“Ho più paura di vivere che di morire
giovani e  progresso...

Nel numero precedente abbiamo visto che la nostra civiltà si trova di fronte ad una svolta cruciale: la fine del mito del progresso, come si era sviluppato in occidente negli ultimi duecento anni. Ciò pone un dilemma fondamentale per il  nostro mondo: scomparire o rinnovarsi. Quale strada si imboccherà? Per avere una risposta cerchiamo di capire cosa stanno facendo i giovani, quali vie stanno percorrendo, come vedono il loro futuro.

Giovani e futuro

Va detto con estrema chiarezza che l’ideologia del progresso non appartiene alle nuove generazioni, almeno nei termini con cui si era manifestata nel passato.

I giovani non hanno le certezze dei loro predecessori. Registrano con disincanto il dissolversi di tutte le ideologie che puntavano al progresso (da quella collettivistico-comunista a quella individualista-liberale). Essi si rendono conto più di tutti della minaccia all’ambiente provocato da un tipo di produzione che punta più sullo sfruttmento che sul rispetto. E soprattutto dalla minaccia incombente rappresentata dal nucleare, che, se pur diminuito dopo la caduta del regime comunista nell’Unione Sovietica, non è comunque scomparso data la sua proliferazione in altri paesi e la non sicurezza degli impianti nucleari per scopi pacifici.

Ma sopratutto sperimentano sulla propria pelle la carenza di posti di lavoro e quindi l’incertezza del loro futuro personale. “Quando penso al futuro, comincio a sudare freddo, e allora lascio stare” ha detto un giovane diciassettenne di Roma. Il futuro fa paura, perché non si sa cosa li aspetti, non solo in chiave universale, ma anche in chiave personale. Questo è l’aspetto del crollo del mito del progresso che più li tocca e modifica i loro stati d’animo nei riguardi del futuro.

Tutto questo genera una depressione generalizzata, che tocca un po’ tutti, ma i giovani in modo speciale. In essi non è tanto il rimpianto per un passato dorato, ma l’incertezza verso il futuro che li costringe ad elaborare nuovi anticorpi per difendersi dalle inevitabili frustrazioni.

Questo lo si vede nel rifiuto sistematico delle ideogie, delle soluzioni politiche dei problemi, delle questioni di principio, proprio perché questo modo di affrontare i problemi era tipico del passato e dipendeva da una concezione razionale dello sviluppo, razionalità che ha rivelato tutti i suoi limiti. Essi allora si abbandonano più facilmente ad un approccio irrazionale alla vita, o ad una razionalità di piccolo cabotaggio (quella dei rapporti diretti, della conoscenza di persona), rifiutando di principio le grandi costruzioni del passato o ai loro revival attuali. In fondo la sfiducia permea in maniera diffusa i loro stati d’animo. Ma a questa sfiducia reagiscono in modi diversi.

Dalla disperazione...

C’è chi annega la sua “disperazione” (=mancanza di speranza) con una allegria tragica, “una grande euforia di tipo edonistico, tipica di tutte le decadenze epocali”. Fenomeno che caratterizza di chi non ha nulla da perdere perché ha perso tutto e ha deciso di godersi gli ultimi istanti di una vita destinata ormai alla fine. Potrebbero essere visti in questa chiave la voglia matta di divertirsi che marca in maniera significativa la nostra epoca e che si esprime negli assalti alle discoteche, ai parchi-divertimento, alle sale-gioco oppure nelle corse in macchina o in moto incuranti del pericolo. “Ho più paura di vivere che di morire” ha lasciato come messaggio un ragazzo sui muri della metropolitana di Milano.

C’è chi cerca di sfruttare opportunisticamente tutte le occasioni per accaparrarsi le poche risorse o posti disponibili per assicurarsi un avvenire migliore a discapito degli altri.  Questo potrebbe spiegare il rampantismo yuppista degli anni ‘80, tutt’altro che tramontato.

C’è chi nasconde tutto attraverso una indifferenza cinica, che risulta una specie di maschera per rendersi inaccessibile al dolore e alla disperazione. Così questi ragazzi possono risultare cinici e indifferenti, in realtà nascondono una sensibilità molto elevata, ma il carico di cose che possono sopportare non è tale da consenitre loro di portarne più di tante. Questi preferiscono investire sul presente privando la propria prospettiva di vita del futuro. Il presente, secondo questi ragazzi, è l’unico tempo che ci è dato: viviamolo meglio possibile e del futuro non occupiamoci.

E’ questa dimensione tragica della vita che connota attualmente la situazione giovanile, anche se abilmente mascherata dalle risa e dal divertimento.

...a nuove prospettive di progresso

Accanto a questi giovani, orfani di un’ideologia che aiuti ad affrontare il futuro con maggior speranza, ne esistono altri che, senza aver rinunciato all’idea del progresso, sanno coniugarla con un atteggiamento realistico che tiene conto dei recenti dati che provengono dall’evoluzione della società. Questi giovani sanno rivalutare l’idea del progresso, spogliandola però da una concezione autocratica che si era sviluppata nell’illuminismo. Essi criticano il concetto di progresso, soprattutto criticano la visione del rapporto uomo-natura, che aveva dominato quella prospettiva. Un tempo il rapporto si risolveva totalmente in favore dell’uomo. La natura sembrava avere risorse illimitate, che l’uomo doveva solo far sue, sottomettendole ai propri disegni. In realtà è proprio su questo punto che l’ideologia del progresso ha mostrato tutti i suoi limiti. La natura non è una riserva illimitata: essa richiede una atteggiamento non predatorio ma di rispetto. Il che non vuol dire ritornare alla caverna, come qualche movimento ecologista estremista sembra propugnare, bensì tener conto di tutti gli effetti della manipolazione e degli interventi sulla natura. Perciò rispetto dei cicli naturali, ricorso alle biotecnologie, un farsi carico di tutto il ciclo produttivo dalla produzione al riassorbimento delle scorie o rifiuti...

Qualcuno può rimproverare a questi giovani di “parlar bene e razzolar male”, basta vedere lo scempio di alcune piazze dopo una manifestazione ecologista... Certamente di fatti contraddittori se ne possono citare a valanga, è tipico di questi tempi, non solo per i giovani... Sta di fatto che abbiamo assistito in questi anni a significative mobilitazioni per ripulire parchi, spiagge, luoghi pubblici con il concorso di cittadini, molti dei quali sono giovani. Che alcuni di loro sono severamente impegnati a non usare le lacche che danneggiano la sfera di ozono, di non consumare prodotti di fabbriche che inquinano o che sfruttano minorenni o compiono altre violazioni dei diritti civili.

Inoltre esiste tutta una tendenza che si sta estendendo dalle classi più elevate alla maggioranza della popolazione per una maggior attenzione alla qualità della vita, che si esprime anche in una capacità di rifiuto del consumismo. “Dal consumatore bulimico all’edonista virtuoso” intitolava un ricercatore sociale dell’Università di Bologna in un recente seminario per indicare il passaggio da un’epoca contrassegnata dalla ricerca della quantità ad una caratterizzata da una maggior attenzione alla qualità. Qualità che si esprime anche nella capacità di contenere i consumi, di autoregolarsi, di usare solo quello che è necessario, di cercare un equilibrio maggiore con se stessi, nel disciplinare i propri desideri in funzione di una più razionale soddisfazione dei propri bisogni. I progetti di consumo si fanno più equilibrati e, di conseguenza, anche la produzione e la pubblicità si stanno adeguando a queste indicazioni. Perciò anche l’aumento dei consumi non sarà più un indice di progresso, si cercherà di previlegiare la qualità.

Un altro settore su cui si stanno intravvedendo segnali di una nuova tendenza ad uno sviluppo più equilbrato è l’attenzione all’altro. L’incontro con culture diverse dalla nostra, favorito dallo sviluppo dell’antropologia culturale, ma anche dai viaggi e dall’invasione di stranieri, sta facendo emergere un nuovo tipo di giovane, tollerante, cosmopolita, aperto alle altre culture, magari fino all’eclettismo o alla esterofilia. Certamente interessante per lo sviluppo di una civiltà planetaria, che non faccia più dell’identità nazionale, soprattutto dei caratteri anatomici di una razza, il punto di confronto con gli altri e di orgoglio nazionale.

Segni tutti di una inversione di tendenza che, pur tra tante contraddizioni, sta raccogliendo sempre più aderenti. Tortuosamente e con fatica quote sempre maggiori di giovani si stanno scrollando di dosso i miti del passato e stanno cercando nuove vie per uno sviluppo, forse meno vertiginoso di quello che i padri hanno consegnato loro, ma certamente più umano e solidale. A questi segnali è opportuno dare tutto il nostro appoggio e simpatia.

Giuliano Vettorato