A.N.P.

 

Sigla di Autorità Nazionale Palestinese. E' il complesso degli organismi transitoriamente incaricati di amministrare quelle porzioni del territorio della Palestina occupate da Israele e dalle quali progressivamente l'esercito dello Stato ebraico si va ritirando, in base a una lunga e laboriosa serie di accordi avviati nel 1993. Lungi dal rappresentare un'entità pienamente sovrana, dunque, l'Autorità Nazionale Palestinese, embrione di un eventuale Stato palestinese, è piuttosto l'ultima e contraddittoria espressione della travagliata storia del conflitto israeliano-palestinese, che all'inizio degli anni Novanta del sec. XX trovava una sua parziale composizione grazie al reciproco riconoscimento del diritto di esistenza di Israele e dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), sancita con gli accordi conclusi tra le due parti a Oslo e poi firmati a Washington (1993). Nel corso di queste trattative si stabiliva la creazione di una zona di autonomia palestinese nella striscia di Gaza (la fascia costiera della Palestina destinata nel 1947 dall'ONU alla costituzione di uno Stato arabo palestinese e stabilmente occupata da Israele dal 1967, in seguito alla “guerra dei Sei giorni”) e nel territorio della città di Gerico, sancendone le modalità poi dettagliatamente stabilite con un accordo firmato al Cairo nel maggio del 1994, noto anche come accordo di Gaza - Gerico. Questo trattato prevedeva la realizzazione dell'autogoverno palestinese entro un periodo transitorio di non più di cinque anni, il progressivo ritiro degli Israeliani dagli insediamenti arabi in Cisgiordania, che sarebbero dovuti passare sotto controllo di un Consiglio eletto dai palestinesi, e l'inizio entro tre anni delle trattative sui punti rimasti controversi, in particolare la scottante questione dell'assetto della parte orientale di Gerusalemme, anche questa in mano israeliana dal 1967. Dopo che nel 1994 Gaza e Gerico avevano ottenuto l'autogoverno, e in seguito a ulteriori negoziati complementari dell'agosto 1994 e dell'agosto 1995, i rappresentanti di Israele e dell'OLP raggiungevano nel settembre del 1995 a Taba, in Egitto, un nuovo accordo (siglato a Washington e detto anche “Oslo B”) che stabiliva dettagliatamente le modalità del ritiro delle truppe israeliane dalla Cisgiordania, da compiersi entro un periodo di sei mesi, e sanciva il passaggio ai Palestinesi di gran parte dell'autorità civile fino a quel momento esercitata da Gerusalemme nei territori occupati, nonché le elezioni dirette del Consiglio palestinese. In applicazione di questo accordo gli Israeliani si ritiravano, alla fine del 1995, da una zona comprendente le sette principali città palestinesi (a esclusione di Gerusalemme est e, fino al 1997, di Hebron), che pertanto iniziavano a godere di uno statuto analogo a quello delle zone autonome di Gaza e Gerico, con l'esercizio da parte dell'Autorità Nazionale Palestinese dei poteri civili e di polizia. Nei restanti villaggi della Cisgiordania (corrispondenti a circa il 23% della superficie), invece, i Palestinesi assumevano poteri civili e, parzialmente, di polizia, ma l'esercito israeliano vi manteneva il controllo della sicurezza e il diritto permanente e unilaterale d'intervento. Gli accordi venivano però improvvisamente congelati dallo Stato ebraico in seguito all'assassinio nel novembre 1995 del primo ministro israeliano, il laburista e convinto fautore del processo di pace, Yitzhak Rabin, e all'avvento al suo posto del leader del partito conservatore, Benjamin Netanyahu, che, fermamente contrario ai negoziati, si rifiutava di ritirare le truppe dalle aree occupate, determinando prima ritardi e poi un sostanziale blocco nell'applicazione degli accordi. Secondo la dichiarazione di principio del 1993 e gli accordi del settembre 1995, l'organo supremo dell'autonomia palestinese è il Consiglio di autonomia, composto da 88 membri eletti a suffragio universale diretto dalla popolazione palestinese dei territori autonomi e occupati e di Gerusalemme est. Contemporaneamente al Consiglio, e sempre a suffragio universale, è eletto il Presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, il quale sceglie poi, previa approvazione del Consiglio, i membri dell'Autorità esecutiva (l'80% dei quali deve essere membro del Consiglio stesso). Così designata, l'Autorità Nazionale Palestinese possiede competenze territoriali esercitabili solo entro le ancora ridottissime zone di autonomia definite dagli accordi, ma non applicabili agli israeliani di passaggio, e concernenti la maggior parte dell'amministrazione civile, ad eccezione di ciò che compete allo statuto finale che è ancora oggetto di trattative. D'altro canto il Consiglio non ha alcuna competenza in materia di difesa e di politica estera, mentre solo l'OLP può condurre negoziati e stringere accordi nei settori economico, culturale e scientifico in nome del Consiglio stesso. Nel gennaio del 1996 le prime elezioni del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese e del Consiglio registravano la schiacciante vittoria (88,1% dei voti) del leader storico dell'OLP, Yasser Arafat, allineato su posizioni moderate nell'ambito del movimento di resistenza palestinese e negli ultimi anni principale protagonista dei difficili negoziati con Israele. Per quanto l'elevata affluenza alle urne indicasse un ampio consenso popolare verso l'Autorità, a dispetto degli oppositori radicali che avevano invitato a disertare le consultazioni, Arafat si trovava tra il 1997 e il 1999 in crescente difficoltà nel tentativo di contenere la delusione e i ritornanti estremismi causati tra i Palestinesi dallo stallo dei colloqui di pace determinato da Netanyahu. La sua leadership moderata andava pertanto progressivamente indebolendosi rispetto alle opposizioni radicali, in particolare quella di Hamas, la radicata organizzazione guerrigliera nata nella striscia di Gaza e guidata da Ahmad Jasin, che, insieme agli hezbollah, i fondamentalisti filo-iraniani operanti contro gli Israeliani nel Libano meridionale, si è tenacemente opposta alle trattative di pace con lo Stato ebraico e ha ridato vita all'Intifada. Un quadro incerto che, unitamente alle precarie condizioni economico-sociali dei territori autonomi, spingeva l'Autorità Nazionale Palestinese ad assumere atteggiamenti sempre più autocratici, persino sprezzanti verso le libertà individuali, e repressivi non solo verso le frange palestinesi più estremiste, ma anche nei confronti delle manifestazioni di dissenso della popolazione. Per altri versi, però, il crescente calo di popolarità induceva Arafat a minacciare nel 1999 l'unilaterale proclamazione dello Stato di Palestina, anche in seguito all'ennesima disapplicazione isrealiana dei nuovi accordi sottoscritti l'anno prima a Washington (il cosiddetto “Memorandum di Wye”), che prevedevano ulteriori ritiri delle truppe israeliane dalla Cisgiordania, il graduale passaggio della zona sorvegliata da Israele ma amministrata dall'Autorità Nazionale Palestinese sotto il controllo esclusivo di quest'ultima, in cambio della rinuncia palestinese all'obiettivo della distruzione dello Stato ebraico e della collaborazione nella repressione degli atti di terrorismo antisrealiano. Nonostante tutte queste difficoltà, e malgrado la persistenza di azioni terroristiche e di manifestazioni antiebraiche spesso represse dalle forze di polizia dell'Autorità Nazionale Palestinese, proprio nel 1999, grazie all'elezione in Israele del premier laburista Ehud Barak, convinto sostenitore della necessità di proseguire i negoziati con i Palestinesi, e grazie all'attività diplomatica statunitense, l'Autorità Nazionale Palestinese poteva registrare una positiva ripresa delle trattative, con la firma in settembre del "memorandum” di Sharm el-Sheikh" (in Egitto) tra Arafat e Barak. Altri passi in avanti costituiva nel marzo del 2000 l'approvazione da parte del governo e del Parlamento israeliani del piano di ritiro dal 5,1% del territorio della zona della Cisgiordania destinata a passare sotto il completo controllo dell'Autorità Nazionale Palestinese e dall'1% del territorio in cui i palestinesi dovrebbero assumere la sola amministrazione civile, lasciando a Israele la responsabilità della sicurezza. Seppur con esasperante gradualità e senza ancora alcuna certezza circa la futura creazione di uno Stato palestinese pienamente sovrano, all'alba del 2000 la ripresa del processo di pace mediorientale, favorito dalla contestuale riapertura delle trattative tra Siria e Israele e dal ritiro dell'esercito israeliano dal Libano meridionale (maggio 2000), rafforzava la funzione dell'Autorità Nazionale Palestinese e incoraggiava le prospettive di un riavvicinamento delle istanze moderate a quelle più radicali del movimento palestinese, in particolare Hamas, il Fronte popolare di liberazione della Palestina (F.P.L.P.) e il Fronte democratico di liberazione della Palestina (F.D.L.P.). Tuttavia il successivo fallimento dei colloqui di pace rilanciati dagli USA, la provocatoria visita del leader del Likud, Ariel Sharon nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme e infine l'avvento di questi alla guida di un governo di destra in Israele scatenavano di nuovo la violenza e la ripresa dell'Intifada, che nessuna delle iniziative diplomatiche intraprese (in particolare le proposte di una commissione internazionale presieduta dall'ex senatore statunitense George Mitchell, del maggio 2001) riuscivano a bloccare, determinando nuove critiche delle ali più radicali del movimento palestinese verso la politica moderata dell'Autorità Nazionale Palestinese.