INIZIO IL SILE BOTTENIGA I MULINI L'OASI DI S.CRISTINA

LA CONDUZIONE DEI MULINI DEL SILE

I contratti

Durante la dominazione veneziana , l'affitto è il tipo di contratto più diffuso e si divide in due parti: una fissa tutti gli obblighi del mugnaio, l'altra riporta tutta la stima degli strumenti e degli ingranaggi effettuata da due periti ("marangoni de molin") in due controlli successivi.
In caso di danni il mugnaio deve risarcire il padrone, mentre non riceve nulla da lui per eventuali migliorie.
In casi sporadici si fanno patti "a mittà", una specie di mezzadria.

L'affitto

I contratti d'affitto sono stipulati soprattutto da proprietari ecclesiastici e da un ente pio, l'ospedale di Treviso, e solo in pochi casi da laici.
Laici ed ecclesiastici preferiscono forme di conduzione di breve durata, infatti tutti i proprietari si preoccupano di tornare in pieno possesso del loro fondo entro tre o cinque anni, per ritoccarne i canoni a proprio vantaggio.
Il contratto d'affitto indica il luogo dove sorge il mulino, l'eventuale presenza della stalla o dell'abitazione del mugnaio e il numero delle ruote che, se sono numerose, possono essere date in conduzione a più persone; specifica la durata della locazione, l'entità del canone e la modalità di pagamento, gli obblighi cui devono sottostare i conduttori e comprende anche l'affitto di mezzo campo di terreno paludoso o prativo per produrre strame e foraggio per il cavallo o il mulo da soma.
Con l'affitto il mugnaio acquisisce anche il diritto di pescare nelle vicinanze del mulino.

Il canone

Il canone d'affitto è quasi sempre in frumento, raramente in denaro. e viene saldato a scadenze semestrali o più brevi. Oltre al grano si pretendono come regalia alcune libbre di pesce, abitudine padronale che conferma come alcuni mugnai integrino i guadagni della molitura con la pesca di gamberi e di anguille.
L'insistenza con cui viene introdotta nel canone questa regalia, conferma la fama di prelibatezza di cui godono in questo periodo crostacei e pesci del Sile.

Gli obblighi del mugnaio

Il contratto d'affitto di solito indica in modo generico gli obblighi del conduttore, in quanto è ovvio che il mugnaio abbia tutto l'interesse a mantenere in efficienza lo stabile e la macchina per produrre di più e quindi guadagnare di più.
Comunque alcuni proprietari, soprattutto ecclesiastici, precisano gli obblighi di proprietario e conduttore. Al primo spettano i grandi restauri che non siano conseguenza di imprudenza o imperizia del conduttore o il restauro della parte immersa. Il secondo deve occuparsi della manutenzione degli ingranaggi, del mulino "sopra l'acqua" e soprattutto non può "mutare né smarire in alcun modo" la macina.
In generale i contratti fanno divieto al conduttore di subaffittare l'impianto o parte di esso.

Il mestiere del mugnaio


Nell'Europa dell'Antico Regime il mestiere del mugnaio è uno dei più diffusi. I mugnai occupano una posizione sociale di privilegio nella vita di un villaggio. L a loro agiatezza trova riscontro nel possesso di qualche appezzamento di terra.
Tutto ciò crea nei loro confronti il risentimento e l'invidia degli altri abitanti del villaggio, specie dei contadini.
Lo stereotipo del mugnaio furbo e imbroglione sembra confermato dagli statuti comunali e poi dalle leggi degli stati regionali italiani.
Nel 1232 a Treviso si proibisce ai mugnai di inumidire la farina per aumentarne il peso col rischio di alterarne la qualità.
Lo statuto di Ferrara del 1287 prevedeva gravi pene per scoraggiare i mugnai dai furti e dalle contraffazioni. Negli anni della dominazione veneziana, le autorità governative intervengono spesso nel Trevigiano, per evitare contraffazioni nella macina dei cereali specie da parte dei mugnai che macinano il grano pubblico.
Nel 1568, per esempio, non riesce di buona qualità il biscotto per i marinai "dell'armata de Mar" perché alcuni mugnai trevigiani hanno avuto l'ardire di mescolare frumenti di buona qualità con altri di qualità inferiore, "a gravissimo maleficio delli corpi umani" e quindi il Consiglio dei Dieci deve intervenire con risolutezza e comminare multe severe ai contraffattori. E ancora nel 1631, mentre la peste semina morte a Venezia e nella Terraferma il Senato ordina di impedire ad ogni costo, facendo ricorso anche alla tortura, "le fraudi che sono commesse" nei mulini pubblici in Trevisana.
La "furbizia del monaro" si esalta anche nell'evasione del dazio macina: nel mulino non possono essere portati sacchi privi della bolletta testimoniante l'avvenuto pagamento della tassa, però i mugnai tentano ripetutamente di sottrarsi a quest'onere.

Il "marangon de molini"


Accanto al mugnaio lavorano altri artigiani e fra questi spicca il "marangon de molini", cui spetta, tra l'altro, il delicato compito di stimare il mulino prima della sua locazione, infatti inventaria tutte le parti dell'impianto, controllandone il buon funzionamento e stabilendone il valore.
Non deve occuparsi solo delle parti in legno, ma anche di quelle in ferro e, soprattutto, delle macine, l'elemento di maggior valore.
La presenza di falegnami da mulino nei borghi del Sile è una riprova dell'importanza che qui ha l'attività molitoria.
Il mestiere di falegname è molto remunerativo e l'alta professionalità di questi artigiani è testimoniata dal fatto che spesso nei documenti il loro nome è preceduto dal titolo di "mistro". Addirittura, nel 1704, troviamo un Giovanni Antonio Barban a Treviso che compila e sottoscrive di suo pugno il resoconto della stima, dimostrando di saper leggere e scrivere, cosa non comune a quell'epoca.


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