alla cosa. Sono
fatte di pensieri staccati e spesso sgrammaticati come quelli dei bambini.
Eppure dietro queste parole così semplici che rivelano un dialogo d’amore con le
divine Persone, dietro l’incerta grammatica e il dettato spoglio ed elementare,
s’intravede, come in filigrana, l’intensità di un amore che è conoscenza
esperienziale e che fa, quindi, pensare subito alle parole di Gesù: “Ti
benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste
cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).
Padre Garrigou Lagrange così si è espresso circa l’esperienza mistica di
Antonietta: “Lo studio che ho fatto della vita di questa fanciulla eroica mi ha
condotto alle stesse conclusioni del Rev.mo P. Gemelli e del Rev.mo P.
Pierotti”.
di Stefania Falasca
“Vi
saranno santi fra i bambini!” esclamò san Pio X quando aprì loro i tabernacoli
eucaristici, anticipando l’età per ricevere il sacramento della comunione. Ma
forse non immaginava che questo si sarebbe avverato così presto. “Caro Gesù
Eucarestia, sono tanto, proprio tanto contenta che tu sei venuto nel mio cuore.
Non partire più dal mio cuore resta sempre, sempre con me. Gesù io ti amo
tanto, io mi voglio abbandonare nelle tue braccia e fa di me quello che tu
vuoi. […] O Gesù amoroso dammi anime, dammene tante!”. Chi scrive è una
bambina. Una bambina di appena sei anni. La grafia e gli errori sono quelli di
chi ha da poco imparato a usare la penna. Si chiama Antonietta Meo, per i suoi:
Nennolina. Quando scrive questa letterina
indirizzata al suo “caro Gesù” ha da poco ricevuto la prima comunione e la
malattia che da tempo la divora le è già costata l’amputazione di una gamba.
Morirà a Roma tre mesi più tardi stroncata da un cancro alle ossa. È il 3
luglio 1937. Nennolina ha solo sei anni e mezzo. Eppure conversioni e grazie
accompagneranno la sua morte. Bigliettini di preghiere e di ringraziamenti ricopriranno
la sua tomba al Verano. Nel breve giro di un anno vengono pubblicate due sue
biografie. La fama di santità di Nennolina si diffonderà tanto spontaneamente e
immediatamente da oltrepassare non solo i confini della sua parrocchia di Santa
Croce in Gerusalemme, ma anche i confini di Roma e d’Italia. Già nel 1940
compaiono sue biografie in lingue straniere, persino in armeno. Il processo di
beatificazione verrà aperto nel 1942 e la fase diocesana si concluderà nel
1972. Ma proprio il motivo dell’età, trovandosi al limite di quella che è
considerata l’età della ragione, ha creato perplessità in quanti si sono
trovati ad esaminare il suo caso e non poche difficoltà nello svolgimento del
processo. Anche se nessuna legge canonica determina infatti i limiti d’età di
coloro per i quali si vuole istituire il processo di beatificazione, solamente
nel 1981, attraverso la Dichiarazione della Sacra Congregazione delle cause dei
santi, la Chiesa ha pienamente riconosciuto che anche i bambini possono
compiere atti eroici di fede, speranza e carità, e possono pertanto essere
elevati all’onore degli altari.
Una
fondazione intitolata ad Antonietta Meo è ora in procinto di essere aperta
nella parrocchia di Santa Croce in Gerusalemme. E, proprio qui, nella Basilica
che custodisce le reliquie della Passione di Gesù, tra breve saranno traslate
anche le sue spoglie mortali. Se il processo si svolgerà speditamente, questa
bambina romana sarà presto la più giovane santa, non martire, elevata agli
onori degli altari, la più giovane nella storia della cristianità.
Antonietta
nasce il 15 dicembre 1930 in una famiglia benestante di Roma. La casa della
famiglia Meo è a pochi passi da Santa Croce in Gerusalemme. Margherita, la sua sorella
maggiore, ci mostra le foto di Nennolina: capelli tagliati alla paggetto e due
ridenti occhioni neri, secchiello e paletta mentre gioca con i bambini al mare…
In una foto si diverte in barca sul laghetto di villa Borghese, in un’altra
sorride con il costume di carnevale… “Mia sorella” ricorda “era una bambina
allegra, vivacissima e birichina, come lo sono i bambini a quell’età”. A tre
anni, nell’ottobre del ‘33, viene iscritta all’asilo delle suore a due passi da
casa. “Ci andava volentieri” racconta la sorella “e spesso quando giocavamo
insieme mi diceva: “Io a scuola mi diverto tanto… ci andrei anche la notte!”.
Si affezionò subito alla maestra e le suore dicevano a mia madre: “È il moto
perpetuo! Ma è molto sveglia e impara subito. È una bambina matura per la sua
età”“. Non aveva ancora compiuto cinque anni quando i suoi notano un
rigonfiamento al ginocchio sinistro, pensano ad una delle sue solite cadute.
Dopo qualche diagnosi e cure sbagliate la sentenza: osteosarcoma. Il 25 aprile
del ‘36 le viene amputata la gamba. Il colpo fu tremendo. Ma più per i genitori
che per Antonietta, che, superato il primo periodo, nonostante l’intervento e
le difficoltà provocate dall’apparecchio ortopedico, continua la sua vita di
sempre: i giochi, la scuola. I suoi genitori, con grande contentezza della
bambina, decisero di anticipare la data per farle fare la prima comunione e
così, alla sera, la mamma le iniziò a fare un po’ di catechismo. È da questo
momento che Antonietta comincia dapprima a dettare alla mamma e poi a scrivere
le sue letterine che ogni sera metterà sotto una statuina di Gesù Bambino ai
piedi del suo lettino “perché lui di notte venisse a leggerle”. “Iniziò per
gioco”, così sua madre testimonia al processo, “quando suggerii ad Antonietta
di scrivere una letterina alla madre superiora delle suore sue educatrici per
domandarle il permesso di fare la prima comunione nella loro cappella la notte
di Natale. Così, poi, spesso la sera, dopo aver detto la preghiera all’angelo
custode, Antonietta prese l’abitudine di dettarmi delle “poesie” (così le
chiamava lei) prima per me, poi per il papà e Margherita, poi a Gesù e alla
Madonnina. Prendevo il primo pezzo di carta che mi capitava sotto mano e non
facevo che scrivere sotto dettatura, sorridendo, indulgente a quello che mi
dettava con tanta semplicità e sicurezza”.
La
prima letterina è datata 15 settembre 1936: “Caro Gesù, oggi vado a spasso e
vado dalle mie suore e gli dico che voglio fare la prima comunione a Natale.
Gesù vieni presto nel mio cuore che io ti stringerò forte forte e ti bacerò. O
Gesù, voglio che tu resti sempre nel mio cuore”. E dopo qualche giorno: “Caro
Gesù, io ti voglio tanto bene, te lo voglio ripetere che ti voglio tanto bene.
Io ti dono il mio cuore. Cara Madonnina, tu sei tanto buona, prendi il mio
cuore e portalo a Gesù”. Ma c’era anche qualcosa di davvero non comune per una
bambina di cinque anni: “Mio buon Gesù, dammi delle anime, dammene tante, te lo
chiedo volentieri, te lo chiedo perché tu le faccia diventare buone e possano venire
con te in Paradiso”. E questo Antonietta lo ripeterà moltissime volte.
“Vedevo
che la bambina sapeva esprimersi molto più di quello che mi aspettavo. Ma credo
inutile dire” precisa la madre “che in casa non si dava la minima importanza a
queste letterine che andavano messe via senza riguardo e delle quali molte sono
andate perse”. Questa noncuranza della madre è confermata dalla sorella di
Antonietta. “Mia madre” ricorda “era una donna riservata, prudente, concreta,
una donna coi piedi per terra insomma, non era certo una sentimentale o una
credulona. A certi facili entusiasmi tagliava corto: “Guardi, io ai santi non
credo se non quando la Chiesa li ha canonizzati”. Tendeva sempre a minimizzare
gli elogi che si facevano di Antonietta e non le piaceva quando si parlava di
lei idealizzandola. Ricordo che poco dopo la morte di mia sorella, un sacerdote
tenne alla radio una conferenza sul senso della sofferenza e parlò anche di
Antonietta. La mamma non ne fu affatto contenta, anzi. Commentò che si trattava
di travisamenti, di esagerazioni. Dissero che Antonietta declamava il suo amore
a Gesù con larghi gesti… “Ma cosa! No, mai!” ribatté la mamma. Dissero che Gesù
fu la prima parola pronunciata da Antonietta. E lei: “No. Mamma, ha detto
mamma! Come tutti i bambini!”“.
Appena
Nennolina impara a usare la penna, andando in prima elementare, volle però
mettere da sé la firma: “Antonietta e Gesù”. “Mio caro Gesù, oggi ho imparato a
fare la “O”, così presto ti scriverò da me”. Antonietta si rivolge a Gesù e a
Maria con tenerezza confidenziale. Le sue letterine termineranno sempre con
abbracci, carezze, baci rivolti a suoi destinatari celesti. E di questa tenera
confidenza sono testimoni anche le suore, quando non poche volte hanno visto la
bambina prima di uscire dalla chiesa, avvicinarsi al tabernacolo ed esclamare:
“Gesù vieni a giocare con me!”. Lo scriverà anche nelle letterine desiderando
di averlo sempre vicino: “Caro Gesù, domani vieni a scuola con me”.
Nei
mesi che la separano dalla notte di Natale le sue letterine esprimeranno tutto
il suo amore per Gesù e l’ardente desiderio di riceverlo nel suo cuore. Sono un
continuo scandire lo stesso pensiero fino a contare i giorni, le ore, i minuti.
La forma delle letterine è ripetitiva e i pensieri procedono staccati, come
avviene nel modo di esprimersi proprio dei bambini, ma sotto la forma infantile
il pensiero non è banale, mai puerile. Alla vigilia della prima comunione, così
detta alla madre: “Caro Gesù, domani quando sarai nel mio cuore, fai conto che
la mia anima fosse una mela. E, come nella mela ci stanno i semi, dentro
all’anima mia fai che ci sia un armadietto. E, come sotto la buccia nera dei
semi ci sta dentro il seme bianco, così fa che dentro l’armadietto ci sia la
tua grazia, che sarebbe come il seme bianco”. A questo punto la mamma
l’interrompe: ““Ma Antonietta cosa dici! Cosa significa questo dentro, che sta
dentro? Cosa vuoi dire?”. Tentai invano di dissuaderla. Infine Antonietta mi
spiegò: “Senti mamma: fai conto che l’anima mia sia una mela. Dentro alla mela
ci sono quei cosini neri che sono i semi. Poi dentro alla buccia dei semi c’è
quella cosa bianca? Ebbene fai conto che quella sia la grazia”“. “Trovai”
continua la madre “che il paragone, che io non conoscevo, era profondo, ma non
volli darmi per vinta e perciò ripresi: “Ma queste cose chi te le ha dette? La
maestra a scuola ha preso la mela per farvi capire…” “No, mamma” rispose
candidamente, “non me l’ha detto la maestra, l’ho pensato io”. Poi completò il
suo pensiero: “Gesù fa che questa grazia la lascerai sempre, sempre con me”“.
Quella notte di Natale, nonostante l’apparecchio ortopedico le provocasse
dolore, i presenti la videro alla fine della messa rimanere per più di un’ora
in ginocchio, ferma, le manine giunte.
A Gesù
Antonietta scriverà 1O5 letterine, altre ne indirizzerà a Maria, a Dio Padre,
allo Spirito Santo, una a santa Agnese e una a santa Teresa del Bambin Gesù. A
Gesù chiederà sempre l’aiuto della sua grazia: “Oggi ho fatto un po’ di
capricci, ma tu Gesù buono, prendi in braccio la tua bambina…”; “ma tu aiutami
che senza il tuo aiuto non posso fare niente”; “tu aiutami con la tua grazia,
aiutami tu, che senza la tua grazia nulla posso fare”; “ti prego, Gesù buono,
conservami sempre la grazia dell’anima”. A Lui e alla Sua mamma non cesserà di
chiedere grazie, per quelli che le sono vicini, per quanti si raccomandano alle
sue preghiere e per i peccatori: “Ti prego per quell’uomo che ha fatto tanto
male”; “ti prego per quel peccatore che tu sai, che è tanto vecchio e che sta
all’ospedale di San Giovanni”.
“Ecco
l’opera mirabile di Dio!” scrive a commento delle letterine padre Pierotti, che
per primo ne curò l’edizione: “La grazia di Dio sceglie le anime come vuole […].
Solo così si spiegano le frasi, i giochi, gli atteggiamenti, la vita tutta di
Nennolina”.
“Davvero
il Signore ludit in orbe terrarum” esclamò il futuro Paolo VI, allora
segretario di Stato, nel leggere la biografia e le lettere di Antonietta Meo,
“e, operando nelle anime per le vie più misteriose, conceda a molti di
penetrare, attraverso la lettura della vita di questa bambina non ancora
settenne, il mistero di quella sapienza, che si nasconde ai superbi e si rivela
ai piccoli”.
A
maggio Antonietta riceve la cresima. Sono ormai gli ultimi giorni della sua
vita. Così racconta la madre: “Dopo la cresima Antonietta cominciò
progressivamente a peggiorare. L’affanno e la tosse non le lasciavano tregua.
Non riusciva più neanche a tenersi seduta e fu costretta a letto. Si vedeva che
soffriva, ma a tutti, compresa me, diceva sempre: “Sto bene!”. Magari a stento,
ma volle sempre recitare le sue solite preghierine del mattino e della sera.
Chiese poi che il sacerdote le portasse la comunione tutti i giorni, e le ore
che seguivano la comunione erano sempre più calme. […] Appena poteva mi
chiedeva anche di scrivere le sue letterine”. L’ultima è datata 2 giugno. E
sarà questa lettera a finire nelle mani di Pio XI. Così ricorda la madre: “Mi
sedetti accanto al suo letto e scrissi quello che Antonietta a fatica mi
dettava: “Caro Gesù crocefisso, io ti voglio tanto bene e ti amo tanto! Io
voglio stare con te sul Calvario. Caro Gesù, di’ a Dio Padre che amo tanto
anche lui. Caro Gesù, dammi tu la forza necessaria per sopportare questi dolori
che ti offro per i peccatori”. “A questo punto” dice la mamma “Antonietta fu
presa da un violento attacco di tosse e di vomito ma appena cessato volle
ugualmente continuare a dettare: “Caro Gesù, di’ allo Spirito Santo che
m’illumini d’amore e mi riempia dei suoi sette doni. Caro Gesù di’ alla
Madonnina che l’amo tanto e voglio starle vicina. Caro Gesù ti voglio ripetere
che ti amo tanto tanto. Mio buon Gesù ti raccomando il mio padre spirituale e
fagli le grazie necessarie. Caro Gesù ti raccomando i miei genitori e
Margherita. La tua bambina ti manda tanti baci…”. Mi sentii all’improvviso
prendere da un moto di ribellione nel vedere quanto soffriva e con uno scatto
di rabbia accartocciai quel foglio e lo gettai in un cassetto. Qualche giorno
dopo” racconta “venne a visitare Antonietta il professor Milani, archiatra
pontificio, chiamato dal dottor Vecchi per un consulto. Disse che la bambina
era molto grave e che doveva essere riportata in clinica per essere nuovamente
operata. Il professore restò a parlare con la bambina e si stupì per i dolori
che Antonietta sopportava senza lamentarsi. Mio marito gli parlò delle
letterine che scriveva. Chiese di vedere l’ultima e io non ebbi il coraggio di
rifiutare. Ripresi la letterina da dove l’avevo messa quel giorno e gliela
mostrai. Dopo averla letta disse che voleva dire al Santo Padre di Antonietta e
chiese il permesso di portare con sé la lettera. Risposi esitante: “Ma… non so…
se…” - “Ma signora” disse “si tratta del Papa!”.
Il
giorno seguente un’automobile del Vaticano si fermò davanti alla nostra
abitazione. Un delegato inviato personalmente dal santo padre Pio XI era venuto
a portare alla bambina la benedizione apostolica. Ci disse che Sua Santità era
rimasto molto commosso nel leggere la letterina. Ci lasciò anche un biglietto
del professor Milani in cui chiedeva ad Antonietta di ricordarlo al Signore e
di implorare per lui quei doni che lei aveva chiesto per sé”.
Il 12
giugno Antonietta si aggrava. Respira affannosamente. Le viene estratto il liquido
dai polmoni. Il 23 le vengono resecate tre costole in anestesia locale, date le
sue precarie condizioni generali. Racconta la mamma: “Non posso dire lo strazio
di quel corpicino martoriato. Quel giorno trattenendo a forza le lacrime le
dissi: “Vedrai piccola mia… appena ti sarai rimessa andremo in vacanza, andremo
al mare… ti piace tanto il mare potrai fare anche i bagni, sai?...” Mi
guardò... con tenerezza mi disse: “Mamma, stai allegra, sii contenta… Io uscirò
da qui tra dieci giorni meno qualche cosa”“. La madre non poteva sapere che in
quel momento Antonietta le aveva detto esattamente il giorno e l’ora in cui
sarebbe morta.
Nei
giorni che seguirono, con fortezza disarmante continua a sorridere anche alle
infermiere che vengono a medicarle la ferita, nonostante che le metastasi
avessero ormai invaso e devastato tutto il suo piccolo corpo, nonostante che la
massa tumorale le comprimesse il petto al punto da averle provocato lo
spostamento dei cuore. Tutti al processo testimonieranno lo sconcerto di fronte
alla sua straordinaria serenità. La madre arriverà persino a dubitare che la
bambina soffrisse: “Andai dal dottore, gli dissi: “Dottore io non credo… mi
dica la verità, mi dica veramente… Antonietta soffre molto?”. “Ma signora, cosa
chiede! Cosa dice! Stia zitta! I dolori sono atroci”. Ritornai al suo lettino…
la voce non mi reggeva, per la prima volta le dissi: “Antonietta, benedici la
tua mamma… Antonietta, benedici mamma”. Facendo uno sforzo lei mi segnò sulla
fronte una crocetta con la mano”.
Il
padre così testimonia al processo: “Un giorno, aggravatasi maggiormente, decisi
che alla mia piccina fosse amministrata l’estrema unzione. Domandai ad
Antonietta: “Sai cos’è l’olio santo?”. “Il sacramento che si dà ai moribondi”
rispose. Non volevo però turbarla perciò soggiunsi: “Talvolta apporta anche la
salute del corpo …” Antonietta si rifiutò. “È troppo presto” disse, e io non
insistetti.
Ma
quando più tardi il sacerdote le disse che l’olio santo aumenta la grazia,
Antonietta che ascoltava attentamente rispose: “Sì, lo voglio”. Rispose con
tranquillità a tutte le preghiere, recitò l’atto di dolore, poi dette le sue
manine aperte perché il sacerdote le ungesse… Baciò con tenerezza il crocifisso
della sua prima comunione. Tutto si svolse in semplicità e pace”.
“Ho
visto martiri in fiamme come torce prepararsi così le palme sempre verdi”
scriveva Charles Péguy nel Mistero dei santi innocenti. “Ho visto stillare
lacrime sotto gli uncini di ferro/ Gocce di sangue splendenti come diamanti./
Ho visto stillare lacrime d’amore/ Che dureranno più a lungo delle stelle del
cielo./ E ho visto sguardi di preghiera, di tenerezza,/ Estatici di carità./[…]
Ho visto i santi più grandi, dice Dio. Ebbene, io vi dico/ Non ho visto mai nulla
di più bello al mondo/ Ora io vi dico, dice Dio,/ Non c’è nulla di così bello
in tutto il mondo/ Di questo bimbo che s’addormenta nel dire la preghiera/ E
che sorride scivolando nel sonno./ Nulla è più bello/ Di quest’esserino che
s’addormenta fiducioso …”.
La
mattina del 3 luglio 1937 albeggiava appena quando il papà le si avvicinò per
accomodarle ancora una volta il cuscino e, accostatele le labbra per un bacio,
Antonietta sussurrò: “Gesù, Maria… mamma, papà …”. “Fissò lo sguardo davanti a
sé …” ricorda la mamma. “… Sorrise … poi un ultimo lungo respiro”.
L’indomani
la piccola bara bianca fu trasportata in mezzo ad una folla commossa nella
Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. In quella stessa Basilica delle
reliquie della Passione di Gesù, appena sei anni prima Nennolina era stata
battezzata. Era il 28 dicembre 1930. Il giorno dei Santi Innocenti.
La salma di Antonietta Meo è stata recentemente traslata dal
Verano alla Basilica di S. Croce in Gerusalemme ove è possibile renderle
omaggio.
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