BIANCO, NERO E …

Per una educazione all’accoglienza dell’altro

a cura di Sergio Abbruciati e Giuliano Vettorato

 

1. L’ALTRO IN “CASA NOSTRA”

Nel mese di agosto nelle case degli italiani e nelle aule parlamentari infuriava una feroce discussione sulla presenza degli immigrati in Italia. Il caso di due ragazze assassinate da un pastore macedone aveva fortemente turbato le coscienze degli italiani. In poco tempo si era aperta la caccia “giornalistica” all’immigrato clandestino, assimilato al pastore macedone, chiunque esso fosse, donne e bambini compresi. Le reazioni da “folla” di manzoniana memoria sono diventate dichiarazioni e s-propositi di una buona parte del ceto politico italiano, desideroso di trovare un capro espiatorio da dare in pasto all’opinione pubblica italiana, per evitare così una seria discussione sulle cause dell’immigrazione e sul modo con cui gli italiani si rapportano agli immigrati.

In un numero precedente abbiamo provato a rendere un po’ più chiari i motivi della povertà che attanaglia l’80% della popolazione mondiale e che costringe milioni di persone a “uscire dalla propria terra” per provare ad immaginare un futuro, per sé e per i propri figli. Non possiamo perciò accettare l’equazione: immigrato=delinquente. Indubbiamente non è facile il rapporto tra nativi e immigrati ma crediamo che alla base di questi difficili rapporti non ci sia tanto un problema economico, quanto uno culturale.

Noi, per esempio, siamo convinti che gli immigrati siano venuti a rubare il lavoro agli italiani. In realtà dati della Caritas dicono che alcuni lavori, ritenuti fra più umili ma comunque basilari, sono sempre di più coperti da cittadini immigrati: lavori domestici, edilizia non specializzata, marittimi, agricoltura, ristorazione… C’è una considerevole fetta della nostra economia che si regge grazie al loro lavoro, lavoro che gli italiani, nonostante tutte le mormorazioni della “piazza”, sempre di meno gradiscono fare.  Addirittura l’immigrazione consente all’Italia di recuperare punti sul tasso di crescita della popolazione che da alcuni anni è negativo (più decessi che nascite). Insomma, l’immigrato non viene solo per prendere, ma anche per dare (e dà di più di quello che comunemente si ritiene).

Questa è una verità dura da ammettere, ma incontestabile, e non solo per l’Italia. Uno studio recente ha rivelato che negli Stati Uniti, tradizionalmente contrari all’immigrazione dal sud del continente, gli immigrati hanno sensibilmente contribuito alla ripresa economica di quel paese.

Hospes: straniero-ospite

 

Insomma, la presenza degli stranieri non è tutto quel male che si crede. Nonostante i disagi che essa comporta, rappresenta un vantaggio per il paese ospitante. Ma il nostro non vuole essere solo un discorso opportunistico, bensì un’occasione di crescita in umanità. L’incontro con l’altro può essere un’occasione di scontro, ma anche di arricchimento.

Il volto ignoto dell’altro non ci rivela, come voleva Hobbes (e come vuole un certo filone cinematografico hollywoodiano), la sua ostilità, ma anche la sua ricchezza, i suoi doni, la sua diversità appunto. Di fronte all’altro si può assumere dunque un atteggiamento ostile, ma l’altro può essere anche hospes, nel doppio senso latino di ospite e di straniero. Possiamo scegliere la xenofobia e l’intolleranza o possiamo cercare la convivialità; possiamo rifiutare le differenze per vivere nella mono-cultura o accettarle e provare a costruire rapporti inter-culturali.

Chiusi nel nostro “i-tavico” provincialismo, rischiamo di non cogliere l’importanza del momento storico che stiamo vivendo. Sul grande quadrante della storia sta scoccando un’ora eccezionale: l’ora dell’altro. Bisogna diventare capaci di vedere la realtà senza credersi il centro, senza egocentrità, aperti alla diversità, alle altre culture e religioni, aperte alle ragioni dell’altro, all’ascolto dell’altro, senza pregiudizi, senza intolleranze, pronti a scoprire la bellezza e la ricchezza che l’altro reca con sé.

In questo sussidio vogliamo percorrere le possibilità che questo momento storico ci sta offrendo, capire i meccanismi che possono impedirci di cogliere l’importanza di quest’ora e le ragioni per un tipo di scelta o per l’altro. Vogliamo offrire delle piste di riflessione e numerosi strumenti operativi che possono servire a farsi un’idea più precisa delle questioni in campo e come vi si può rispondere.

 

I nostri pregiudizi…

Per molto tempo noi italiani non abbiamo avuto a che fare con problemi di immigrazione, di integrazione e di multi- o inter-culturalità, lontani dallo spazio sociale originato dall’incontro/scontro con culture altre, radicalmente diverse dalla nostra. Fino ad oggi la conoscenza di queste culture è sempre stata indiretta, mediata dalle conoscenze scolastiche, dai racconti dei viaggiatori o dal messaggio dei potenti media, giornalistici o televisivi. Ebbene, questo tipo di conoscenza ha seminato e installato nell’immaginario degli italiani pregiudizi e stereotipi delle altre culture, piuttosto che una conoscenza reale e profonda.

Il pregiudizio è un “giudizio con insufficiente fondamento”, non sufficientemente documentato o fondato. Può essere una cosa logica: perché non sempre abbiamo il tempo di conoscere tutto in maniera approfondita. Noi conosciamo le cose per quello che dicono gli altri. Abbiamo dei criteri di valutazione che ci sono forniti dagli altri. I nostri giudizi sono per lo più “pre-giudizi”: preceduti dai giudizi degli altri. Ma il ragazzo crescendo ha la pretesa di giudicare con la sua testa, di provare e valutare secondo la propria esperienza. L’indipendenza di giudizio è un grande segno di maturità. Ma non sempre si riesce a conoscere tutto direttamente, tante volte dobbiamo fidarci di quello che dicono gli altri. Il caso di popoli e culture diverse dalle nostre è uno di questi: non conoscendoli direttamente diciamo di loro ciò che ci racconta chi li ha conosciuti. Però, non solo i nostri giudizi si fondano su conoscenze altrui, ma si nutrono anche di alcune conoscenze di tipo superficiale e immediato condivise dalla maggioranza della popolazione che frequentiamo. Sono i “luoghi comuni”, quelle cose che tutti dicono e mai si va e vedere se sono vere o meno. E’ con questo meccanismo che si diffondono le idee errate. Tutti dicono una cosa e per il fatto che la dicono tutti si crede che sia vera. Quante volte ci sentiamo dare questa risposta “lo dicono tutti”, oppure “l’ha detto la TV, c’è scritto sul giornale...”?

Non ci si rende conto di quanto certi luoghi comuni possano far male finché non ci toccano personalmente. Se siamo stati all’estero o siamo venuti in contatto con persone straniere, probabilmente abbiamo provato la sofferenza di essere trattati ingiustamente, sentendo dire che gli italiani sono tutti mafiosi, ladri, che non lavorano... O anche che sanno tutti cantare, e magari noi siamo stonati come una campana. Questi giudizi ci fanno star male, perché non corrispondono a verità, non tengono conto della particolarità che è ognuno di noi; per cui un giudizio generico, ammesso anche che sia giusto in generale, non lo è nel particolare. Non pensiamo però a quanto possiamo far stare male gli altri quando pronunciamo su di loro giudizi basati su luoghi comuni. E quando si tratta di stranieri, ci comportiamo anche noi nello stesso modo. Anzi, se notiamo bene, molti dei luoghi comuni attribuiti a noi sono gli stessi che noi attribuiamo agli immigrati che vengono dalle zone povere del pianeta (sono sporchi, non si lavano, non hanno voglia di lavorare, sono ladri, delinquenti, spacciatori di droga, prostitute, ecc.).

 

e stereotipi

 Il pregiudizio può essere favorevole o sfavorevole. Ma in genere verso gli immigrati si privilegia quello negativo, cioè si prendono i tratti peggiori (almeno per noi) di una cultura e li si generalizza, estendendoli a tutti quelli che hanno tratti somatici e culturali di un certo tipo. Questo è dannoso, non solo per loro ma anche per noi, perché diventiamo ingiusti e rigidi: non ci lasciamo rinnovare da ciò con cui veniamo in contatto. Anzi si arriva al punto di negare l’evidenza. A questo punto si è vittime dello stereotipo, una conoscenza rigida, semplificatoria e generalizzante.

In pratica il pregiudizio diventa una cosa negativa quando si muta in uno stereotipo, cioè un giudizio infondato che non si lascia mettere in discussione, che non è disposto a lasciarsi modificare dalla realtà, dall’evidenza. Da questo atteggiamento nascono le famose cacce allo straniero, i raid punitivi contro negri, albanesi, prostitute che si registrano sempre più frequentemente anche nelle nostre città. Non vengono puniti delitti precisi, contestabili a persone precise (cosa di cui dovrebbe interessarsi la magistratura), ma il “si dice....”, lo stereotipo, il luogo comune non verificato. Così si danno esempi anche da noi di giustizia sommaria (come nei film western), di linciaggi (come il Ku-Klux-Klan), di pestaggi di persone di colore o semplicemente straniere.

Il guaio è che questi sentimenti li portiamo dentro ognuno di noi, e anche se non li manifestiamo in forme così violente, li coltiviamo lo stesso e li manifestiamo magari con le battute che facciamo tra compagni, con le barzellette sul marocchino o sull’ebreo, con la separazione che mettiamo in atto quotidianamente verso gli immigrati, con la paura di incontrarli, col pensare, ogni volta che capita un fattaccio che ha come un protagonista un extracomunitario, che tutti siano come quello...

La funzione del linguaggio nella creazione degli stereotipi

Molto interessanti risultano le tesi dello studioso olandese Teun van Dijk, basate su un’attenta analisi dei linguaggi, della comunicazione quotidiana e dei mass media. In sintesi van Dijk afferma che vi è un circolo vizioso tra la comunicazione intersoggettiva e la nascita e il rafforzamento degli stereotipi. Infatti è il discorso quotidiano, fatto di innumerevoli micro-racconti stereotipati (le barzellette, i luoghi comuni, le leggende metropolitane, i pettegolezzi), che alimenta e riproduce atteggiamenti razzisti.

Perciò a volte è il linguaggio stesso che veicola la xenofobia e il razzismo, e indicativa in questo senso è diventata la frase iniziale di molti discorsi sugli immigrati: premesso che non sono razzista (in realtà questa frase, come ha dimostrato una recente ricerca, rivela il razzismo latente in ciascuno di noi).

Un ruolo fondamentale assumono in questo contesto i media, poiché son essi, nel bene e nel male, che arricchiscono il nostro discorso quotidiano. Se li guardiamo da vicino, ci accorgiamo che l’informazione sull’immigrazione nella stragrande maggioranza dei casi è legata a episodi di violenza, a questioni di ordine pubblico, all’invasione del territorio. Insomma è orientata al negativo ed è obiettivamente difficile dimostrare che la presenza altra sia portatrice di positività. Ecco perché diviene importante imparare a leggere le informazioni per capire le verità spesso negata o deformata.

La quotidianità ci appare dunque il luogo dove è più facile cadere nel pregiudizio, dove possono  venire meno buon senso e razionalità e dove perciò occorre vigilare con più attenzione. Perché la quotidianità ci fa apparire così com’è l’incontro con l’altro, senza veli, e il rischio che corriamo è quello di voler ricreare le distanze proprio attraverso una conoscenza inautentica quale è quella che passa attraverso il pregiudizio e lo stereotipo.

Ma l’altro non è portatore solo di difficoltà, non è solo di-versus, colui che ci è contro, ma è anche, in forme e manifestazioni nascoste e dimenticate, protagonista nel bene della nostra quotidianità e della nostra stessa crescita.

 

2. ACCOGLIERE L’ALTRO

 

Di fronte ad una situazione sociale nella quale la presenza dell’altro, inteso come portatore di una diversità culturale ma anche di possibili complessità e altrettanti conflitti, quali atteggiamenti coltivare e sviluppare nei giovani? Quali valori diffondere che contengano le istanze che fanno capo alle posizioni estreme menzionate? Come muoverci tra disagio e accoglienza, incomunicabilità e dialogo?

È urgente però prima una precisazione. Ci sembra importante richiamare, senza approfondirlo, il fatto che l’accettazione profonda della propria identità personale e culturale è una base insostituibile per l’incontro con l’altro.

Ricordare questo punto fermo è importante per non dimenticare che educare all’alterità non vuol dire annullare la propria identità culturale, giacché sarebbe impossibile un incontro nel quale mancasse uno dei termini della relazione.

 

Un principio

Detto questo dobbiamo però concretamente indicare delle linee di riferimento dell’agire proprio e collettivo che tengano presente l’altro in quanto termine di una relazione intersoggettiva. In questo senso occorre stabilire un principio dal quale muoversi e in base al quale offrire graduali forme di approccio e di comprensione del rapporto con l’altro. Per rifarsi all’alterità come punto di partenza occorre porsi in un orizzonte di senso nel quale questa venga prima, in senso etico e non in senso cronologico, della mia soggettività. Questo orizzonte lo chiamiamo principio di alterità. Bisogna stare attenti però a non pensare che anche l’alterità in quanto principio sia una nuova identità da cui verrebbe un atteggiamento improntato all’ “esotismo”, a certe mode folcloristiche votate a sciogliersi nel calderone delle tante mode che il nostro tempo ci propone.

Il principio si ispira a un clima culturale legato soprattutto al pensiero di due noti filosofi, Lévinas e Buber.

A partire dal principio di alterità, possiamo definire una serie di “livelli” di approccio intersoggettivo con l’altro, che delineano una gamma di atteggiamenti nei quali l’altro non è semplicemente il diverso, l’emarginato, oggetto di interventi sociali, di studi, di riflessioni, di compassione, ma portatore della propria alterità: va ascoltato nella sua dignità, affinché quella che ci giunga sia la sua voce:

 

* Conoscere senza assimilare

Possiamo definirlo il primo livello di intersoggettività. Qui il principio di alterità si traduce nell’atteggiamento della decostruzione. Stare per la  prima volta di fronte a qualcuno proveniente da un’altra cultura, significa sospendere il giudizio per capire il suo contesto culturale di provenienza, le implicazioni sociali della sua religione, il tipo di lingua o la sua capacità di servirsi di lingue internazionali. Occorre perciò evitare di affrettare il giudizio e mettere da parte il nostro “apparato culturale” che ci porta inevitabilmente a “pre-giudicare” l’altro. Per quanto è possibile “de-costruire” questo apparato può consentirci di giungere ad una conoscenza più autentica ed elimina il pericolo di imprigionare l’altro in una accettazione schiava dell’assimilazione.

 

* Entrare in relazione empatica

Il secondo livello rappresenta un approfondimento della conoscenza. Adesso il principio di alterità diventa l’assunzione del punto di vista dell’altro, ossia vedere le cose il mondo con i suoi occhi. Ciò ci costringe anche a provare le sue emozioni, le sue sensazioni che accompagnano questa visione del mondo, altra rispetto alla nostra. Si tratta quindi di stabilire un contatto empatico (sentire allo stesso modo), in grado di condurci verso le più profonde scoperte della comunicazione interpersonale. Una comunicazione non solo verbale ma capace di utilizzare corporeità ed espressività.

 

* Farsi prossimo: la responsabilità per l’altro

Il movimento dei livelli delinea una relazione con l’altro che dalla superficie ci porti al nucleo del rapporto. Il terzo livello traduce il principio d’alterità nella prossimità. L’altro è il mio fratello di cui sono responsabile. È il paradigma del samaritano, del farsi dono per l’altro. L’alterità si traduce in una scelta etica e la mia esistenza si fa pane per gli altri, vita interamente spesa, solidarietà come sacrificio, come scelta radicale di croce.

 

Postilla

Si è parlato fin qui dell’alterità nel senso dell’altro in quanto altro uomo, in quanto relazione intersoggettiva. Ci preme ricordare però, anche se fuori dallo spazio tematico che abbiamo delineato, che l’alterità non riguarda solo l’intersoggettività ma si spinge fino a ridefinire il rapporto dell’uomo con la natura, cioè con l’altro in quanto differente forme di vita, ecosistema che mi riguarda e che mi sostiene, e il rapporto con Dio, Altro per eccellenza, Totalmente Altro.

Educare a partire da queste alterità apre alla ricerca di altri atteggiamenti nei quali si riveli anche la cura che l’uomo deve al Creato, sia in quanto responsabilità affidata alla sua responsabilità, sia in quanto evento-traccia di Dio che si manifesta nella creazione.

 

Piste di lavoro

I nuclei tematici precedentemente esposti devono originare itinerari di lavoro, supportati da attività e materiali, che troverete nel capitolo successivo.

 

0.   Molte volte l’altro (il diverso, lo straniero) è percepito come una minaccia perché la propria identità (personale o di gruppo) è debole e rischia di andare in frantumi nel confronto con l’altro. Invitiamo perciò a fare un lavoro preventivo di consolidamento della propria identità (nazionale, di gruppo), come azione propedeutica all’accoglienza dell’altro. Non proponiamo nessun esercizio per questo, ma se ne possono trovare a iosa nei manuali di tecniche di animazione (v. ad es. M. Jelfs, Tecniche di animazione).

 

1.   Il primo passo per capire l’altro è conoscere i motivi per cui si è trasferito da noi. Con l’aiuto di Note’s Graffiti 7/97, si possono mettere a fuoco le principali cause dell’immigrazione in Europa e in Italia. Sarà piuttosto facile giungere alla conclusione che l’emigrazione dai PVS (Paesi in Via di Sviluppo) è un fatto “strutturale” del pianeta e che sarà sempre più difficile affrontarla puntando esclusivamente a normative di ordine pubblico.

2.   Noi ci portiamo dietro un bagaglio di pregiudizi, luoghi comuni e stereotipi di cui non ci rendiamo conto. Prenderne coscienza e decidere di agire senza questi schermi mentali è fondamentale per incontrare realmente l’altro. Perciò offriamo degli strumenti per riflettere sui meccanismi che generano il pregiudizio e lo stereotipo. Dove nascono questi meccanismi? Chi li diffonde? A chi fanno comodo? Quali conseguenze possono recare?

3.   Prima di Copernico e Galileo gli uomini erano convinti che la terra fosse il centro del mondo e chi osava sostenere l’incontrario veniva considerato pazzo se non addirittura messo a morte. Noi abbiamo scoperto che la terra è solo uno dei tanti pianeti dei tanti sistemi solari che esistono, però siamo ancora convinti che il nostro punto di vista sia il centro del mondo Per operare un cambiamento bisogna lavorare innanzitutto sul proprio punto di vista. Offriamo del materiale per provare a verificare come ogni cultura è un “modo” di vedere le cose e di giudicarle. Confrontando le diverse concezioni che le culture hanno, per esempio, del tempo, dello spazio, della morte, del corpo, ecc. ci si può render conto del limite di ogni cultura (etnocentrismo).

4.   Materiali per la discussione e la verifica
In ogni compito è importante verificare quanto si è raggiunto, appreso, consolidato. Per verificare tutto ciò vengono suggerite delle iniziative che permettono di verificare quanto siamo riusciti a decentrarci, quanto siamo capaci di ascoltare l’altro, di osservare senza giudicare, di vestire i suoi panni.

 

3. ITINERARI ALLA SCOPERTA DELL’ALTRO

 

1. PREGIUDIZI E STEREOTIPI

 

Gli stereotipi nascono e si riproducono

Prima di dire che noi abbiamo “stereotipi” sugli altri, è forse opportuno mostrare (o chiedere) ai ragazzi che anche gli altri hanno pregiudizi su noi italiani. Paolo Calegari ci ricorda, ad esempio che: “Gli italiani presenti in gran numero a New York sono considerati in modo pregiudizievole ottimi cantanti, bravi parrucchieri e pizzaioli (pregiudizio positivo), ma anche “mafiosi”, “dal coltello facile”, “gelosi” (pregiudizio negativo)”.

Il pregiudizio contro gli italiani risulta addirittura codificato. Nel 15° volume della Enciclopedia Americana del 1969 alla voce “Italia” e alla sottovoce “The character of the people” si legge: “...un'inclinazione ad una rassegnazione apatica piuttosto che alla speculazione filosofica. .. un'attitudine molto sviluppata allo scetticismo; frequente egoismo ed arroganza da parte di chi detiene l'autorità; un certo esplicito disprezzo nei confronti delle autorità da parte degli altri sebbene quest'ultimo atteggiamento si muti spesso in servilismo in presenza delle autorità stesse” (p. 556).

In un contesto di educazione interculturale appare particolarmente interessante un'indagine sulla riproduzione degli stereotipi in quei “luoghi” che si prestano ad essere oggetto di analisi nel lavoro scolastico o di gruppo: la “stampa”, la “pubblicità”, i libri di testo (compresa l'iconografia), il linguaggio ordinario...

 

Pregiudizi

 

Questo esperimento aiuta i partecipanti di un gruppo a chiarire i pregiudizi che gravano sul loro lavoro in comune e ad attenuarli. Noi tutti vediamo il mondo dalla prospettiva delle nostre esperienze personali. Giudichiamo gli uomini paragonandoli ai nostri padri e le donne confrontandole con le nostre madri, ecc. Non ci è possibile evitare questi pregiudizi e quante meno opportunità ci si offrono di correggere i nostri pregiudizi, tanto maggiore è la possibilità che ci impelaghiamo in conflitti con gli altri.

In questo esperimento, i partecipanti possono verificare  diversi pregiudizi confrontandosi, di volta in volta, con una persona differente. L’esperimento può essere provato in gruppi di qualsiasi dimensione, in cui esistano differenze che determinano pregiudizi, per esempio differenze a livello di sesso, età, reddito, professione, ecc.

 

  conduzione del gioco

 

Per ogni seduta bisogna scegliere tre coppie contrastanti, per esempio uomo-donna, vecchio-giovane, Italiano-straniero, povero-ricco, ecc. Tutto il gruppo si divide in coppie nelle quali i due partecipanti appartengono a due sottogruppi diversi. Chi alla fine rimane in più  si unisce ad una coppia come osservatore.

Uno dei due componenti delle coppie (A) comincia e comunica quello che egli pensa del gruppo a cui appartiene il proprio partner. Questi (B) si informa, pone domande e assume, nel farlo, un atteggiamento il più possibile di curiosità, senza criticare l'altro per i suoi pregiudizi (da 5 a 10 minuti).

Adesso B rivela quello che lui pensa del proprio gruppo e A pone delle domande per informarsi meglio 8 da 5 a 10 minuti). Successivamente i due partner parlano delle proprie reazioni prima di cominciare la seconda fase.

A questo punto B parla dei suoi pregiudizi rispetto al gruppo di cui A fa parte e, dopo 5 o 10 minuti, A passa a raccontare quello che lui pensa del proprio gruppo.

Ne segue ancora una volta uno scambio di reazioni.

Dopodiché tutti i partecipanti ritornano in gruppo e si raccontano l’un l’altro quello che ritengono importante o quello che è rimasto in sospeso.

Per concludere, il conduttore chiede al gruppo se ci sino ancora delle differenze importanti che suscitano pregiudizi nel gruppo e che debbano essere messe in chiaro in questo modo.

 

(S. Sax/S. Hollander)

 

Gli stereotipi nella pubblicità

I personaggi della pubblicità vivono nei sogni dell'italiano medio: belli, giovani, sicuri, sorridenti e anche ricchi, soprattutto... bianchi. Quando il “nero” entra nella pubblicità (tralasciando il piccolo Calimero degli anni '60 che miracolosamente tornava bianco se usava Ava) gioca il ruolo dell'atleta muscoloso che ricorda lo scatto felino degli animali delle sue terre, della Top Model che indossa i Jeans Swish (“chiamate i pompieri”, oppure “non sono in vendita”), del dondolante lavoratore di caffè, della ragazza Morositas.

Immagini simbolo di “Esotismo” quando viene evocata una natura ancora ingenua ed incontaminata che ricorda i “Buoni Selvaggi” senza indumenti e di indole buona, di Colombiana memoria. L'avventura che richiede di misurarsi con le forze primordiali della natura, il pericolo accattivante, o la sensualità prorompente delle donne fertili ed accoglienti come la terra.

Altra immagine associata alle diverse sfumature di “nero” è la musicalità innata (fino alla scritta TDK sulla lingua di un simpatico e divertito ragazzo africano, o il “mondo della musica pura” della Basf) e la voglia di ballare, di divertirsi senza pensare, con sorrisi quasi ebeti (alla maniera dell'uomo Tartufon).

Un mercato pubblicitario particolare è lasciato ai “neri”, quello del divertimento, dell'avventura, dello spazio non domestico. L'eccezione “extra-comunitaria” è Philadelphia dove la graziosa e un po' stupida ragazza filippina siede sorridendo a tavola con gli altri, italiani, ma subito si intuisce la differenza-distanza tra la “colf” e i suoi “cortesi” datori di lavoro.

Nero è bello se resta nello spazio occasionale che traduce e rafforza l'immaginario diffuso; nella simbologia quotidiana bianco è bello ~e il bambino nero con gli occhi da cucciolo imbottito di bianco che pubblicizza Biancofà per lana, rappresenta l'aberrazione di un messaggio infarcito di superiorità e disprezzo patetico.

La pubblicità turistica delle Compagnie Aeree o di Viaggio fa riferimento al diverso/esotico, alla “fuga dalla realtà” omogenea dei Paesi Occidentali, richiama immediatamente paradisi incontaminati, avventura, il tutto incorniciato da meravigliosi alberghi stile europeo dove si incontrano avvenenti donne seminude.

Se per un attimo passiamo dalla pubblicità all'informazione l'immagine si capovolge completamente: nero è sinonimo di problema, violenza (più spesso inferta che subita), povertà, assenza di risorse, arretratezza. Dai documentari sul Terzo Mondo o sull'immigrazione nel nostro Paese alle trasmissioni televisive come Ho bisogno di te, gli “stranieri extra-comunitari” sono persone che chiedono qualcosa e raramente possono dare, con storie tristi che sollecitano nel migliore dei casi la nostra generosità. Una riflessione a parte meritano le campagne pubblicitarie della Benetton “United Colors”; al di là di più generali considerazioni sull'efficacia delle immagini forti “sparate” da Oliviero Toscani, nella seconda metà degli anni '80 ritrarre bambini “diversi” mentre giocano e sorridono allo stesso modo ha rappresentato una sostanziale novità.

Alcuni manifesti, nelle campagne degli anni successivi, propongono qualcosa di più: esplicitano immediatamente l'immaginario collettivo del bimbo nero dai grandi occhi sorridenti o del diavoletto nero accanto all'angelo doc occhi azzurri - capelli biondi, quasi a guardare direttamente alla radice del pregiudizio!

 

A. NANNI, Interculturalità e stereotipi, in Cem/Mondialità, n. 5, 1995, pp. 10-11.

 

 

Un quadrato nel paese dei rotondi

 

PRIMA PARTE

 

        

         OBIETTIVI

 

    Questa proposta dovrebbe servire ad affrontare il tema della diversità

e delle minoranze a partire dalla propria esperienza.

 

         MODALITA'

 

    La storia serve come spunto, e, dopo averla ascoltata, a gruppetti, ci si

confronterà sui propri vissuti rispondendo a due domande (una alla volta):

 

*   Quando e in che ambiente mi sono sentito/a un quadrato?

*   Quando mi sono sentito/a in rotondo?

 

        

LA STORIA

 

Mi hanno raccontato di un paese lontano, o forse vicino, non ricordo, in cui ogni cosa (abitanti e oggetti) era rotonda. Rotonde le case, le teste, i piedi, le porte e le finestre. La gente rotolava allegramente: c'erano cerchi grandi, piccoli, rossi, verdi, un po’ storti, con qualche ammaccatura... Un giorno, in questo villaggio arrivò un viaggiatore. Era già capitato e non vi era niente di strano, se non, e non era poco, che questo viaggiatore era quadrato. A "quadrato" quel paese senza spigoli sembrò strano ma gli piacque e decise di fermarsi.

Ai rotondi capitò una cosa curiosa. Prima dell'arrivo di quadrato gli sembrava di essere così diversi fra loro, ma da quando c'era lui si erano resi conto di essere proprio simili. Quadrato si accorse subito che qualsiasi cosa facesse, ovunque andasse, tutti lo guardavano; tutti quegli occhi addosso lo innervosivano, si sentiva continuamente come un equilibrista sul filo, e più cercava di stare attento, più gli capitava di combinare guai. Anche se, per la verità, anche ai rotondi capitava di sbagliare, ma quando lo faceva lui, sembrava più grave. Quadrato stava malissimo quando sentiva bisbigliare alle sue spalle "Tutti i quadrati sono maldestri e rovinano le cose. Per forza, con quei loro spigoli aguzzi!!" Certo che non era facile avere una forma quadrata in mezzo a tutti quei cerchi. Persino le porte erano ora un problema. Stufo di stare da solo cercò di conoscere alcuni abitanti e pensò che il modo migliore per farsi accettare fosse di dimostrare quante cose sapesse fare. Cercò di fare tutto più in fretta e meglio dei cerchi: lavorare, essere gentile, organizzare feste, raccontare barzellette... Ma non andò molto meglio. Era stanco e i rotondi continuavano a comportarsi in modo strano, diverso, quando c'era lui. Pensò allora di farsi notare di meno, di cercare di essere il più possibile simile a loro: si arricciò i capelli, si mise grossi vestiti che nascondessero gli spigoli, riempì di cotone le scarpe, e cercò persino di parlare con accento rotondo. Ma nemmeno questo funzionò. Quadrato si sentiva ridicolo e i cerchi sembravano infastiditi dal suo tentativo di imitarli. Finalmente gli sembrò di capire. Forse sbagliava a voler diventare amico di tutti subito. Forse il segreto era quello di cercarsi un unico cerchio amico che poi lo avvicinasse agli altri.

Aiutò un cerchio che aveva conosciuto a imbiancare la casa, gli tenne compagnia quando era solo, lo aiutò nel lavoro, sfruttò per lui i suoi spigoli quando servivano... e le cose effettivamente migliorarono un pochino.

Ogni tanto cerchio portava quadrato a qualche festa, o lo ringraziava del suo aiuto. Ma quadrato non era felice, la loro non si poteva chiamare amicizia, si sentiva più aiutante (ogni tanto addirittura servo) che amico, e soprattutto si era accorto che gli altri lo ascoltavano di più e ridevano delle sue battute se parlava male degli altri quadrati, se li prendeva in giro come facevano loro all'inizio con lui, se confermava che tutti i quadrati sono rozzi, goffi e violenti, che rubano i bambini rotondi, che tolgono posti di lavoro ai cerchi, che sono pigri e pettegoli...

Una mattina quadrato si alzò più triste e stanco del solito e decise di andarsene. Mentre attraversava il paese con il suo zaino, si accorse, fra i tanti sguardi che lo accompagnavano, di alcuni che sembravano dispiaciuti, imbarazzati, come lui; che sembravano non trovare il coraggio o le parole da dirgli. Anche a lui non veniva in mente nulla. Così tirò avanti verso il suo paese. Il solo dispiacere che gli restava era di non aver incontrato prima quegli sguardi incerti ed aver parlato con loro, aver provato a raccontargli come si sentiva, ed avergli chiesto cosa provavano loro.

 

 

 

I valori delle culture

 

 

obiettivi

 

Essere consapevoli dei propri valori e capaci di confrontarli con quelli di altre culture.

 

modalitÀ

 

Ogni ragazzo/a riceve una lista di valori/affermazioni (quella allegata è solo un esempio modificabile) ed è chiesto a ciascuno/a di sottolineare quelli che condivide. Al termine del lavoro individuale l'educatore appende la stessa lista di valori ma creando dei gruppi che ne svelino le culture di appartenenza, e chiede poi ai ragazzi di guardare con quale dei gruppi/culture individuati aveva trovato maggiori affinità. E' interessante per loro scoprire, molto spesso, di essere più "africani" o "latino-americani" che europei. La discussione può vertere sia sulla raccolta delle loro sensazioni, sia sull'analisi dei valori che invece sentono più lontani, meno accettabili/comprensibili nelle altre o nella propria cultura.

 

 

ELENCO PER LA CLASSE

 

1. senso dell'accoglienza

2. comunione con la natura

3. proprietà collettiva

4. centralità della vita

5. forte senso dell'amicizia

6. grande rispetto dei defunti

7. importanza della religiosità

8. sentimento di uguaglianza

9. importanza dei bambini

10. senso della festa

i 1. senso dell’ospitalità

12. fiducia nella parola dell'altro

13. stile di vita semplice

14. senso dell’umorismo anche nei momenti difficili

15. speranza in un futuro migliore

16. importanza della religiosità

17. valorizzazione della propria individualità

18. senso della fratellanza

20. capacità  di contemplazione

21. accettazione del dolore

22. rispetto della natura

23. nonviolenza

24. capacità di lottare

25. fiducia nel progresso

26. forte senso di nazione

27. fiducia nella scienza

28. desiderio di benessere

29. centralità del lavoro

30. fiducia nelle capacità del singolo.

 

PER GLI EDUCATORI

 

DA 1 A 7   :        valori predominanti nelle CULTURE  AFRICANE

DA 8 A 16 :                      "         "          "      "             "          LATINOAMERICANE

DA 17 A 23 :        "         "          "      "             "          ORIENTALI

DA 24 A 30  :       "         "          "      "             "          OCCIDENTALI

 

 

 

2. PER CAMBIARE IL PROPRIO PUNTO DI VISTA

 

 

 

Gioco del superamento degli schemi

 

 

obiettivo

 

Fare sperimentare ai ragazzi un esempio di quello che gli verrà chiesto durante la visita alla mostra: la necessità di superare schemi, di uscire dalle cornici scontate, di essere creativi.

 

modalitÀ

 

Distribuire un foglio con il primo disegno, e chiedere di unire tutti i punti con quattro linee rette senza staccare la penna dal foglio.

 

 

 

 

 

 

 


Il paese di Bengodi

 

Il paese di Bengodi - Un sociodramma sul problema dell’immigrazione in Italia (di S. Loos)

 

    Obiettivi: prendere consapevolezza dei problemi dell’immigrazione e delle diverse misure burocratiche.. Drammatizzazione, calarsi in un ruolo attribuito. Prendere decisioni, difendere i propri interessi.

 

    Materiale: un cartoncino e una spilla da balia per ogni partecipante; strisce bianche da mettersi intorno alla vita e alle spalle per i poliziotti. Carta e penna e un timbro per l'ambasciatore. Una carta d'identità (disegnata con autoritratto) per ogni partecipante.

Cartelloni con scritto: dogana, questura, ambasciata di Bengodi.

 

    Luogo: due sale separate (una più grande per Bengodi, una più piccola per Extra-Bengodi). L'ambasciatore si può collocare nel corridoio tra una sala e l’altra..

Partecipanti:  minimo 15 (meglio di più).

 

Età: 15 anni in su.

 

Durata: da 45 a 60 minuti più la verifica.

   

     Scopo del gioco

 

I cittadini extra-bengodesi cercano, ognuno con la propria motivazione, di ottenere un visto d'ingresso a Bengodi. I cittadini bengodesi vogliono difendere i propri interessi (ognuno con la sua motivazione). Il gioco finisce quando la maggior parte degli Extra-bengodesi sono riusciti ad ottenere un visto.

 

    La situazione di partenza

 

Bengodi è un paese ricco dove si trova facilmente lavoro e le possibilità per studiare sono favorevoli. La situazione nei paesi extra-bengodesi invece non è così rosea. Conflitti, fame e mancanza di lavoro costringono molti cittadini extra-bengodesi a cercare la loro fortuna a Bengodi.

 

Preparazione

 

L'animatore deve preparare in anticipo una serie di forme geometriche ritagliate dai cartoncini secondo il seguente schema, partendo da un minimo di 15 partecipanti:

    6 cerchi (1 ambasciatore di Bengodi, 1 doganiere, 2 poliziotti della questura 1 industriale bengodese, 1 cittadino bengodese);

 

    2 semicerchi cittadini dell'unione bengodese;

 

    1 quadrato studente di paese extra-hengodese;

 

    3 triangoloni (triangoli lunghi) cittadini extra-bengodesi in cerca di lavoro;

 

    3 triangoli piccoli cittadini extra-bengodesi in cerca di asilo per motivi economici o politici.

 

Quando il gruppo è più numeroso si può aumentare il numero dei diversi ruoli tranne quello dell'ambasciatore.

Bisogna preparare, inoltre, la sala di Bengodi con uno spazio per la questura ben visibile, uno spazio per la fabbrica (in caso di gruppi numerosi si può aggiungere un posto per la chiesa). All ingresso della sala bisogna mettere un tavolo per la dogana in modo che il passaggio si restringa (la porta dovrebbe rimanere chiusa durante il gioco).

In uno spazio separato si prepara visibilmente il tavolo dell’ambasciata di Bengodi (all'esterno della sala di Bengodi). Fotocopiare la descrizione dei ruoli per ognuno dei sottogruppi. Fotocopiare l'istruzione per l'ambasciatore, per la questura e la dogana.

 

    Svolgimento

 

Spiegare al gruppo lo scopo del gioco e distribuire a caso i cartoncini con le figure geometriche (conviene però scegliere una persona rigorosa e decisa per il ruolo dell'ambasciatore, eventualmente un altro insegnante o animatore).

Mandare fuori dalla sala dei Bengodesi tutti i cittadini extra-bengodesi muniti della descrizione dei loro ruoli.

Assegnare i posti ai cittadini Bengodesi e distribuire le fasce bianche ai poliziotti e consegnare loro la descrizione dei propri ruoli.

Il gioco inizia quando tutti hanno letto la loro istruzione. Bisogna resistere alle domande di chiarificazione. I cittadini bengodesi devono informarsi presso la Questura se vogliono ottenere qualcosa. Conviene che l'animatore assuma il titolo di osservatore, segnalando eventualmente alla questura delle irregolarità da controllare. Sono permesse tutte le astuzie e trucchi per entrare a Bengodi. Tutto ciò può essere utile per la verifica finale.

Quando tutti i cittadini extra-bengodesi sono riusciti ad entrare in Bengodi si conclude il gioco e il gruppo discute insieme il vissuto e le dinamiche del gioco.

 

    Descrizione dei ruoli

 

    Cerchi - La Questura di Bengodi

I vostri agenti sono tenuti ad effettuare rigorosi controlli dei documenti dei cittadini extra-bengodesi ad eccezione dei portatori di semicerchi. Chi non è in regola con le leggi vigenti può essere espulso dal paese.

Inoltre, dovrete rilasciare lettere di garanzia richieste dai cittadini bengodesi che vogliono invitare un cittadino portatore di triangolo.

Per questo documento (la lettera di garanzia) occorre:

 

- la dichiarazione dei redditi

- il contratto di lavoro

- il contratto di affitto

- il certificato di residenza

- una marca da bollo da 10.000 lire

 

Dovete anche rilasciare e prorogare i permessi di soggiorno di tutti i cittadini extra-bengodesi. Avendo molto lavoro e molte richieste il vostro umore non è sempre dei migliori.

 

 

I portatori di quadrati

Avete voglia di scoprire altri paesi per approfondire le vostre conoscenze intellettuali. Bengodi vi stimola molto per le vostre possibilità di studio di alta qualità. Cercate di ottenere un visto d'ingresso per questo paese all'ambasciata di Bengodi.

 

    I portatori di semicerchi

Da poco si è creata l'Unione dei Paesi semibengodesi che facilita la libera circolazione per lavoro, studio o turismo di tutti i membri dell'Unione. Non occorre procurarvi un visto per recarvi a Bengodi, se vi andate per turismo. Se invece volete fermarvi per motivi di lavoro o di studio per una permanenza più lunga, dovete procurarvi un permesso di soggiorno alla questura di Bengodi.

 

    I portatori di triangoloni

Le prospettive di lavoro sono minime nel vostro paese. Molti dei vostri parenti o amici sono già riusciti ad entrare in Bengodi. Avete sentito molte cose positive. Tentate anche voi di ottenere un visto d'ingresso presso l'Ambasciata di Bengodi.

 

    I portatori di triangolini

La vostra situazione economica è disastrosa. Non sapete come sfamare la famiglia. Non si trova nessun tipo di lavoro nel vostro paese. Alcuni di voi subiscono persecuzioni per motivi politici. Cercate di entrare ad ogni costo in Bengodi, anche clandestinamente.

 

    Un cittadino di Bengodi

Vorresti invitare un amico portatore di triangolini che hai conosciuto durante un viaggio all'estero. Devi procurarti i documenti necessari per farlo arrivare in Bengodi. Puoi chiedere in questura che cosa ti occorre.

 

    Un industriale di Bengodi

I cittadini del tuo paese non vogliono più fare i lavori sgradevoli. Durante un viaggio all'estero trovi gente disponibile a lavorare per te. Cerchi di farla entrare nel tuo paese anche con mezzi non sempre puliti.

 

    Un rappresentante della chiesa di Bengodi (facoltativo)

Ultimamente si è notato un gran flusso migratorio a Bengodi. Mancano però case e strutture di accoglienza per tutti questi stranieri che spesso fanno un lavoro poco gratificante e vengono sfruttati. La tua istituzione si batte per i diritti degli stranieri e cerca di assisterli nel migliore dei modi.

Inoltre cercate di informare la gente del vostro paese sulle vere cause del flusso migratorio.

 

    Istruzione per l'ambasciatore

Il tuo interesse principale è di frenare il flusso migratorio nel tuo paese. Perciò il Ministero degli Esteri ha stabilito un elenco di condizioni per il rilascio di un visto di ingresso per i vari appartenenti dei paesi stranieri.

 

    I portatori di semicerchi

Possono ottenere un visto turistico presentando semplicemente un passaporto.

 

    I portatori di quadrati

Possono ottenere un visto di ingresso per motivi di studio ma non di lavoro, se sono in possesso di un diploma di studio riconosciuto dalle Università di Bengodi.

 

    I portatori di triangoli

Per ottenere un visto per turismo devono presentare una lettera di garanzia di una persona fisica, residente a Bengodi, oppure devono dimostrare che hanno sufficientemente denaro per pagare un soggiorno turistico in albergo.

Per ottenere un visto per lavoro devono essere in possesso di un contratto di lavoro con una ditta in Bengodi.

 

    Un doganiere di Bengodi

Come doganiere di Bengodi devi rigorosamente controllare tutti i documenti necessari secondo l'elenco del Ministero degli Affari Esteri. Chi non è in possesso dei documenti richiesti sarà respinto immediatamente. Stai attento a chi vuole entrare clandestinamente nel paese.

Perciò il Ministero degli Esteri ha stabilito un elenco di condizioni per il rilascio di un visto di ingresso per i vari appartenenti dei paesi stranieri.

 

    I portatori di semicerchi

Possono ottenere un visto turistico presentando semplicemente un passaporto.

 

    I portatori di quadrati

Possono ottenere un visto di ingresso per motivi di studio ma non di lavoro, se sono in possesso di un diploma di studio riconosciuto dalle Università di Bengodi.

 

 

 

Come sarò accolto?

 

A che serve

 

Il gioco offre l’occasione di sperimentare sentimenti, emozioni e comportamenti tipici dell’incontro fra persone di provenienze e culture diverse (per esempio, dell’incontro fra immigrati e residenti).

 

Come si gioca

 

Il conduttore invita i partecipanti al gioco a sedersi in cerchio e chiede ad un volontario di uscire dalla stanza; al suo rientro, i giocatori che sono rimasti seduti devono accoglierlo nello spirito suggerito dalla parola-chiave che il conduttore segnala al momento dell’ingresso dell’ospite .

 

La segnalazione avviene attraverso un cartello che il conduttore innalza alle spalle dell’ospite (che non deve prenderne visione ) al momento del suo ingresso nella stanza.

 

(le parole-chiave che il conduttore può scrivere sono, per esempio: interesse, indifferenza, aggressività, odio, ascolto, disponibilità, e così via ).

 

Il giocatore che esce dalla stanza e rientra con il ruolo di ospite, naturalmente, cambia di volta in volta.

 

Si può raccogliere qualche impressione e qualche emozione a caldo alla fine di ciascun turno, ma è preferibile rinviare la discussione alla fine del gioco per non disperdere la concentrazione dei giocatori.

 

i tempi

 

Ogni turno di gioco dura al massimo 2-3 minuti.

 

 

4. PER LA DISCUSSIONE E LA VERIFICA

TEST: Sei  razzista?

Il Razzismo deriva da un doppio fenomeno: da una parte la coscienza di appartenere ad un gruppo, dall’altra la volontà di affermare, imporre, mantenere una differenza tra il proprio gruppo e gli altri. Rispondendo sinceramente alle domande seguenti – prese da un questionario dello psicologo francese J.L. Arnaud – potrai scoprire quali sono i tuoi orientamenti relazionali con l’altro.

 

1.      Se i tuoi genitori decidessero di ospitare in famiglia uno studente, per te sarebbe importante tener conto del colore della sua pelle?

 

a)     Sì, per non complicare maggiormente i problemi di integrazione

b)     Il colore della pelle non importa, basta solo che sia simpatico e educato

c)      Qualunque persona, ma non di un’altra razza

 

2.      Che ti parrebbe se avessi un professore extra-comunitario

 

a)     Lo considererei uguale agli altri

b)     Penserei che sia meno preparato degli Italiani

c)      Penserei che potrebbe insegnarmi tante cose nuove e interessanti

 

3.      Come vedi l’aumento di immigrazione?

 

a)     Fa solo aumentare la criminalità

b)     Deve essere tenuta sotto controllo

c)      É un fenomeno positivo per la nostra società

 

4.      Se un amico o parente uscisse con una persona di un’altra razza

 

a)     Preferirei non uscire con loro

b)     Rispetterei la sua decisione

c)      Mi piacerebbe conoscere questa persona

 

5.      Che ne pensi della cucina esotica?

 

a)     Non esiste cucina migliore della propria

b)     Potrei provarla

c)      Mi attira molto

 

6.      Sei favorevole al libero ingresso di lavoratori stranieri nel tuo Paese?

 

a)     Dipende. Sì per gli Europei, no per gli Extra-comunitari

b)     Sì, ma solo se in possesso di un posto di lavoro

c)     

 

7.      Pensi che ci sia una correlazione tra immigrazione e disoccupazione?

 

a)     Gli Extra-comunitari occupano posti di lavoro che potrebbero essere occupati da Italiani

b)     C’è lavoro per tutti!

c)      Gli Extra-comunitari fanno lavori rifiutati da tutti

 

8.      Come valuti i risultati sportivi ottenuti dagli atleti di colore?

 

a)      La spiegazione va trovata nel desiderio di rivalsa che essi hanno nei confronti dei bianchi

b)      Non hanno molta importanza

c)       Ammiro e invidio questi atleti

 

9.      Che ne pensi dei “meticci” (figli di genitori di razze doverse)?

 

a)     È una faccenda personale

b)     È un processo involutivo

c)      Serve per il miglioramento genetico della razza umana

 

10. Tutte le razze sono uguali?

 

a)    

b)     Sì, in teoria; in pratica si differenziano per grado di sviluppo e cultura

c)      No

 

11.  I centri di accoglienza per stranieri nel nostro Paese dovrebbero essere

 

a)     Ridotti

b)     Migliorati

c)      Aumentati

 

12.  Cosa pensi degli stipendi?

 

a)     Gli stipendi devono essere più alti per i cittadini che per gli immigrati

b)     Gli stipendi devono essere regolati in base alle competenze ed al tipo di lavoro

c)      Il salario deve essere uguale per tutti

 

13.       Un matrimonio “interraziale” è più difficile di un matrimonio tra persone della medesima razza?

 

a)     Sì, sicuro

b)     Ci sono maggiori differenze culturali e sociali

c)      È lo stesso

 

14.       I lavoratori stranieri devono

 

a)     Tornarsene a casa

b)     Accontentarsi di quello che trovano, che è sicuramente migliore rispetto a quello che hanno nel loro Paese

c)       Poter migliorare il loro livello professionale e sociale

 

15.       Che ne pensi della presenza di culture diverse nella nostra società?

 

a)     La cultura occidentale è superiore alle altre

b)     Potrebbe essere interessante

c)      E’ stimolante e arricchente

 

Valutazione

 

Se la maggior parte delle risposte corrispondono alla lettera:

 

a)      Sei un razzista incallito e viscerale, cerca di abbandonare i tuoi pregiudizi e apriti un po’ di più al nuovo; la tolleranza verso gli altri ti arricchirà.

 

b)      Le tue risposte sono abbastanza equilibrate, sei tollerante, ha uno spirito aperto, ma non hai ancora eliminato i tuoi pregiudizi. Se lo farai, la tua personalità se ne avvantaggerà.

 

c)      Sei estremamente aperto, senza alcun pregiudizio razziale, forse un po’ idealista. Riesci a vivere nel concreto le tue idee?

(da Mision Joven)

Le parole del razzismo colpiscono come pietre

 

Sono riportati qui sotto quattro casi successi negli Stati Uniti (riportati da Furio Colombo sulla “Stampa”) che hanno fatto discutere aspramente la società americana. Li riproduciamo per una eventuale discussione di gruppo. L’educatore può presentarli tutti assieme e discutere con tutti i presenti, oppure affidare ad ogni gruppetto un singolo caso da discutere riportando poi il frutto della discussione nel gruppone  in modo da confrontare tra loro le valutazioni date. Può sempre servire la vecchia domanda: “se io fossi stato al posto di uno dei protagonisti come mi sarei comportato?”. Questo potrebbe avere un effetto ancora maggiore se lo usassimo con la tecnica del “gioco dei ruoli”.

 

Primo caso. Un gruppo di studenti della Brown University (una delle più prestigiose degli USA) si era dato questo impegno: recitare alcune frasi sgradevoli ogni volta che passava vicino uno studente nero. Non posso ripetere le frasi. Erano di disprezzo e implicavano disgusto morale e fisico. Gli studenti hanno protestato, i professori si sono indignati. Ma gli autori delle frasi hanno invocato il primo emendamento della Costituzione americana, che protegge qualsiasi tipo di discorso.

 

Secondo caso. Nel campus di un'altra prestigiosa università americana, Dormouth, la «Dormouth Review», che non è controllata dall'Università ma è fatta da studenti e si vende nel campus, ha cominciato a inserire in copertina frasi del Mein Kampf di Hitler «tanto per dare un po' fastidio ai ragazzi ebrei».

Lo scandalo è stato enorme, ma di nuovo gli autori hanno invocato la protezione della Costituzione. Si tratta solo di parole - hanno detto - e le parole sono libere e protette.

 

Terzo episodio (ma ne cito solo alcuni fra i tanti). Alla Michigan State University è diventato «di moda» formare pattuglie di giovani bianchi che circondano e «scortano» una ragazza nera mentre va da una classe all'altra, recitando le frasi e scenette che rappresenterebbero quello che una giovane nera desidera fare con gli uomini. Anche in questo caso i tentativi di intervento disciplinare del corpo accademico sono stati vanificati dalla invocazione del primo emendamento della Costituzione.

 

Quarto episodio. Siamo di nuovo a Dormouth. Un professore nero di musica diventa la vittima di una campagna bene organizzata di studenti che ne chiedono l'espulsione. Si fa così. Ogni trenta secondi uno degli studenti interrompe e fa una domanda. Prima che l'insegnante possa formulare una risposta parte un'altra domanda, in tono sempre più sprezzante. «Lei che, dato il suo gruppo di origine, è così primitivo, potrebbe provare a spiegare.....»

 

Il materiale del dibattito finisce qui, perché è nostro interesse verificare il livello razzismo presente dentro ognuno di noi.  Se però si vuole sapere come è andata a finire la vicenda in America, riportiamo il seguito dell’articolo di Colombo

 

Contro il parere dei costituzionalisti del Paese, è intervenuto il prof. Gregorian, presidente della Brown University. Ha deciso che se la costituzione protegge il «free speech», si deve però affrontare un punto intermedio in cui si evita la sopraffazione. Ha detto che in certi casi le parole (le «fighting words») diventano fatti. Ha detto che se non si fermano quando hanno raggiunto una certa pienezza d'odio (è sua l'espressione) diventano fatalmente aggressioni fisiche. Ha citato il tipo di discorsi che in Europa hanno preceduto il terrorismo. E ha espulso gli studenti che avevano inventato la rituale e continua aggressione verbale ai neri.

 Subito le altre università hanno seguito l'esempio. In un Paese in cui l'opinione pubblica ha un ruolo molto grande la stragrande maggioranza degli studenti, che vuole parlare ma anche ascoltare, che obietta con durezza ma vuole una risposta, che rivendica la propria libertà ma ha orrore della persecuzione, ha sostenuto le decisioni dei rettori. La Corte Suprema sta esaminando il caso, ma molti giuristi ritengono che in certi casi, davvero, le parole sono pietre, dunque armi.   (Furio Colombo)

Suggerimenti per organizzare attività di grande coinvolgimento

Vogliamo qui dare alcune sommarie indicazioni riguardo ad attività inerenti l’accoglienza delle differenze, che possono essere richiamo per l’intera comunità e risultare complementari alle attività soprattutto di gruppo che abbiamo prima descritto.

 

*   Festa dei popoli: si tratta di organizzare una grande festa mettendo a tema la presenza dei popoli nelle nostre realtà, attraverso la cultura, le tradizioni, i cibi, le musiche, i vestiti e tutto ciò che li può riguardare. Importante è che nei casi in cui la comunità sia direttamente in contatto con gruppi di immigrati, siano loro a suggerire e organizzare gli apporti specifici. Validissima per cominciare o terminare una fase periodica di lavoro.

*   Incontro con un testimone privilegiato: importante è incontrare chi ha sperimentato sulla propria pelle il disagio e la durezza dell’intolleranza o chi lotta affinché il razzismo e la violenza cessino. È fondamentale però situare questi incontri all’interno di un cammino o di un progetto globale, al fine di evitare l’improvvisazione e la casualità dell’apporto.

*   Mostra dei prodotti del consumo equo e solidale: è possibile far avvicinare le persone alle altre culture anche attraverso il cibo, l’artigianato insomma il prodotto locale. Perché allora non sfruttare il canale delle botteghe di commercio equo (cf. Note’s Graffiti in NPG 7/97).

*   Pub multiculturale: organizzare un pub con piatti, musiche, atmosfere di paesi e culture poco conosciuti. Opportuno invitare extra-comunitari per cucinare i piatti, per scelta musiche e arredamenti, per spiegare le caratteristiche della loro cultura e come occasione di conoscenza più approfondita.

-Mostra “Gli altri siamo noi: laboratorio per una società multiculturale”. Mostra per bambini e ragazzi fra i 10 e i 15 anni. Non si tratta di una mostra nel senso tradizionale, ma piuttosto di un percorso di giochi educativi che stimolano i partecipanti a riflettere sulle proprie reazioni e risposte di fronte ai problemi che via via incontrano, ad esprimere le proprie opinioni e a cercare soluzioni. Attraverso questi giochi, i bambini arrivano a familiarizzare con gli otto temi presenti nella mostra a proposito di pregiudizi e discriminazione. Lo scopo della mostra è quello di offrire ai ragazzi una percezione di come vengono “creati” i capri espiatori e di come si diffondono pregiudizi e discriminazioni. Oltre alla conoscenza e alla percezione, le attività propongono ai ragazzi alcune possibili linee d’azione. Scoprire, sperimentare e agire sono le tre parole chiave della mostra.  Nella conclusione della mostra i ragazzi diventano giornalisti. Questo gli dà l’opportunità di assimilare l’esperienza dopo la visita. Fanno interviste, articoli, poesie...su quello che hanno capito e vogliono comunicare agli altri. La mostra è itinerante e si può richiedere rivolgendosi a:

*   Nord: Pace e Dintorni, Via Pichi, 1 - 20143 Milano; tel. 02/58.10.12.26;
             CISV, Corso Chieri, 121/6 - 10132 Torino, tel 011/89.93.823

- Centro: Associazione Tamburi di Pace, Via Saluzzo 19, 00181 Roma; tel. e fax 70304539

- Sud: COPE, via Crociferi 38 - 95124 Catania; tel. 095/317390

E inoltre si può organizzare:

Cineforum tematici: Un organismo attrezzato e da anni esperto in rassegne e festival sul cinema africano è il  COE, Centro Orientamento Educativo, via Lazzaroni, 8 - 20124 Milano, tel. 02/66.80.14.52

Tavole rotonde

Tornei sportivi

Visite interculturali alle realtà “altre” presenti nel vostro territorio.


BIBLIOGRAFIA MINIMA

*   AA. VV., Il pregiudizio antisemitico in Italia, Newton Compton, Roma, 1984

*   ALLPORT C. W., La natura del pregiudizio, La Nuova Italia, Torino, 1973

*   BATTUGLIA M. W., Meridionali e settentrionali sulla struttura del pregiudizio etnico in Italia, Il Mulino, Bologna, 1959

*   BOUDON R., L'ideologia origine dei pregiudizi, Einaudi, Torino, 1991

*   CALEGARI P., Il muro del pregiudizio, Liguori, Napoli, 1994

*   COLASANTI G., Il pregiudizio, Angeli, Milano, 1994

*   DELLE DONNE M., Lo specchio del "non sé". Chi siamo, come siamo nel giudizio dell'altro, Liguori Editore, Napoli 1994.

*   FUBINI G., Lungo viaggio attraverso il pregiudizio, Rosenberg & Sellier, Torino, 1996

*   GHIRELLI M., Immigrati brava gente, Milano, Sperling, Kupfer, 1993

*   GIUSTINELLI F., Razzismo scuola e società. Le origini dell'intolleranza e del pregiudizio, La Nuova Italia, Th 1991

*   GOULD S. J., Intelligenza e pregiudizio. Le pretese scientifiche del razzismo, Editori Riuniti, Roma, 1985

*   MAZZARA B., Appartenenza e pregiudizio. Psicologia sociale delle relazioni interpersonali, NIS, Roma, 1996

*   MAZZARA B., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna, 1997

*   MEZZINI M. - TESTIGROSSO T. - ZANINI A., La fabbrica del pregiudizio. Per conoscere ed affrontare i pregiudizi culturali nella scuola, Ed. Cultura della Pace, Fiesole, 1994

*   MERINGOLO P., Il rifiuto dello straniero pregiudizi e stereotipi nell'educazione interculturale, in AA.VV., Scuola e società multiculturale, La Nuova Italia, Firenze, 1992, pp. 141-150

*   NANNI C. (a cura di), Intolleranza, pregiudizio ed educazione alla solidarietà, LAS, Roma, 1995

*   NANNI A. - WALDEMARIAM H., Stranieri come noi. Dal pregiudizio all'intolleranza, EMI, Bologna, 1994

*   RICCIARDI RUOCCO M., Educazione e pregiudizi, Armando, Roma, 1966

*   TAGUIEFF P. A., La forza del pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1994

*   TENTORI T., Il rischio della certezza, Studium, Roma, 1987

*   VAN DIJK T., Il discorso razzista. La riproduzione del pregiudizio nei discorsi quotidiani, Rubbetino, Catanzaro, 1994

*   WATZLAWICK P. (a cura), La realtà inventata, Feltrinelli, Milano, 1988.

 

 

INDIRIZZI UTILI

 

*   ALMA MATER, via N. Rosa 13/a, 10100 Torino, tel 011/24.64.330.

*   È un centro di educazione interculturale delle donne, che opera soprattutto attraverso il teatro.

 

*   ARCHIVIO DELL'IMMIGRAZIONE, Via S. Maria dell'Anima, 30 - 00186 Roma, tel./fax: 06/68.32.766.

L'archivio mette a disposizione materiali di documentazione, corsi di educazione interculturale, supporti per mostre e iniziative culturali, stage antirazzisti, strumenti come l'Agenda Razzismo. Oltre 500 cassette, tra le quali 50 video tematici della rassegna Nonsolonero su immigrazione e razzismo, di cui si può richiedere copia all'Archivio.

 

*   CEM, Centro di Educazione alla Mondialità, via Piamarta 9 - 25121 Brescia, tel. 030/37.72.780, fax 030/37.72.781.

 

*   CENTRO PSICOPEDAGOGICO PER LA PACE, via Genocchi, 22 - 29100 Piacenza, tel. 0523/32.72.88.

*   CESVI, via PIGNOLO, 50 - 25100 Bergamo, tel. 035/24.39.90.

 

*   Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo, via Palermo, 36 - 00184 Roma, tel. 06/48.88.03.11, fax 06/48.88.03.28.

 

*   Centro di Informazione Documentazione e Iniziativa per lo Sviluppo, via della Viola, 1 - 06122 Perugia, tel. 075/57/20/895, fax 075/21.234.

 

*   CRES MANI TESE - Via Cavenaghi 4 - 20149 Milano - tel. 02/480.086.17.

 

*   CTM, via N. Cataldi, 21 - 73100. Lecce, tel. 0832/64.87.36

 

*   FORUM PER L'INTERCULTURA, Segreteria centrale c/o Caritas Diocesana di Roma - Area Immigrati, via delle Zoccolette, 17 - 00186 Roma - tel. 06/68.93.888, fax 06/68.33.295.

 

*   LANDIS - Laboratorio Nazionale di Didattica della Storia - via Castigliona 25, 40124 Bologna, tel. 051/22.51.86, fax. 051/26.00.90.

 

*   Il Landis è un centro particolarmente attivo sul versante della lotta agli stereotipi e al razzismo.

 

*   NERO E NON SOLO - ARCI SOLIDARIETÀ, via dei Mille 23, 00185 Roma, tel. 06/44.65.455, fax 44.65.934.

 

*   PROGETTO EDUCAZIONE INTERCULTURALE, un luogo permanente di formazione, ricerca e consulenza alle scuole, promosso e diretto da Duccio Demetrio, c/o Università degli Studi di Milano - Istituto di Pedagogia, via Festa del Perdono, 7- 20122 Milano, tel. 02/58.352.920.

 

*   VIDES, v. S. Saba,14 –00153 Roma; tel. 06/57500048; fax 06/5750904.

 

*   VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, via Appia Antica 126 - 00176 Roma, tel. 51.30.256, fax 51.30.276.

 

 

 


 

MICROFONO APERTO

"Sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone" (At 10, 34)

La sentinella

 

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella cui era abituato, faceva d'ogni movimento una agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia di anni quest'angolo di terra non era cambiato. Era comodo per quelli dell'aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ci avevamo sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c'era arrivato anche il nemico. Il nemico, l'unica altra razza intelligente della Galassia... crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.

Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie. Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano d’infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all'erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l'avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle. E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più. Il verso e la vista del cadavere` lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, si erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d'un bianco nauseante, e senza squame.

(F. Brown)

La delusione nello stivale

Quando io frequentavo la scuola elementare studiavo la geografia e in quel periodo vedevo la carta geografica: il professore mi diceva sempre che lo stivale era la nazione dell’Italia.

Io desideravo visitare questo “stivale”. Alla fine della scuola, per una brutta esperienza dovetti lasciare il Marocco per andare in Occidente.

Nel mio viaggio visitai la Spagna, la Francia e l’Italia.

In Italia trovai un lavoro in nero e un alloggio con i miei amici. La prima difficoltà incontrata, e tuttora non completamente risolta, fu quella della lingua, perché parlavo solo Arabo sia sul posto di lavoro che a casa; per questo motivo iniziai a frequentare un corso d’Italiano per impararlo, perché io credo che la lingua non serva solo per ottenere un posto di lavoro, ma per la vita quotidiana.

Quando cominciai a capire l’italiano sentii tutti i giorni domande diverse che non mi sarei aspettato. Prima pensavo che gli Italiani cercassero di conoscere il clima del mio Paese perché al nord, sulle montagne, oltre i 2000 metri c’è sempre la neve e a sud un bel deserto; oppure, pensavo che volessero conoscere la storia del mio paese, dove ci sono le città mitiche come Marrakech dove si ascolta la musica tradizionale 24 ore su 24.

Pensavo che volessero chiedermi degli atleti marocchini che raggiunsero il record dei 1500, 2000, 3000, 5000 metri, che mi parlassero della squadra marocchina che vinse il Portogallo (3-1) nei Mondiali del Messico ’86. Invece mi chiesero: voi nel deserto avete i semafori? Avete la radio? Anche voi avete la frutta? Avete i treni? Per voi il maiale è un signore? È vero che la moglie costa 200 cammelli? Voi avete 10 mogli?

Nel dicembre ’89 si promulgò la legge Martelli dove si stabilì il regolamento per l’immigrazione. All’inizio della legge tutti gli extra comunitari pensavano che l’immigrato avesse acquistato gli stessi diritti dell’Italiano.  Però questa fu una legge nata morta. Non ha risolto i problemi, li ha complicati. E per questo fino ad ora gli immigrati vivono una brutta situazione ed il razzismo è aumentato.

Molti dicono: gli immigrati rubano posti di lavoro a noi Italiani. Io rispondo: noi lavoriamo come muratori, come operai nelle cave di porfido, come raccoglitori di verdure e frutta (per lo più in nero), posti di lavoro che voi Italiani rifiutate.

Pur avendo un titolo di studio superiore o universitario riconosciuto dallo Stato Italiano non troviamo lavoro qui equivalente agli studi e accettiamo qualunque altro lavoro.

La legge Martelli ha detto che tutti gli immigrati regolari hanno diritto al lavoro, alla salute, alla casa, però fino ad adesso (cioè da più di due anni) nessuna casa popolare è stata consegnata ad un extracomunitario perché il sistema della graduatoria favorisce chi ha la cittadinanza italiana. Per questo problema sono nate delle associazioni e cooperative e sono arrivati dei contributi alle Province ma fino ad adesso solo una cooperativa, quella di Verona, ha iniziato a funzionare. Noi, come immigrati, chiediamo all’Ente Pubblico di favorire l’affitto di alloggi agli extracomunitari perché il nostro problema principale è l’inserimento e l’integrazione. Senza un vero inserimento non ci potrà essere convivenza.

(Larbi Bella, in “La Masca” 12.4.92)

Il “tempo” visto da un abitante delle isole Samoa

I Papalagi per gli abitanti delle isole Samoa sono gli europei. I discorso riportati sono stati pronunciati dal capo Tuiavii di Tiavea, venuto in Europa per rendersi conto della cultura che tanto aveva incantato i suoi conterranei. Ne riporta le seguenti impressioni che confida ai suoi compatrioti. Secondo lui  i Papalagi hanno sbagliato le cose fondamentali.

 

“In Europa ci sono solo poche persone che hanno veramente tempo. Forse non ce n'è proprio nessuna. Per questo la maggior parte di loro corre attraverso la vita come un sasso che sia stato lanciato. Quasi tutti camminano guardando per terra e agitano le braccia per procedere il più velocemente possibile. Quando qualcuno li ferma dicono irritati: “Perché mi devi disturbare, non ho tempo, cerca di sfruttare bene il tuo”. Si comportano proprio come se chi è più veloce valesse di più e fosse più valoroso di chi procede lentamente. Ho visto un uomo mettersi le mani nei capelli, digrignare i denti e strabuzzare gli occhi come un pesce agonizzante, diventare rosso e verde e sbattere mani e piedi, perché il suo servitore era arrivato più tardi di un soffio. Il soffio era per lui una grande perdita, irreparabile. Il servitore fu costretto a lasciare la capanna, il Papalagi lo cacciò e gli gridò: “Mi hai rubato tempo abbastanza. Chi non rispetta il tempo non ne è degno”.

 

Solo una volta ho incontrato un uomo che aveva molto tempo e non si lamentava mai per la sua mancanza, ma quest'uomo era povero, sporco e abbandonato. La gente si teneva alla larga da lui e nessuno lo rispettava. Non riuscivo a comprendere un tale comportamento: camminava senza fretta e i suoi occhi sorridevano in modo tranquillo e amichevole. Quando lo chiesi a lui la sua espressione si alterò e disse tristemente: “Non ho saputo mai utilizzare il mio tempo e per questo sono una povera nullità disprezzata da tutti”. Quest'uomo aveva tempo ma neanche lui era felice.

 

Il Papalagi dedica tutte le sue forze e i suoi pensieri a trovare il modo di rendere sempre più pieno il tempo. Utilizza l'acqua e il fuoco, la tempesta, i lampi del cielo per trattenere il tempo. Costruisce ruote di ferro per i suoi piedi e dà ali alle sue parole per avere più tempo. E perché tutta questa gran fatica? Cosa fa il Papalagi con il suo tempo? Non l'ho mai capito veramente, anche se parla e gesticola come se il Grande Spirito lo avesse invitato ad un ricevimento.

 

Credo che il tempo gli sgusci via come un serpente tra le mani umide, proprio perché lo tiene troppo stretto a sé. Non gli lascia il modo di riprendersi. Gli corre dietro dandogli la caccia, tendendo le mani, non gli concede alcuna sosta perché possa stendersi al sole. Il tempo deve stargli sempre vicino, deve cantargli e dirgli qualcosa. Il tempo però è quieto e pacifico, ama la tranquillità e starsene disteso su una stuoia.

 

Il Papalagi non ha compreso il tempo, non lo capisce, e lo maltratta con i suoi rozzi costumi.

 

Cari fratelli! Non ci siamo mai lamentati per il tempo, lo abbiamo amato così come è venuto, non gli siamo mai corsi dietro, non lo abbiamo mai voluto concentrare o dilatare. Non è stato mai per noi motivo di disagio o di fastidio. Si faccia avanti chi tra noi non ha tempo! Tutti noi abbiamo tempo in gran quantità; e siamo soddisfatti del tempo che abbiamo, non abbiamo bisogno di più tempo di quanto ne abbiamo e comunque ne abbiamo abbastanza. Sappiamo che arriviamo sempre in tempo ai nostri obiettivi e che il Grande Spirito ci chiama a lui secondo la sua volontà, anche se non conosciamo il numero delle nostre lune. Dobbiamo liberare il povero, il confuso Papalagi dalla follia, dobbiamo distruggergli la sua piccola macchina del tempo rotonda e annunciargli che dall'alba al tramonto c'è molto più tempo di quando un uomo possa avere bisogno".

 

[da: Papalagi. Discorsi del Capo Tuiavii di Tiavea delle isole Samoa, Mille Lire Stampa Alternativa, 1992, pp. 30-32]

 

L'uomo che ti somiglia

 

Ho bussato alla tua porta

ho bussato al tuo cuore

per avere un buon letto

per avere un buon fuoco

perché respingermi?

Aprimi, fratello!

Perché domandarmi

se sono dell'Africa

se sono dell'America

se sono dell'Europa?

Aprimi, fratello!

Perché domandarmi

la lunghezza del mio naso

lo spessore della mia bocca

il colore della mia pelle

e il nome del mio Dio?

Aprimi, fratello!

Io non sono un nero

io non sono un rosso

io non sono un giallo

io non sono un bianco

io non sono che un uomo.

Aprimi, fratello!

Aprimi la tua porta

aprimi il tuo cuore

perché io sono un uomo.

L'uomo di tutti i tempi

l'uomo di tutti i cieli

l'uomo che ti somiglia.

Aprimi, fratello!

(René Philombe)

 

 

“Non Piangere”

Non piangere madre

Perché il piangere

dopo la mia morte

ti porterà all’ombra

di un triste sogno.

Non piangere, madre

lasciami vivere, da solo

la mia tortura.

Non piangere madre,

qui non son morto di fame

qui ho pane e latte

qui il mattino vedo il sole,

qui la pioggia cade senza far rumore,

qui le città son distese di cemento,

qui la dolce neve mi dà gioia.

Non piangere, madre,

qui la notte dormo come tutti

gli animali,

qui mi hanno dato un solo nome

Negro, sporco povero negro.

Non piangere, madre.

Larbi Bella

 

La storia occidentale vista dagli Irochesi

 

"Per molto tempo il nostro popolo si è posto questa domanda: come e stato possibile che sia arrivata sulle nostre terre una cultura che non ha rispetto per nessuna cosa? Una cultura che sfrutta ogni aspetto della sua esistenza, la gente che vive al suo interno e tutte le cose con cui viene a contatto? Così, circa dodici anni fa decidemmo di metterci a studiare noi, come antropologi indiani, per dare una risposta a questa domanda, e decidemmo anche di mettere da parte la cultura occidentale. Uno dei fenomeni che succedono nelle nostre comunità, in particolare da quando sono giunti i missionari, è che quelli di noi che accettano le cose che i missionari vengono a dire si despiritualizzano, nel senso che non vedono più gli alberi come entità viventi, non credono più nella relazione diretta che hanno con gli esseri viventi a quattro zampe. A questo punto abbiamo pensato che ci deve essere qualcosa di strano in ciò che questo Cristianesimo mette in testa alle persone. Così abbiamo cominciato a studiare per prima cosa il Cristianesimo ed abbiamo scoperto una cosa assai importante: nel momento in cui Gesù Cristo arrivò nel Medio Oriente, la cultura era già fuori strada; l’uomo aveva già acquistato delle cattive abitudini quando Cristo arrivò sulla terra; la gente aveva già in mente che si potevano sfruttare gli altri esseri umani. L’Impero Romano era già organizzato incredibilmente bene per lo sfruttamento razionale degli uomini.

 

Ma i Romani avevano ereditato questa attitudine da altri popoli, i quali a loro volta la avevano ereditata da altri ancora, di modo che, già a quel tempo, questa storia era vecchia di almeno duemila anni. Non ci rimaneva che identificare il momento preciso in cui la Civiltà aveva perso la strada maestra.

 

Noi crediamo che questi popoli abbiano smesso di portare rispetto al mondo molto tempo fa. Molto tempo fa, tutti i popoli del mondo credevano le stesse cose e seguivano lo stesso Modello di Vita: quello dell'armonia con l'universo. Tutti vivevano in perfetto accordo con l'Ordine Naturale. [...]

 

Oggi la specie umana si trova a dover affrontare il problema della sopravvivenza. Il modo di vivere conosciuto come Civiltà Occidentale è su un sentiero di morte al quale la stessa cultura non è in grado di dare risposte di vita. Quando si trova di fronte alla realtà della sua stessa distruttività, non può far altro che proseguire verso condizioni di distruzione sempre più efficaci. La comparsa del Plutonio su questo pianeta è il segnale più chiaro che la nostra specie è in difficoltà. È un segnale che la maggior parte degli Occidentali ha scelto di ignorare. L'aria è fetida, le acque sono inquinate, gli alberi muoiono, gli animali stanno scomparendo. Noi pensiamo che persino il clima stia cambiando. Le istruzioni originarie, dateci dal Creatore, ci hanno avvertito che se l'uomo avesse interferito sulle leggi Naturali sarebbero successe le cose che stanno succedendo.

 

Quando si sarà estinto l'ultimo dei Modi di Vita Naturali, tutte le speranze di sopravvivenza umana saranno estinte con esso. E il nostro Modo di Vita sta rapidamente scomparendo, vittima dei processi distruttivi. Essenzialmente il nostro messaggio al mondo è un richiamo alla coscienza fondamentale. La distruzione dei popoli e delle culture native è portata avanti dallo stesso processo che ha distrutto e che sta distruggendo la Vita su questo pianeta. La tecnologia, il sistema sociale che ha distrutto la vita vegetale e animale, sta distruggendo anche le popolazioni Native. Questo processo è la Civiltà Occidentale".

 

*   [da: Per un risveglio delle coscienze. Messaggio degli Irochesi al mondo occidentale. La Fiaccola, Ragusa, 1986 ]