EDUCAZIONE ED ESPRESSIVITA’

Giuliano Vettorato

 

 

Vent’anni fa veniva pubblicata una ricerca destinata una pietra miliare nella storia della sociologia della gioventù: “Silent Revolution” a cura di Ronald Inglehart. Essa, partendo dalla teoria gerarchica dei bisogni elaborata da Abraham Maslow, ipotizzava che nelle società opulente dell’Occidente fossero stati soddisfatti i bisogni di tipo primario e stessero emergendo bisogni nuovi, che egli chiamò “psot-materialisti”, che si manifestavano come “coscienza politica progressista”. Questo lavoro fu molto significativo non solo perché era un’indagine a carattere transnazionale, ma soprattutto perché superava un limite delle ricerche sociologiche del tempo, tutte concentrate sul “cambio politico”. Inglehart invece suggeriva una interpretazione culturale, affermava che il cambio stava avvenendo, ma non tanto dal punto di vista politico, ma da quello culturale: un cambiamento negli orientamenti di valore, nella mentalità, nella struttura di personalità. Un cambiamento lento, poco visibile, una “rivoluzione silenziosa”, ma proprio per questo, più profonda e duratura. A vent’anni di distanza dobbiamo riconoscere che l’intuizione di Inglehart era giusta. Oggi vediamo che la gioventù non è affatto affascinata dalle utopie politiche, ma sta cambiando, sta evolvendo come mentalità, costumi, caratteri. Un cammino che trova nella espressività una delle vie privilegiate di manifestarsi.

Per il termine “espressione” si intende la “manifestazione, mediante linguaggio verbale o altri sistemi simbolici, di sentimenti, intuizioni, atteggiamenti della personalità” (M. Dalla Casa). I comportamenti “espressivi” sono,  secondo Malsow, quelli che “esprimono” lo stato dell’organismo, perciò sono spontanei, passivi, non volontari, non critici. Essi sono attività o reazioni inutili, non dettate dal bisogno di ottenere dei risultati pratici. Sono esperienze "fine" e non mezzo. Esprimono uno stato di abbandono in cui deve cessare l'inibizione, l'autocoscienza, la volontà, il controllo, l'acculturazione, la dignità, lo sforzo. Hanno un andamento dall'interno all'esterno, sono motivati dalla crescita, dal bisogno di sviluppo ed espressione dell'organismo. A questo tipo di comportamenti corrispondono molte delle attività di tempo libero, come il gioco, lo svago, il relax, la danza, la musica. Ma anche l’amicizia, l’amore, lo stare insieme, il divertimento possono rientrare in questa classe di comportamenti.

All’espressività si contrappone la strumentalità che si caratterizza come una volontà tesa ad un fine, alla soluzione di un problema, alla riduzione di una minaccia al mutamento dell’ambiente o alla risposta a stimoli ambientali. Questa strumentalità è stata anche associata allo spirito dell’achievement o di acquisizione-successo, che ha caratterizzato gli uomini che hanno fatto la rivoluzione industriale. Spirito che ha alimentato il mito del self made man, il sogno americano, e che ancora si trova nei giovani rampanti e in generale nelle persone in carriera.

Questi elementi sono presenti in ogni persona, ma nei giovani sembra prevalere in genere l’orientamento espressivo, almeno fino a quanto non entrano nel ciclo produttivo. Questo orientamento va accolto come richiesta di “qualità di vita”, come segno di un nuovo tipo di progresso,. L’educazione pertanto è chiamata a cogliere questo orientamento a farsene carico per favorire e incoraggiare tutti gli elementi positivi, per correggere e limitare quelli distruttivi. L’espressività, infatti, tende a svilupparsi per conto proprio, senza sentirsi in debito con nessuno, anzi evitando ogni intervento istituzionale. Tuttavia, come apparirà dagli articoli che seguono, anche l’espressività corre dei rischi. Sarà compito dell’educatore assumere questo orientamento per tutta la dinamica positiva che porta in sé, favorirne l’affermazione tra i giovani e nella società, ma anche governare il mutamento in modo che esso non cresca selvaggiamente, contro la società e contro l’individuo.

In queste pagine affronteremo l’argomento partendo da una situazione concreta: “la discoteca”, una situazione in cui la soggettività giovanile sembra trovare il massimo della sua espressione. In un numero precedente della rivista è stata presentato una ricerca sugli adolescenti che vanno in discoteca (“Teenagers in discoteca”, NPG 9/98) senza però fermarsi sulle ricadute che questa ricerca può avere a livello educativo. In questo dossier invece proveremo a fare alcune riflessioni educative, partendo dalle provocazione che la discoteca pone al sistema formativo e agli adulti in generale. Ma l’argomento non sarà né la discoteca né cosa si può fare per evitare i rischi della discoteca. A tema sono gli adolescenti, la loro cultura, il loro mondo, i nuovi bisogni che stanno emergendo. Approfitteremo della discoteca, intesa come indicatore di tendenze diffuse tra i giovani. Infatti “le discoteche hanno il vantaggio di mettere in evidenza condizioni e caratteristiche operanti nella generalità degli adolescenti e dei giovani. Per questo le discoteche hanno avuto e continuano ad avere una risonanza così signficativa” (Cravero). Gli educatori possono pertanto partire dalle provocazioni della discoteca per capire meglio i giovani e pensare soluzioni inedite…

Il dossier si articolerà in due parti:

1.      Tentativo di interpretazione delle domande educative che nascono dai bisogni di tipo espressivo che i giovani manifestano nella frequenza delle discoteche.

2.      Suggerimento di un tipo di risposta ai bisogni espressivi diverso e più costruttivo di quello della discoteca.

 

 

 

 


Discoteca: SPIA DI NUOVI BISOGNI

DA UNA RICERCA SULLA DISCOTECA L’EMERGERE DI BISOGNI ESPRESSIVI NEI GIOVANI

 

 

Come abbiamo rilevato nel numero dossier “Teen-agers in discoteca” (NPG 9/98), la discoteca rappresenta una risposta a bisogni adolescenziali, altrimenti disattesi o trascurati dalle istituzioni e dalle agenzie educative. Essa appare agli adolescenti come un passaggio “obbligato” dell’essere giovani: lì vi trovano amici, divertimento, novità musicali, avventure. Per molti giovani è una delle poche attrattive del week-end, l’unica alternativa al bar, al gironzolare in moto per il quartiere, alle miriadi di ore passate su muretto o sul  sellino del motorino. In discoteca non si va solo per divertirsi; essa riveste un ruolo come segmento di socializzazione giovanile: lì si impara a comunicare, ad affrontare la realtà, ad adattare il proprio comportamento a realtà nuove ed impreviste. E così essa diventa agenzia di socializzazione, nel senso pieno del termine: oltre a far incontrare le persone, sviluppa una “cultura” specifica (anche se non particolarmente elaborata e riflessa).

E’ giocoforza accettare questa funzione socializzatrice della discoteca, anche se ciò non deve significare accettarne tutti gli aspetti. L’educatore non può non rilevarne i limiti, che sono costituiti dalla incapacità di dare una risposta che vada oltre la soddisfazione immediata e provvisoria di bisogni che necessitano di attenzioni più profonde. La sfida educativa va colta proprio in questo: battere la discoteca senza entrare necessariamente in aperto conflitto con essa (destinato inevitabilmente a uscirne sconfitto), ma nella risposta più adeguata e profonda ai bisogni che la discoteca evidenzia.

Ritengo infatti che, al di là degli inevitabili e mai sufficientemente deprecati eccessi cui la discoteca dà luogo, il fenomeno riveli l’emergere di bisogni nuovi, cui il sistema formativo non offre risposte adeguate. Risposte fornite invece dal sistema socioeconomico, che ha capito meglio e prima di altri queste esigenze e ha saputo offrire risposte più puntuali e pertinenti ai nuovi bisogni giovanili.

 

BISOGNI GIOVANILI E TEMPO LIBERO

Prima di evidenziare i vari aspetti in cui declinare una proposta educativa secondo le nuove esigenze giovanile, è opportuno fare alcune precisazioni. La prima riguarda la possibilità e le modalità di educare la domanda in quanto continuamente messa in questione da nuove emergenze. La possibilità di educare la domanda presuppone un educatore attento ai giovani e alle loro esigenze, capace di leggere i loro bisogni e di sollecitare una risposta più profonda ed autentica.

Una lettura dei bisogni

Leggere educativamente un bisogno significa cogliere da una manifestazione giovanile (sia positiva che negativa) una domanda implicita di “ulteriore”. La discoteca con le sue caratteristiche di attrattiva per i giovani e di rischio, si pone come ambiente emblematico per tentare questo tipo di lettura.

Il bisogno è una realtà assai complessa e di non facile interpretazione. Esso proviene fondamentalmente dalla struttura psicofisica del soggetto e viene da lui percepito come mancanza di qualcosa, che, se protratta diventa sofferenza. Ma è una percezione vaga, indistinta. Non ha ancora un obiettivo fisso. Se è già difficile interpretare i bisogni di bambino appena nato (e non basta l’istinto o l’esperienza della madre), la difficoltà cresce con l’età, perché i bisogni aumentano, aumenta la complessità dell’individuo, ma soprattutto aumentano i tipi di risposte e quindi le possibilità di soddisfarlo. Questo aumento è dovuto ai mille modi che la società, ogni società, ha elaborato per soddisfarlo. Per cui sovente il bisogno si struttura in base alle risposte che uno conosce. Questo processo, se da una parte rende automatica la soddisfazione di certi bisogni, complica la sua interpretazione, perché la domanda diventa di un certo prodotto o elemento e  non la semplice evidenziazione di una carenza. L’interazione tra cultura e natura nella strutturazione del bisogno è uno dei processi più elaborati che esistano ed è difficile ricondurre i segnali all’originale. In effetti gli studiosi si sono guardati bene dal definire dettagliatamente quali siano i bisogni dell’uomo. Abraham Maslow, che ha fatto della lettura dei bisogni il caposaldo della sua impostazione, si è fermato ai “bisogni fondamentali”. Agnes Heller, che negli anni ’70 per la sua rilettura della teoria dei bisogni di Marx, supera il vecchio limite marxista, introducendo la categoria dei “bisogni radicali”. Riconosce che è impossibile distinguere tra bisogni naturali e bisogni indotti, perché il bisogno indotto è comunque sempre un "bisogno" a cui la società ha dato un certo tipo di risposta. L’unica cosa è riconoscere alcuni bisogni “radicali”, che, stanti questo tipo di società e cultura, devono essere comunque soddisfatti, mentre invece altri sono puramente opzionali, superflui o addirittura dannosi.

Questa indicazione va accettata anche per il nostro argomento. La discoteca rivela dei bisogni nei giovani che è impossibile misconoscere o negare, o anche solo dichiararli “attività di ragazzi vuoti, che non sanno cosa fare e ingannano il tempo andando in discoteca”. Invece riconosciamo che la discoteca rivela bisogni che non sono stati soddisfatti da altre agenzie. Essi necessitano di essere colti dall’educatore per una risposta in linea con un progetto di maturazione globale del giovane.

Pertanto più che lotta alla discoteca, va cercata una integrazione tra la proposta della discoteca e quella educativa e politica. A parte gli aspetti più degenerativi, che vanno decisamente combattuti o controllati, per il resto dovrebbe prevalere un atteggiamento di collaborazione tra gestori di discoteche ed educatori/amministratori per ottenere che i primi da una parte si impegnino a scoraggiare forme degenerative e dall’altra aiutino gli educatori a cogliere i bisogni reali della gioventù e a rispondervi in maniera più adeguata.

Non si tratta di scimmiottare le discoteche o volerle far diventare luoghi educativi per forza, ma di evitarne gli elementi inquinanti e fare tesoro di ciò che la discoteca evidenzia per progettare un’educazione che tenga conto di tutti gli aspetti della vita. Sarebbe a dire che inserisca tra i suoi obiettivi quello di assumere anche i bisogni evidenziati dalla discoteca, cercando di risalire e trovare quale era il bisogno originario. Questo, correttamente interpretato, può diventare oggetto dell'attenzione educativa: trovare delle modalità di risposta che soddisfino questo bisogno, ma anche il più generale bisogno di crescita che c'è nel giovane e di cui l’educazione si fa carico. Si tratta quindi di inserire questi bisogni in un progetto educativo generale. Operazione tutt’altro che facile e scontata.

Tenteremo di rileggerne qualcuno che riteniamo più originale e di dare qualche risposta. Ma più che altro vogliamo suscitare il problema.

Tempo sottratto all’educazione?

Una seconda questione riguarda la possibilità di fare opera di educazione in discoteca. E’ opinione diffusa, anche se latente e mai espressa chiaramente, tra gli educatori, che la discoteca, come tutto il tempo libero, sia tempo sottratto all’educazione, tempo in cui l’educatore scompare e il ragazzo è libero di fare quanto più gli aggrada. Ovviamente i ragazzi sono ben contenti di questa posizione degli educatori e son disposti a pagare anche in attenzione e comportamenti controllati pur di avere poi il loro tempo libero in cui scatenarsi, liberi da controlli. Anzi, cercano di sottrarre più tempo possibile alle istituzioni per averne di più.   Per quanto questa convinzione sembri corretta (che senso avrebbe parlare di tempo libero, se poi non si è liberi davvero?) essa rivela delle convinzioni di fondo per lo meno discutibili.

La prima convinzione che sorregge questo impianto è una visione dicotomica del tempo, retaggio della divisione del lavoro e quindi anche del tempo, di ascendenza industriale, che ritiene che in tempi diversi si debba operare secondo logiche diverse: il tempo occupato come tempo "obbligato", tempo della fatica, della noia; il tempo libero come tempo del piacere, di autoespressione, di autodirezione e quindi di ri­scatto e di liberazione[1]. Questo adattamento alla logica industriale porta a personalità tendenzialmente schizofreniche, che agiscono in modo molto diverso a seconda dei momenti e degli ambienti. Ecco allora ragazzi molto controllati a scuola e in famiglia, che poi si scatenano al sabato sera ballando, ubriacandosi o impasticcandosi, abbandonandosi a qualsiasi comportamento sfrenato e molesto, perché devono rifarsi di una settimana di continuo controllo e di soffocamento della loro soggettività. C'è invece un bisogno dentro l’uomo che si chiama di "integrità" o "totalità"[2], cioè di sentirsi un tutt'uno con se stessi, di saper comporre insieme tutte le parti proprie ed integrarle con le proprie funzioni, di percepire la realtà in modo ordinato e coerente, di sapere integrare i dati che si ricevono in continuità con quelli precedenti, di superare il senso dell'effimero e del transitorio e di agire secondo questi principi. La mancanza di rispetto di questa dimensione provoca sofferenza e problemi.

La seconda convinzione sembra derivare dalla certezza che educazione si realizzi solo dove c’è controllo da parte dell’educatore. Ora, per quanto il controllo costituisca una dimensione dell’intervento educativo, non sembra che essa sia essenziale, a6nzi, il venir meno del controllo può costituire un elemento di verifica della bontà del processo educativo. Perciò il tempo libero può diventare un’ottima occasione per verificare se si sta educando oppure invece ammaestrando delle persone. Il tempo libero è il momento in cui il processo educativo passa dalle mani dell’educatore a quelle dell’educando, che ha così l’occasione di diventare effettivamente protagonista della propria crescita, formatore di se stesso.

E’ sintomatico quanto ha appurato in questo senso la ricerca COSPES “L’età incompiuta”: dalle risposte della maggioranza degli adolescenti italiani risulta che per loro il tempo libero è l'occasione migliore (forse addirittura l'unica) per sperimentare la loro nuova identità, visualizzata nelle mille occasioni che si presentano, man mano che scoprono e utilizzano le energie interiori che hanno a disposizione a livello fisico, intellettivo ed emotivo. Il tempo libero si rivela uno «spazio personale» fondamentale dove esercitare quell'interazione, che facilita il passaggio dalla piattaforma infantile (il preadolescente) a quella adulta (l'uomo che sarà). Infatti il «tempo libero» è un tempo in cui l’adolescente può essere se stesso perché‚ lontano dagli occhi dei genitori‚ può rispecchiarsi nel comportamento dei coetanei.

Questi risultati dicono dunque che anche il tempo libero (e di conseguenza la discoteca)  può essere tempo formativo, perché l’adolescente lo percepisce come tempo di autonomizzazione, di espressione di sé e, in definitiva, come una esplorazione in funzione di un chiarimento della propria identità.

Però il tempo libero è un tempo educativo in modo diverso dagli altri tempi, perché l’educatore non può intervenire direttamente sul ragazzo. Perciò l’adulto può essere educatore del tempo libero solo a patto di preparare prima a questo momento o accompagnare l’adolescente con una guida discreta e lungimirante.

Il fatto poi che il tempo libero stia diventando un tempo sempre più importante per le persone, sia in termini quantitativi che qualitativi, fa sì che l’educazione debba prendersi in carico la costruzione di abilità specifiche per il tempo libero. Fino a pochi anni fa l’obiettivo dell’educazione era principalmente orientato a costruire delle personalità che sapessero inserirsi professionalmente nel mondo. Il lavoro orientava la socializzazione. Ora invece è più il tempo libero che socializza. Pertanto l’educazione deve integrare l’orientamento professionale con quello ludico-edonistico, far apprendere non solo le competenze professionali e i valori dell’impegno, fatica, sforzo, sacrificio, responsabilità, precisione, competitività, ma anche le competenze per gestire bene il tempo libero, per sapersi divertire “bene”, per saper approfittare delle opportunità ricreative del territorio, per sapersi relazionare con gli altri, e vivere i valori dell’espressività, del piacere, del gioco, del riposo, sviluppando il gusto del bello, del gratuito, dell’inutile. Abilitare dunque la persona a gestire bene il tempo libero, in senso costruttivo, e impedire che il tempo libero si traduca in un tempo di noia, di destrutturazione, di dissipazione, di violenza, di avvilimento della persona.

L’attenzione ai nuovi bisogni giovanili si traduce sovente in attenzione alle esigenze che nascono dalla maggior disponibilità di tempo libero da parte degli adolescenti, tempo in cui la soggettività giovanile ha più occasione di esprimersi, e dalla necessità che anche questo tempo sia formativo.

I nuovi bisogni espressivi degli adolescenti

L'ambiente della discoteca porta a riconoscere l'esistenza di situazioni nuove tra gli adolescenti e giovani, che fanno intravedere l'emergere di nuovi bisogni, connessi prevalentemente con la sfera "espressiva". Di questi bisogni vogliamo occuparci ora, cercando di capire cosa l'educazione possa fare a riguardo.

La maggior attenzione ai bisogni espressivi nasce da due condizioni: da una parte dal benessere raggiunto che permette di ritenere abbastanza soddisfatti i bisogni di tipo materiale e consente di rivolgere l’attenzione a bisogni meno impellenti, ma comunque necessari alla realizzazione della persona; dall'altra dal fatto sociale della disoccupazione e più in generale dalla marginalità dell'adolescente nell'attuale società: situazione che spinge l'adolescente a cercare una sua realizzazione più sul versante espressivo che su quello acquisitivo. Questi fattori, insieme ad altri, come la maggior libertà individuale, la crescita della soggettività, la caduta del mito del progresso, possono aiutare a capire il senso e la direzione del fenomeno.

Sta di fatto che oggi ci troviamo di fronte ad uno sviluppo impressionante di attività espressive: le tante forme di gioco, divertimento, viaggi, vacanze, feste, attenzione alla cultura, all'arte… Ma in generale si nota una grande interesse per il sé, per il proprio benessere psichico, oltre che fisico: in genere si ascoltano di più i propri bisogni intimi, si cerca di soddisfare tutti i bisogni dell’organismo.

Questo orientamento è oggetto anche dell’educazione. Si è infatti assistito allo sviluppo di attività espressive sia nella scuola (attività artistiche, che sviluppano la creatività) come anche nella catechesi (metodi attivi). Ma non sembra che per ora questo orientamento sia diventato maturo ed autonomo. C'è ancora in queste strutture una posizione dominante del pensiero acquisitivo (competitività esasperata, attenzione ai contenuti più che alle modalità di trasmissione e agli atteggiamenti, prevalenza dei programmi sulle persone…). Per cui la dimensione espressiva è lasciata ai margini: al tempo libero o al tempo delle attività extradidattiche, all'oratorio, alla scuola elementare, alle materie poco importanti…  Occorre invece rendersi conto che proprio il recupero dell'espressività potrà permettere all'educazione di recuperare credibilità e "funzionalità" agli occhi dei suoi destinatari.

Imparare ad ascoltarsi e capire il modo più adatto di soddisfare i propri bisogni deve diventare un obiettivo dell’educazione di domani.

Il bisogno di riappropriarsi della corporeità

I bisogni espressivi si manifestano innanzitutto a livello corporeo. Il corpo è il modo attraverso cui io sono presente nel mondo, vivo concretamente l’esistenza, posso essere con gli altri e realizzarmi. Il corpo è ciò che permette all’uomo di esprimersi, di comunicare con gli altri: è “linguaggio”. Linguaggio che trova la forma più alta nella “parola”, ma che non può misconoscere che la parola è nient’altro che il vertice di una serie di modalità espressive di cui il corpo è la fonte. Corpo che parla attraverso il linguaggio dei segni: i gesti, la mano, il volto, la mimica facciale, gli occhi, il ridere ed il piangere, il bacio, la danza. Corpo che si esprime e comunica attraverso il vestirsi e lo scoprirsi, il trucco o la foggia dei capelli. Segni che manifestano l’intervento culturale dell’uomo contro ogni improbabile pretesa di “naturalità”.

Il corpo sta al centro dell’attenzione della discoteca, dove è fatto oggetto di attenzione deliberata nel ballo e nella musica. Ma anche è al centro per l’ostentazione di sé che viene fatta attraverso il l’abbigliamento, il trucco, le esibizioni in pista. Tutto è investito sul corpo. “Il corpo in primo piano” si potrebbe definire. Anche le trasgressioni vedono la centralità del corpo sia nelle intemperanze alimentari (alcool, droghe) che in quelle sessuali, come anche in quelle motorie (ballo sfrenato e prolungato, velocità delle corse in auto quando si ritorna dalle discoteche). Gli adolescenti in discoteca manifestano un forte bisogno di riappropriarsi del corpo e di usarlo come strumento espressivo e di ricerca d'identità. Infatti da alcune testimonianze risulta che il tema del corpo sia, da parte loro, oggetto di attenzioni specifiche, come risulta da questa testimonianza riportata nella ricerca Cravero:

"Curo tantissimo il mio corpo quando vado in discoteca. Anzi il mio corpo si cura da solo, non c'è bisogno che lo curo io. Lo faccio perché voglio essere un figo, per baccagliare" (Ivan, 16 anni).

Inoltre, nella medesima ricerca il 43% dice che:

"Occorre fare molta attenzione al viso, trucco, abbronzatura, acconciatura, taglio dei capelli"[3]

 

La centralità del tema del corpo trova una spiegazione nel mutamento culturale della nostra epoca. Per millenni l’educazione cristiana (e occidentale) ha insistito sulla superiorità della mente (o anima) sul corpo ed è stata improntata al controllo delle facoltà razionali su quelle istintive del corpo. Oggi invece il corpo è stato rivalutato in tutta la sua ricchezza fino a farne uno strumento di rivendicazioni, a chiederne la liberazione: come luogo del desiderio, dell'affermazione di sé contro ogni potere, contro l'alienazione. Molte attese di autorealizzazione e di affermazione sociale passano attraverso il corpo. Si comprende così l'esplosione di attenzioni e di pratiche legate al corpo, cui stiamo assistendo in questi anni. Si è sviluppata una cultura che porta a esaltare il corpo, la salute fisica, la forma, inseguendo il mito di un’improbabile eterna giovinezza. Bisogna fare footing, stretching, break-dance, massaggi e, quando non basta, si ricorre al lifting ed al silicone. Così assistiamo in questi anni allo sviluppo di palestre, body-building centers, piscine, saune, health club ed altri templi del culto della scultura corporea. Questa cultura sta investendo anche i giovani. Il body-building, le arti marziali e tutta una serie di attività in palestra stanno riscuotendo un notevole successo tra i giovani. Da una parte vi è lo sport come agonismo competizione gara, dall'altra vi è invece il culto del proprio corpo, l'esigenza di adeguarsi a standard corporei, in cui prevale l'immagine, piuttosto che benessere che dallo sport si può trarre. Anche la cura dell'estetica in generale, del viso, del corpo, è fatta per rispondere a questa logica. In questi ultimi anni si è assistito all'aumento delle vendite di prodotti per la cura del corpo per maschi. Si registra l'aumento di persone tatuate o con anelli in tutte le parti del corpo. Anche il successo della discoteca può essere il frutto di questo generale movimento di esaltazione e valorizzazione del corpo.

Questo vasto orientamento impone una maggior attenzione anche a chi fa educazione. Non si può limitarsi a coltivare un buon cervello (anche se rimane importante), fornire nozioni. Si richiede che l'educazione assuma tutta la sfida che le viene dallo sviluppo della corporeità. Sia per una educazione che sia veramente "integrale", sia per una corretta educazione "fisica". Anche perché non solo si è scoperto e lo si è valorizzato. C'è in atto una ipervalutazione del corpo, uno sfruttamento, un abuso. Certe intemperanze alimentari, motorie (ballo), di resistenza (sulle auto come sui deltaplani, al mare o sulle montagne), gli eccitanti, le droghe, star svegli per 48 ore di seguito… tutto questo non è certo fa del bene al corpo. Qui dovrebbe intervenire la medicina con lezioni d'igiene.  Ma lezioni non tradizionali, nozionistiche, quasi che sapere una cosa basti per cambiare il comportamento. Il corpo dev'essere utilizzato anche nell'apprendimento, non solo passivamente (= ascoltare), ma come esercizio attivo, come partecipazione, sperimentazione, esercitazione, finché la nozione diventi competenza, abilità, virtù.

Pertanto l'educazione ha davanti la possibilità di far intervenire di più il corpo nell'apprendimento. Inoltre il compito di dare un'educazione "corporea", aiutando ad esprimersi attraverso il corpo, ed aiutando a gestire bene il proprio corpo, in modo che la ricerca di benessere possa trovare una corretta via di realizzazione. 

Inoltre, di fronte alle eccessive attese di autorealizzazione riposte nel corpo, magari a scapito della razionalità (e ancor di più dello spirito), sarà importante recuperare le linee di una educazione integrale. Se si  sviluppa correttamente il tema dell’unità tra corpo e spirito, dell’armonia tra le facoltà dell’uomo, si può  far tesoro delle indicazioni che provengono dal risveglio della corporeità, integrandole con una giusta valutazione della razionalità, senza che questa travalichi i suoi confini, ma sia una corretta interprete di tutte le esigenze della persona.

Bisogno di relazionalità e comunicazione

Il linguaggio dell’uomo è volto essenzialmente alla comunicazione con gli altri, con cui ha costruito un insieme di codici comunicativi. Quindi il corpo è innanzitutto strumento di comunicazione. Attraverso esso costruisce i gruppi, la società.

Uno dei motivi per cui gli adolescenti vanno in discoteca è per comunicare. I giovani hanno oggi un bisogno crescente di comunicazione. Di fronte ad una società che ha formalizzato e burocratizzato i rapporti essi riscoprono il valore dei rapporti faccia a faccia, della comunicazione completamente gratuita.

Lo stare con gli altri è una delle aspirazioni più forti nella vita dell'adolescente e il modo principale con cui riempie il tempo libero. Secondo la Ricerca COSPES, “L’età negata”, il tempo fuori casa è quasi interamente occupato da contesti relazionali: “incontrare amici” (93%), o “il proprio gruppo” (81%). Tutte le principali attività di tempo libero, tra cui la discoteca,  non sono quasi mai da soli, ma in compagnia. Il gruppo è una realtà importante per l’adolescente: esso costituisce la sponda ideale per il traghettamento all’età adulta. Attraverso di esso l’adolescente si affranca dalla invadente tutela della famiglia, fa esperienza di socialità, sperimenta ruoli sociali e abilità personali, trova modelli di comportamento e di identificazione, discute le proprie idee e prova ad agire in conformità al suo sentire. E’ ormai assodato che esso costituisce un’esperienza fondamentale nel processo di maturazione adolescenziale. Esso rappresenta una soluzione funzionale al bisogno di socialità e di sostegno emotivo nel momento della transizione adolescenziale. Attraverso l’esperienza di gruppo l’adolescente ha l’occasione di evolvere in socialità e di elaborare una propria identità che si avvale dei modelli e dei meccanismi del gruppo per manifestarsi e definirsi.

Pur essendo l’esperienza del gruppo precedente e più estesa della discoteca, diventa però anche un elemento della vita della discoteca in quanto si viene in discoteca con un gruppo di amici e, pur aprendosi ad altre conoscenze,  si conserva un rapporto privilegiato con gli amici che fanno da supporto, tutela, difesa dell’individuo nella grande bolgia della discoteca, soprattutto in quelle di grosse dimensioni.

Tuttavia a volte i gruppi, soprattutto se strutturati a forma di banda, condizionano in modo pesante l’individuo, lasciandogli scarso spazio per una propria evoluzione individuale. Prevale il codice della banda, la chiusura autoreferenziale, il conformismo più assoluto, la fedeltà al gruppo che può diventare connivenza o omertà, il senso del possesso di una zona che può essere anche la stessa discoteca, la chiusura verso gli altri gruppi, la provocazione nei loro riguardi fino allo scontro. Così il gruppo presenta anche dei rischi: rischio di conformismo, di asservimento ad un capo o alla pressione di gruppo, rischio di comportamenti violenti o devianti, rischio di comunicazioni superficiali o banali.

 Evidentemente questo modo di fare gruppo non può trovare consenziente un educatore perché rappresenta una malattia nei confronti di un’autentica esperienza di gruppo. Il gruppo deve dare dei supporti, un modello, un’organizzazione, dei codici culturali ed etici. Ma deve anche aprire verso il futuro, la società, gli altri. Aiutare ad inibire le tendenze distruttive della personalità o della società, non favorirle, codificandole come comportamenti legittimi anzi dovuti. Pertanto l’esperienza di gruppo, così come sovente è vissuta dai gruppi che frequentano la discoteca, che non si pongono nessun obiettivo di crescita, di maturazione, di integrazione con la società, non parliamo di servizio, è certamente un’esperienza angusta che deve aprirsi ad apporti più sostanziosi.

Gli educatori, pertanto, hanno anche una vasto campo di intervento. La dinamica dell’incontro esige l’attivazione di specifiche disposizioni, come ad esempio senso di apertura, stile di accoglienza, capacità comunicativa, disponibilità all’ascolto, volontà di compartecipazione. Queste caratteristiche non mancano, in genere, nelle ultime generazioni. Ma non è detto che queste attitudini si trovino in tutti gli adolescenti e a un grado convincente di sviluppo. Tra i frequentatori di discoteca si sono registrare forme comunicative superficiali, standardizzate, violente. Perché l'educazione non si fa carico anche dell'educazione alla comunicazione?

Sarà importante abilitare l’adolescente ad agire socialmente e a comunicare correttamente, resistendo anche alle pressioni del gruppo per essere se stesso. Per ottenere ciò si deve aiutare gli adolescenti ad avere un proprio quadro valoriale di riferimento, a strutturare la propria personalità, cercando di essere fedeli a se stessi, pur con la dovuta flessibilità, a riflettere sui propri comportamenti e ad agire secondo motivazioni profonde.

Inoltre è importante acquisire competenze comunicative adeguate. Troppo sovente nell’adolescente la timidezza, l’inesperienza nei riguardi delle sensazioni che prova, l’incapacità di esprimere i sentimenti diventa una trappola che lo fa cadere in forme comunicative stereotipate, che nascondo invece che rivelare la ricchezza che egli ha dentro.

L’adolescente può essere aiutato a superare questi imbarazzi attraverso l’educazione linguistica e l’acquisizione delle competenze comunicative necessarie per relazionarsi correttamente agli altri e per esprimere autenticamente se stesso. Ma anche gli educatori sono stimolati ad acquisire queste competenze. Sarebbe opportuno imparare dagli adolescenti a “perdere tempo”, a fermarsi a chiacchierare in modo informale, a stare con loro nei luoghi di divertimento e di tempo libero, senz’altro scopo che condividerne la vita. Solo così si realizza quella relazione educativa che è fondamentale e preliminare ogni altra attività educativa….

Bisogno di relazionarsi con un partner

Una particolare forma di comunicazione è quella che avviene tra uomo e donna, in virtù delle caratteristiche sessuali che li distinguono e li rendono complementari l’uno all’altro. Questa diversità di ‘genere’ costituisce un potente appello ad uscire fuori di sé ed incontrare l’altro, completandosi nel dono reciproco. Questo bisogno è molto sentito dagli adolescenti che vanno in discoteca, ed una delle ragioni del suo richiamo. Certamente non è un bisogno nuovo, né originale, ma nuovi sono i modi attraverso cui oggi si esprime.

S’è osservato in questi anni un mutamento di costume che consente di affrontare la sessualità senza quei vincoli biologici a cui era stata da sempre sottoposta. S’è così potuto operare una distinzione tra amore (che ha bisogno di esprimersi anche sessualmente) e riproduzione. Con questa si è ottenuto una liberalizzazione dei rapporti tra i sessi: c’è maggior facilità di stabilire un contatto, di iniziare una relazione, di avere dei rapporti, senza che questo voglia dire subito matrimonio, figli, famiglia. Il sesso può essere usato liberamente come espressione del sentimento: c’è una visione più gioiosa, serena, disinvolta della sessualità. L’espressione dell’amore ha riscoperto il linguaggio del corpo: I giovani concepiscono il sesso come “necessità di riscoprire la tenerezza, di imparare a toccarsi e ad accarezzarsi, di vivere liberamente la propria sensorialità, di esprimere - per dirla con la psicoanalisi - tutta la dimensione del corpo perverso-polimorfo”[4].

Questo ha comportato un modo nuovo di rapportarsi tra persone, più semplice, più aperto: un riconoscimento della parità tra i sessi. Da parte della donna una maggior consapevolezza di sé e del suo posto nel mondo. Nella società globalmente ciò ha voluto dire una maggior sensibilità alla persona ed al rapporto tra persone.

Questa nuova sensibilità comporta l’assunzione di una diversa prospettiva rispetto al sesso e all'amore di coppia, un cambiamento di mentalità soprattutto in ambito cattolico, dove tutto riguardava il sesso doveva essere represso e sanzionato. L'espressione di sé passa attraverso tutta la gamma del linguaggio del corpo e quindi anche quello sessuale, che dev'essere composto in una prospettiva di vera educazione integrale.

D’altra parte un educatore non può ignorare anche i pesanti condizionamenti e le deviazioni che la pratica sessuale a volte porta con sé. Il rapporto che i frequentatori di discoteche intrattengono con partner di altro sesso non ha i requisiti che chiederebbe una sana maturazione sessuale. Il rischio di strumentalizzazione dell’altro ai propri capricci è fin troppo evidente e risulta chiaro anche dalle ammissioni di alcuni intervistati. Le relazioni sovente sono di genere superficiale, connotate da edonismo ed egoismo, poco improntate al rispetto dell’altrui persona e non finalizzate alla costruzione di un futuro insieme. Inoltre sono evidenti segni di difficoltà di intesa tra i sessi e le denuncie di molestie sessuali lo testimoniano in maniera inequivocabile.

Pertanto si richiede all’educazione una forte attenzione alla formazione dell’identità sessuale e alla costruzione di un quadro di valori in cui la sessualità ed il rispetto per l’altro come persona sia centrale. A questo la discoteca non dà risposta, anzi rischia di introdurre un atteggiamento edonistico e permissivo eccessivo che può pregiudicare la capacità di approccio autentico con le persone di altro sesso. Essa può essere funzionale per vincere alcune timidezze iniziali e per aprirsi ad un mondo più ampio di quello familiare o di piccolo gruppo, ma essere pregiudicante per la prosecuzione della maturazione morale e psicologica della capacità di intimità e relazione con l’altro.

E' importante riproporre il valore della persona, come qualcosa di assoluto e inviolabile, il rispetto dell’altro per quello che egli è, indipendentemente dal grado di vicinanza o lontananza con noi.

Questo non solo per quanto attiene ai rapporti tra i sessi, ma anche tra gruppi rivali o all’interno dello stesso gruppo con soggetti più deboli. Il valore della persona va educato fin dagli inizi, in tutti i rapporti interpersonali, senza eccezioni. Quando cominciano a manifestarsi dei segni di prevaricazione di una persona sull’altra, la qualità dei rapporti ne risente e si instaurano pericolosi precedenti che diventano una minaccia alla pacifica convivenza civile. Per questo l’educazione all’alterità dev’essere un obiettivo inderogabile di ogni educazione: impedire che i rapporti si sclerotizzino, che le persone vengano strumentalizzate.

Bisogno di divertirsi, ricerca di felicità, gusto del piacere

Nell’andare in discoteca i ragazzi rivelano una forte ricerca del piacere, del godimento, della felicità per se stessa. E’ anche questa una concezione nuova per la nostra società occidentale: l'etica del dovere, del sacrificio, di ascendenza calvinista, viene sempre più sostituita dall'etica del gioco, del piacere. Questo nuovo orientamento valoriale prende in genere di sorpresa il sistema formativo, abituato per lunga tradizione a predicare le virtù dell’impegno, della fatica, della dedizione quasi maniacale al proprio dovere, del sacrificio e della rinuncia. Il piacere è una dimensione della vita umana che l’educazione tradizionale non considerava degna di attenzione, anzi era vista con sospetto.

Si assiste a casi i cui educatori sul piano personale hanno introiettato questi principi, ma a cui riesce ancora difficile declinarli in campo educativo. Anche perché non è facile: come motivare altrimenti l’impegno scolastico, la fatica di apprendere ed esercitarsi, l’acquisto delle virtù e la lotta ai difetti e ai vizi? Ci troviamo di fronte a scelte impegnative e di non facile soluzione. Sono state tentate strade per rendere più piacevole lo studio, il lavoro, per alleviare le fatiche, per rendere gradevoli anche le rinunce… Tentativi interessanti, ma che mostrano tutto il loro limite quando si arriva al “dunque”. Tra una partita di calcio e una riunione chi di noi non sceglierebbe la prima? Si tratta quindi di trovare una via di mezzo che permetta di conciliare l’uno, senza perdere l’altro. In questo senso penso debba andare la ricerca. Non bisogna infatti dimenticare che piacere e rinuncia sono le due facce della stessa medaglia, e non si dà l’uno senza l’altra. Una corretta educazione richiede che siano contemplate entrambi le condizioni di vita e si educhi alla necessaria alternanza di momenti di rinuncia e momenti di divertimento. Ed a questo proposito mi sembra interessante ciò che è stato rilevato in alcuni studi: che le cose preparate prima e che richiedono impegno sacrificio, dedizione, rinuncia alla fine danno più gratificazione che quelle in cui mancano queste caratteristiche[5].

Perciò è necessario che l’educazione si converta e si assuma anche il compito di educare a “vivere il piacere”. Ciò non vuol dire affidare il ragazzo nelle mani del vizio. Si tratta di trovare le strade giuste attraverso cui il piacere si manifesta e scoprire i modi migliori per procurarselo e assaporarlo. L’educazione a vivere il piacere autentico, porta progressivamente a distinguere tra false e vere promesse di piacere. Quello che è da evitare è di confondere il piacere con la soddisfazione consumistica, con l’abbandono incondizionato alle pulsioni del momento, con lo scatenamento incontrollato degli istinti. Probabilmente in una società repressa il piacere voleva dire questo, ma in una società molto più permissiva, come quella in cui stanno crescendo i nostri ragazzi, la ricerca del piacere può diventare più equilibrata e lungimirante. Anche il caso della sessualità, affrancata in trent’anni di rivoluzione sessuale dai molti controlli sociali, sta dando ragione a questo assunto: ci si accorge che non basta esprimersi come ci si sente per essere felici. Ed un certo ritorno alla continenza e all’intimità di coppia di adolescenti e giovani testimonia che i tentativi di soluzione sociale di un problema procedono sovente secondo la legge del pendolo. Questo non ci garantisce sulla bontà delle soluzioni adottate, però ci dice che socialmente ad un esagerazione se ne contrappone un’altra di tipo diverso e si tende ad una posizione di equilibrio, secondo la legge dell’omeostasi. Ovviamente con questo non abbiamo risolto il problema, però dovrebbe aiutare gli educatori a deporre tante delle loro paure e in seconda battuta ad avere il coraggio di proporre agli adolescenti delle scelte impegnative anche per essere più soddisfatti.

Perciò bisognerà abilitare l’adolescente a fare delle scelte impegnative, orientate al futuro, senza lasciarsi ammaliare dalle sirene del momento. Per allenarlo a questo sarà opportuno chiedergli di fare delle rinunce quotidiane, assumersi degli impegni, esercitarsi in compiti che richiedono fatica anche fisica. Ma soprattutto sarà importante offrirgli delle prospettive per il futuro, delle ragioni per sperare, delle motivazioni per fare rinunce. I "coatti" del piacere, che si sentono costretti a divertirsi a tutti i costi sono i più insoddisfatti di tutti.

Bisogno di rilassarsi

Liberarsi dalla fatica e dallo stress della vita moderna è diventata una necessità. Molti adolescenti scelgono la discoteca proprio per rilassarsi, dimenticare tutto, creare una rottura con la quotidianità.  Può sembrare strano che un adolescente che non lavora abbia bisogno di rilassarsi.

“Da che cosa?” chiederà qualcuno.

Questi sono ragionamenti da adulti. In realtà gli adolescenti consumano enormi quantità di energie, soprattutto psichiche. Per loro la vita, a dispetto delle apparenze, non è facile.  Il passaggio dall’età infantile, la fatica di crescere - fisica, psichica e morale -, l’impatto spesso deludente con una società poco accogliente, i conflitti interni, i problemi di identità, dell’immagine di sé, i problemi del proprio futuro, la costruzione di un proprio quadro mentale di riferimento, i problemi affettivi e relazionali… tutto per loro è nuovo e chiede una continua rielaborazione. A questo si aggiungono i problemi quotidiani, dalla scuola alla famiglia, dagli amici all’amore nascente, dal bilancio ai mille impegni da conciliare. Se non avessero a disposizione una risorsa pressoché infinita di energie, non riuscirebbero a far fronte a tali richieste. Le difficoltà di adattamento dell’adolescente all’ambiente è certamente superiore a quella di un adulto, e più uno è in conflitto (aperto o sommesso) con l’ambiente, tante più energie nervose spende. Quindi non deve stupire se si sente un adolescente dire che è stanco. E’ una verità. Anche se gran parte delle sue difficoltà nascono dalla incapacità di adattarsi all’ambiente e di trasformarlo in modo realistico. Sovente le sue pretese sono tali da non concedere spazio alle mediazioni. Ecco allora nascere le opposizioni stolide o le sottomissioni passive. Ciò provoca ulteriore sofferenza e affaticamento.

Per evitare il perpetuarsi di questa situazione è opportuno operare a due livelli: da una parte sulla capacità di adattarsi al meglio all’ambiente, dall’altra sulla capacità di gestire il tempo libero come tempo di relax e di recupero energetico. La prima capacità non è oggetto di questo articolo. La seconda invece va vista con attenzione. La discoteca e il tempo libero dovrebbero assolvere ad una funzione di riequilibrio energetico.

Però va tenuto presente che sovente l’adolescente interpreta questa funzione in modo errato e controproducente. Molti comportamenti giovanili (sballo, abitudini nottambule, sregolatezza alimentare, ecc.) ottengono l’effetto contrario di quello che ci si propone. Invece di aiutare ad eliminare le tossine accumulate, ne producono di nuove. Così il lunedì mattina ci troviamo di fronte adolescenti assonnati, stanchi, abulici, con gli occhi arrossati… E’ evidente che la domenica non è stata di alcun aiuto a recuperare le energie psicofisiche. Anzi, ne ha prodotte di nuove. Anni di queste intemperanze, senza un vero recupero energetico, possono portare a forme depressive o di esaurimento nervoso, ad instabilità emotiva, a senso di confusione e perdita di contatto con la realtà, a facile irritabilità, ecc.

Oltre a forme di relax specifiche, dalle tecniche yoga al training autogeno, va ricordato che la variazione delle occupazioni rispetto agli impegni abituali è il modo migliore per eliminare eccessi di tossine e trovare un giusto equilibrio con se stessi e l’ambiente. Questo cambio di attività, con la soddisfazione che comporta, ha anche effetto di ristabilimento psicofisico.

Non ci attardiamo ad indicare le attività più idonee allo scopo: esse dipendono da gusti, sensibilità, esigenze personali. Però il saggio educatore/animatore del tempo libero, pur rispettando le propensioni individuali, orienta verso scelte umanamente stimolanti, così come mette in guardia dagli eccessi attivistici.

Bisogno di vivere adesso

Nel passato gran parte dell’educazione era rivolta a costruire le qualità di cui la persona avrebbe dovuto aver bisogno nel futuro. Poco si concedeva alle esigenze del presente. Tutta la vita ere concentrata sul futuro, il presente era poco significativo. Oggi questa dimensione del tempo è diventata più importante trova nel tempo libero una enorme possibilità di affermasi.

Abbiamo visto che molti giovani vanno in discoteca per “staccare” dalla routine quotidiana, per avere uno spazio senza tempo (la notte e la discoteca danno questa sensazione), una realtà che permette loro di vivere la vita senz’ansia, senza la preoccupazione dell’orologio. Creare uno spazio irreale, ma fortemente esigito dalla negazione del valore del presente implicito in una dimensione competitiva della vita. Il concentrarsi di molte aspirazioni all’autorealizzazione sul presente e sul tempo libero più che sul futuro e sul lavoro indicano una tendenza che è data insieme dalla diversa struttura della società (meno possibilità di lavoro, più tempo libero), ma anche da una insofferenza per i ritmi di questa civiltà.

E’ opportuno che l’educazione si faccia carico di questa aspirazione e assuma il compito di educare anche al presente, cioè a vivere bene la propria vita adesso, non solo come preparazione al futuro, ma come valore a se stante. Attenzione al presente vuol dire saper godere di ciò che la vita quotidiana offre, saper gustare ogni momento dell’esistenza, saper apprezzare anche le piccole cose, essere presenti mentalmente a ciò che si sta vivendo in un dato momento, valorizzare le esperienze che si stanno facendo.

Il discorso del valore dell’esperienza è già stato affrontato in questa rivista. Va ricordato che valorizzare l’esperienza vuol dire anche lottare contro una delle tendenze di oggi, che è quella di vivere in maniera frammentaria e discontinua la propria vita, fino a manifestare dei sintomi di destrutturazione temprale. In questo caso le esperienze non sarebbero vissute come tali, ma solo come episodi staccati di una vita che non ha memoria, che non ha storia e quindi non ha identità. E’ questa una dimensione della presentificazione di oggi che non ci sentiamo di condividere. Perciò  va valorizzato il presente come momento in cui si attua ciò che era solo “possibilità” prima e che sarà solo “ricordo” dopo. L’oggi, il presente è l’unico momento in cui veramente si vive, in cui si concentra tutto il tempo e si tocca l’eterno. Perciò gli adolescenti che vanno in discoteca per staccare dal quotidiano e vivere un’esperienza totalizzante, esprimono un’esigenza legittima.

Ma il presente ha senso se inserito in una trama di atti che lo scandiscono e mettono in relazione questi atti con la persona che li compie, con la storia delle sue scelte, con il suo evolversi. Solo così il tempo si umanizza e diventa componente ineliminabile della storia dell’uomo e dell’individuo. Pertanto vanno combattute quelle concezioni e pratiche di vita che si hanno in mente solo la preoccupazione di cogliere l’attimo, senza né conservare memoria né aver prospettive per il futuro. Questi atteggiamenti, per quanto liberanti sul momento, rivelano tutta la loro inconsistenza nel lungo periodo, dove la vita senza memoria e senza progetto diventa una vita vuota, priva di senso e quindi insopportabile.

Perciò proponiamo una maggior attenzione al presente rispetto al passato, ma ci cauteliamo contro una tendenza attuale di limitarsi a cogliere l’attimo senza alcuna dimensione di continuità temporale. Riteniamo che il giusto equilibrio stia nel mezzo.

Il bisogno di far festa, di giocare

La ricerca da parte degli adolescenti della discoteca rivela l'importanza per essi della dimensione della festa, che vuol dire capacità di godere delle cose e dei rapporti, della vita. Questo è un orientamento che riporta in auge un elemento antico della cultura dell'uomo. Ciò è particolarmente importante per i profondi mutamenti cui è soggetto il tempo oggi, sempre più accelerato, sempre più condizionato da esigenze sociali ed economiche. 

Il tempo è stato fin dall'antichità sottratto all'ineluttabilità, attraverso la sottolineatura di alcuni giorni: le feste. Queste ponevano un limite al tempo, gli davano un significato, indicavano un verso, una rotta. Oggi che il tempo incalza, questa interruzione è ancora più necessaria, per riscattarlo dalla sudditanza ai processi a cui è sottoposto. I ragazzi, andando in discoteca, cercando un tempo non computato, sottraendosi alla logica dell'orologio, indicano un bisogno di uscire dal frenetico ritmo di vita quotidiano per entrare in una dimensione "altra", che dice separazione dalla quotidianità per poterla risignificare. Non per niente per molti adolescenti il tempo tra due sabati è tempo insignificante, illuminato solo dall'attesa di tornare in discoteca. E' la stessa logica che presiede la formazione delle feste e del calendario. Solo che ora non è la mietitura o la vendemmia che sono attese al loro termine per festeggiare, ma è una scuola "lontana" o il lavoro monotono e ripetitivo, o, ancor peggio, la disoccupazione che consegna il ragazzo alla noia di un giorno uguali all'altro in cui non sa come "sbattersi".

Assumere educativamente questo bisogno vuol dire mettersi sulla stessa lunghezza d'onda dell'adolescente che necessità di momenti in cui fermarsi a risignificare il suo quotidiano. Significato che non è sufficiente venga dalla tradizione per essere percepito pregnante, un significato che ha bisogno dei simboli, dei riti, del linguaggio tipici dei giovani d'oggi per esser compreso. Certo, l'educazione non può prescindere dalla tradizione, anzi il suo ruolo nella società è proprio quello di consegnare il bagaglio culturale da una generazione all'altra. Trasmissione che non funziona, però, se si limita ad un vuoto e formale elenco di pratiche da compiere, significati altrui, che proprio perché non colti nella loro genesi, sembrano vuoti e formali. La festa va ripensata come matrimonio dell'oggi e dello ieri, di tradizione e innovazione, di passato e di presente. Vanno ripresi i reperti culturali del passato e ripensati e ridetti nel linguaggio di oggi. Così si può far incontrare la vitalità giovanile con la saggezza del vecchio. Dare gambe alle idee maturate in anni di esperienza, dare senso e futuro alle energie del giovane, che rischia di muoversi senza saper dove andare. Così la soggettività può trovare un contenitore entro cui esprimersi e la cultura essere rinvigorita da nuova linfa e nuovi apporti.

Con la festa c’è da pensare al recupero della solidarietà. Il tempo della festa non può essere pensato solamente un esercizio narcisistico di sé e delle proprie prerogative (come sovente in discoteca accade). Ma anche qui vanno superati i soliti luoghi comuni. Sono stato testimone di operazioni lanciate in discoteca, che vanno nel senso di una nuova solidarietà: campagne per il verde, per la pace, per combattere l'AIDS e le morti del sabato sera. Basta forse smetterla di contrapporre discoteca a società, fare uscire questa esperienza dal ghetto, tentare delle alleanze tra educatori, amministratori e gente di discoteca per intervenire in maniera più efficace sugli adolescenti. Perché non c'è solo il problema di quelli che muoiono per le strade. C'è ancor di più il problema di quelli che vivono e per tirare avanti hanno bisogno della discoteca e delle pasticche di ecstasy. Cioè, al loro bisogno di vita si risponde con il vuoto, con il nulla… C'è invece bisogno di una solida cultura in cui trovare valori dimenticati e indicazioni di vita irrinunciabili. La festa nel passato riusciva a trasmettere tutto questo a popolazioni analfabete. Riusciremo noi a farlo con i nostri adolescenti annoiati di troppa scuola?

Festa e gioco includono infatti valori di tale rilevanza (gratuità, immaginazione, spontaneità, comunione, espressività, simbolicità, ecc.) che, qualora fossero anche solo sottodimensionati, l’esperienza dell’uomo e dei gruppi sociali sarebbe di colpo impoverita. Purtroppo da tempo, in un contesto come il nostro, pure le componenti ludico-festose sono travolte dalla logica del consumismo e del mercantilismo, che finisce con lo snaturarle secondo prospettive effimere e artificiose. Ora, il tempo libero, quand’è bene interpretato e vissuto, si presenta come occasione quanto mai preziosa per riscoprire ed esaltare i significati veri dell’esperienza della festa e del gioco. Non bisogna però credere che i giovani siano, sempre e comunque, disponibili verso siffatti cammini di approfondimento. In realtà, anche loro, come gli adulti, sono gravati dal peso della corrente mentalità consumistica nei confronti del tempo libero. Sicché occorre aiutarli a decifrare e ad assumere i valori autentici di tale momento di vita. Processo, questo, che richiede all’animatore/educatore di operare sui piani sia della riflessione critica circa atteggiamenti e comportamenti diffusi in merito, sia della sperimentazione concreta di attività in grado di far vivere al soggetto il senso di un tempo all’insegna della gratuità, della gioia, della fantasia. Chiaramente, si richiedono interventi che aiutino gli adolescenti ad integrare la vita in una prospettiva temporale che prevede discontinuità (la festa, il sabato) nella continuità e nella quotidianità (i giorni feriali).

Conclusioni

Abbiamo analizzato alcuni dei bisogni che la frequenza alla discoteca evidenzia. Bisogni in linea con i nuovi orientamenti culturali che privilegiano il polo espressivo: la danza, la musica, le relazioni interpersonali, l'uso del corpo e del tempo in maniera giocosa. Questi comportamenti rappresentano un modo attraverso cui esprimere la riscoperta del corpo come strumento di comunicazione e fonte di piacere, la predilezione per la comunicazione non verbale, l'accentuazione del tema dell'aggregazione. E' la consacrazione del tempo vissuto senza impegni né scadenze fisse.

In ciò si impone come una delle forme di reazione alla razionalità strumentale. Come scoperta dell'espressività, della creatività, dell'armonia, del godimento fine a se stesso. Come celebrazione del gioco, della festa, del gratuito, dell'improvvisato, della libertà contro la logica della prestazione strumentale.

La discoteca evidenzia anche altri bisogni, che non ci fermiamo a considerare, come la ricerca di autonomia dalla famiglia. Nella discoteca gli adolescenti trovano modelli di comportamento, regole diverse dall’ordinario, situazioni “off limits”: il tutto compresso in uno spazio e tempo limitati, che producono uno stato onirico (spesso indotto anche da alcool e stupefacenti). Tutto ciò "potenzia ed esalta" fortemente l’adolescente, dandogli una impressione di onnipotenza. Lo mette nella condizione di perdere il controllo di sé, di mimare situazioni di esperienza interpersonale al limite della norma morale, di rielaborare i propri sentimenti in modo alternativo alla condizione familiare concreta. Tutto ciò serve all’adolescente come forma di sperimentazione e rielaborazione di un’immagine di sé diversa e quindi come risposta, pur provvisoria, alla domanda di identità.

Le osservazioni prodotte in queste pagine rappresentano un richiamo alle istituzioni educative perché si pongano con un atteggiamento attento di fronte al vasto fenomeno della discoteca. Il che vuol dire rinunciare definitivamente a comportamenti recriminatori, critici, distaccati... che aumentano il solco tra generazioni. Solo con un atteggiamento attento e di ascolto si possono capire le invocazioni che vengono da adolescenti inquieti e annoiati che sembrano percepire solo la suadente voce del divertimento. In realtà, come ho cercato di dimostrare in queste pagine, gli educatori hanno un debito nei confronti delle giovani generazioni, maturato in anni di <disattenzione, di sicurezza dei propri metodi, di distanza dal mondo reale. E' ora che si mettano seriamente in dialogo e cerchino una prossimità sfuggita di mano.

 

Questo certamente non è sufficiente a risolvere i problemi immediati che la discoteca pone ad educatori e soprattutto genitori che devono ogni sabato affrontare il problema di un figlio/a che chiede di andare in discoteca. Il potente richiamo che la discoteca esercita su adolescenti e giovani rende molte volte impotente qualsiasi intervento immediato. Se non si è impostato un corretto rapporto educativo prima, è difficile farsi valere a quest’età, a meno di prese di posizione d’autorità. Perciò il consiglio principale è che si imposti un corretto rapporto educativo prima dell’esplosione delle dinamiche tipiche dell’adolescenza, che la discoteca assume ed esalta iperbolicamente elevandole a status permanente. E’ importante che l’adolescente trovi comprensione e accoglienza prima che scopra la discoteca. I bisogni che man mano si manifestano nella sua esistenza vanno accolti, interpretati con tempismo. Inoltre gli va dato la possibilità di esprimersi e realizzarsi in altre situazioni, cosicché non avverta il bisogno della discoteca, se non per stare con gli amici. Sarebbe pertanto opportuno che i bisogni di espressività, di libertà, di primato dei rapporti interpersonali trovassero adeguata attenzione anche in altri ambiti giovanili, dove tali attività possono esprimersi senza i rischi e i gravi costi (non solo economici) che la discoteca impone. E’ proprio la grande distanza delle istituzioni educative e sociali dal vissuto giovanile che ha fatto la fortuna delle discoteche.

Inoltre, se non è possibile liberarsi della discoteca perché ormai fa parte del costume giovanile e ci sono troppi interessi in ballo, almeno si faccia il possibile per istituire un controllo delle discoteche del territorio ed anche un dialogo con i gestori, per impedire le forme più devastanti di danno alle persone.

In ogni caso, di fronte ad un adolescente che scalpita per andare in discoteca riteniamo poco opportuno un atteggiamento di rifiuto totale (come riteniamo sconsiderato l’atteggiamento di genitori che mandano tranquillamente i figli in discoteca senza seguirli o controllare cosa fanno). Riteniamo invece che la cosa vada data con adeguato dosaggio, discutendo su situazioni, orari, tipi di discoteche, compagnie, norme di comportamento, ecc. Le concessioni vanno fatte con gradualità, tenendo conto delle offerte della zona e della maturità dell’adolescente. E’ difficile dare delle indicazioni precise, perché le cose cambiano in base alle caratteristiche sociali e culturali di ogni zona e famiglia. In ogni caso direi che finché è possibile si limiti la frequentazione della discoteca al pomeriggio del sabato o della domenica, dove si trovano gran parte degli adolescenti e gli adulti sono in minoranza. Se si ritiene opportuno (o non si può far a meno) di lasciarli andare in discoteca di notte è opportuno che non facciano orari troppo mattutini. Meglio andarli a prendere all’ora stabilita, evitando che tornino a casa con compagni su di giri. Che non vadano in discoteche lontane da casa o malfamate (le discoteche di tendenza sarebbero da sconsigliare in assoluto).

E poi tanto dialogo in famiglia (non solo sulla discoteca) e stimolazione nell’adolescente ad interessi vari e molteplici in modo che la discoteca non diventi l’unico passatempo del week-end.

 



[1] -  "Tempo di lavoro e tempo libero vengono rappresentati come aventi due nature diverse. [...] L'illusione di compensarsi at­traverso il tempo libero dalle frustrazioni del tempo di lavoro, di affidare al tempo libero lo svi­luppo di una personalità che il tempo di lavoro umilia e rende mutilata e deforme, è una delle illu­sioni sociali più diffuse... In realtà il tempo della vita e la personalità dell'individuo tendono ad essere coerenti" (S. Tabboni, La rappresentazione sociale del tempo, Angeli, Milano 1984, p. 106).

[2] - "Il termine totalità [...], sta ad indicare una vita psichica unificata, in cui coscienza ed inconscio sono entrambi integrati e, quindi, una persona ricca e creativa. Una personalità, cioè, che possiede una coscienza di sé, che conosce la propria relatività e che è perciò in grado di essere autocritica e di tendere alla verità e alla oggettività. Una personalità che ha il proprio centro nel sé, come insieme di Io cosciente ed inconscio della psiche, e che sa utilizzare tutta l'energia creativa, tutti i valori ed i messaggi che le provengono dall'inconscio senza per questo rinunciare alla propria libertà cosciente" (M. Pollo, Educazione come animazione. Voci per un dizionario. 1 - I concetti,  Elle Di Ci, Torino 1991, p. 129).

[3] - Cravero D., Se tuo figlio in discoteca… pp. 49, 50

[4] - Borgna G., Il tempo della musica; i giovani da Elvis Preley a Sophie Marceau, Laterza, Bari 1983, p.138)

[5] - E’ interessante notare per esempio i risultati di uno studio condotto da Pozzi. Sono state confrontate esperienze che richiedono molta attenzione, preparazione e prestazioni non comuni, come quella del rocciatore, e le esperienze comuni di ritorno dalle vacanze. E’ risultato che la maggior parte di quelli che ritornano dalle vacanze sono annoiati e stanchi mentre il rocciatore torna soddisfatto e quindi più rilassato. La spiegazione di questo diverso esito viene data con il concetto di "esperienza di flusso". Nell'esperienza di flusso si ha una forte concentrazione della propria attenzione su un campo limitato di stimoli, si dimenticano i problemi personali, si perde il senso del tempo e di se stessi, ci si sente capaci rispetto al compito e in grado di controllarlo e si sente un senso di armonia e di unione con l'ambiente. Questa esperienza si verifica in parecchi soggetti, per esempio nei compositori, nei ballerini rock, nei chirurghi, nei giocatori di scacchi, ecc. Mentre chi va in vacanza si priva addirittura delle "mini esperienze di flusso" di cui è costellata la nostra attività quotidiana. Di qui l’aumento della stanchezza (cf. Pozzi in “Sociologia del lavoro” 1996, 79).