La leggenda dell'olivo di Vigliena

Un percorso didattico tra squallide macerie e bambini infelici,
tra scienza e poesia alla ricerca di un possibile senso.

Per esprimere in forma quasi aforistica il compito dell'insegnamento, é stato detto che esso dovrebbe muoversi tra la poesia che esprime in forme infinitamente varie e inaspettate l'immutabile condizione umana e la matematica che riduce l'irriducibile varietà dell'universo ad un'unica immutevole forma.

Qui di seguito sono raccolte citazioni e parafrasi di testi poetici e scientifici che hanno affrontato il problema della conoscenza e il percorso poetico e scientifico compiuto da un gruppo di scolari elementari di una delle zone più degradate di San Giovanni a Teduccio tra un cumulo di immondizie in cui poteva riconoscersi con un po' di buona volontà il Forte di Vigliena e un'aula scolastica in tono con questo ambiente.

Questo secondo percorso avanza la pretesa di essere parallelo al primo.

" Si conoscono solo le cose che si addomesticano"

Il Piccolo Principe incontra una volpe e vuole fare amicizia: la volpe dice che non é possibile se prima non viene addomesticata. L'incontro avverrà alla stessa ora sì da farne un vero e proprio rito: perché il rito rende un'ora diversa dall'altra.

Il Piccolo Principe imparata la lezione la ripete alle sue rose:

Addomesticare qui viene usato nel senso etimologico di entrare a far parte della casa . Questo non é possibile se non c'é un investimento di tempo ed energie verso l'oggetto dell' "addomesticamento", se non si crea un "legame".

In questa fase entrano in gioco i fattori affettivi ed emotivi: c'é una prima presa di contatto con l'oggetto al di fuori della ragione e della parola che determina la successiva capacità di elaborare linguisticamente la conoscenza stessa.

Il legame creato vincola egualmente il conoscente e il consosciuto ossia c'é un rafforzamento della identità attraverso lo specchiamento nell'altro: io divento la tua volpe ed tu il mio ragazzo, ciascuno é unico per l'altro. Il rito contribuisce a rafforzare la fiducia e "rende un'ora diversa dall'altra" consentendo ai due attori della relazione di uscire fuori dalla ripetitività dei ruoli e delle azioni socialmente stabilite.

Nella storia del disegno N°1 Saint Exupery rappresenta il processo opposto: la conoscenza solo oggettiva può ergere barriere tra gli uomini e in particolare tra adulti e bambini.

La migliore sintesi del racconto di Saint Exupery l'ha fatta Fabio, bambino di Barra, molto introverso forse proprio perché sa vedere dentro alle cose:
 

Il disegno N° 1


Un giorno un uomo che poi diventò pilota, fece un disegno che faceva vedere un serpente che si digeriva un elefante.

Le persone grandi dicevano che era un cappello, e il piccolo diceva:

"Questo non capisce i piccoli"

E andava da tutte le persone e dicevano che era un cappello.

E il piccolo diceva:

"Questo non é un cappello, é un serpente che si digerisce un elefante"

Con questo sistema il bambino scoprì se le persone grandi capivano le persone piccole.

E quando si é fatto grande é diventato pilota di aerei e precipitò nel deserto e incontrò un Piccolo Principe.

Il Piccolo Principe disse:

"Mi vuoi disegnare una pecora?"

Il pilota fece tante pecore, e non andavano bene, poi fece una scatola e il principe disse che andava bene: perché la scatola era come il serpente con l'elefante dentro: nella scatola c'era la pecora.

Esempio (morale della favola N.d.R.)

E significa che se guardi le cose con il cuore si vede quello che sta sotto, se guardi con gli occhi si guarda solo quello che sta fuori.

Barra, 15 marzo 1990 Fabio

Coloro che leggono la realtà in modo solo oggettivo non sono capaci di dialogare col bambino e non sono in grado di capire il suo linguaggio, peggio ancora, credendo di capire, riducono le espressioni del bambino a rappresentazioni stereotipe.

Quale condizione tragica possa vivere il bambino in un mondo sterilizzato rispetto alle emozioni possiamo immaginarlo attraverso uno strano caso psichiatrico descritto dal dott. Sacks.

Questo rarissimo caso psichiatrico ci da l' immagine di che cosa significhi una visione che non sia accompagnata dalla familiarità ( o domesticità, come direbbe la volpe del Piccolo Principe) e quindi dall'aspetto emotivo: se un oggetto, o più in generale una conoscenza, non riesce ad evocare o a collegarsi a qualcosa di familiare diventa irriconoscibile.

Nel caso dei bambini che stanno acquisendo ed organizzando delle conoscenze, queste sono investite anche di significati emotivi; se ciò per qualche motivo non accade, i bambini rischiano di restare "smarriti in un mondo di astrazioni inanimate", o, per dirla col Piccolo Principe: ogni rosa sarà vuota, eguale a centomila altre, anzi non sarà neppure una rosa ma una "forma rossa convoluta con appendice lineare verde".
 

L'uomo che scambio` sua moglie per un cappello

Per una curiosa coincidenza sia nel racconto del Piccolo Principe sia in quello del dott. Sacks sono coinvolte le rose e il cappello e ciò crea un segreto collegamento tra i due brani all'insaputa dei loro autori. Così come non si può fare a meno di stabilire un altro segreto legame con "una treccia nera e una barba bianca" che appaiono a Renzo in uno stato crepuscolare mentre fugge da Milano, come esempio di come la carica emotiva degli oggetti consenta un linguaggio interiore estremamente ellittico e significativo.

Un esempio di lettura nel territorio

Quella che segue é l'illustrazione schematica del percorso didattico che si é svolto lungo tre anni - dalla terza alla quinta - e che aveva i suoi antecedenti in una serie di osservazioni svolte in prima e in seconda.

L'itinerario didattico ha coinvolto aspetti diversi:

1) la significazione cioè l'interpretazione, l'elaborazione e la ri-creazione dei segni

2) la cognizione, cioè l'acquisizione e la consapevolezza di nuovi strumenti cognitivi ovvero il potenziamento e affinamento degli attrezzi mentali

3) l'enciclopedia cioè l'acquisizione di conoscenze e nozioni classificabili nei classici ambiti disciplinari

4) l'identità sociale cioè la rielaborazione del proprio ambiente di vita in modo da collocare sé stessi in uno spazio e tempo ben determinati

Questi aspetti che sono coinvolti in tutte le attività didattiche sono qui esemplificati in rapporto ad una particolare esplorazione del territorio riguardante le testimonianze litiche: sassi più o meno elaborati.
 

Pietre e reperti

La prima visita é stata effettuata all'inizio della classe III nella Parrocchia di San Giovanni. Come sempre in queste occasioni l'insegnante ha fornito qualche anticipazione di ciò che si sarebbe osservato.

Nella chiesa tra le altre cose si conserva un cippo recante una iscrizione riguardante la principessa Teodocia, nome dal quale deriverebbe la dizione "a Teduccio" (ad Teodociam) che si accompagna a San Giovanni. Alcuni bambini avevano già visto l'oggetto: "chella preta ca sta addò se trase". In effetti si tratta di una pietra malridotta di nessun interesse estetico.

Durante la visita la "pietra"é stata lungamente esaminata, si é intravista la scritta. Al ritorno in classe un bambino commentò: "pensare che l'avevo sempre vista ma non me ne ero mai accorto".

Da quel momento quel sasso é diventato una sorta di "pietra di paragone" per tutte quelle cose che abbiamo sotto gli occhi ma di cui non ci accorgiamo proprio perché sono familiari.

La frase citata - che é di di Mario - ha descritto con grande efficacia il senso delle operazioni mentali che erano avvenute nei bambini: la pietra era diventata la colonna di Teodocia, aveva una sua storia, un suo significato, e un suo valore; ma perché ciò avvenisse doveva uscire dal suo contesto quotidiano, essere investita di una nuova sintassi: quella della indagine storica.

Un effetto riflesso e non previsto di questa "scoperta", é stato anche la nascita di un certo "orgoglio" locale proprio nei bambini più diseredati. La colonna era stata infatti trovata a Pazzigno, un rione tristemente famoso per il suo estremo degrado fisico e sociale: i bambini si sentivano in qualche modo investiti di questa eredità principesca, avevano scoperto degli antenati nobili proprio loro che erano figli di nessuno, figli di persone di cui nessuno incide il nome.

La seconda visita che entra in questa esperienza é la visita ad un piccolo Museo della preistoria allestito dal Club Alpino Italiano nel Castel dell'Ovo.

Nel museo si vedono le cose che si possono vedere in qualsiasi altra sezione preistorica, ma il grande merito di coloro che lo hanno allestito é stato quello di far girare un chopper tra le mani delle scolaresche in visita.

Un chopper é proprio un sasso che presenta due rozze scheggiature sui fianchi. Poter stringere tra le mani il medesimo oggetto stretto dai primi uomini centinaia di migliaia di anni prima é stata una esperienza straordinaria: il sasso passava di mano in mano come una reliquia, osservato in tutti dettagli: qualcuno lo trovava persino bello.

Sull'onda di questa emozione l'evento costituito dalla nascita del chopper è stato esaminato in tutta la sua estensione.

Intanto potevamo sviluppare su quel sasso un metodo già utilizzato in molte occasioni: costruire una storia a partire da semplici indizi.

Quale era la differenza tra un uomo o una scimmia che afferrano un sasso o un bastone e lo usano come arma di difesa o di attacco e quell'uomo che invece sceglieva un sasso, lo scheggiava per poterlo usare in un secondo momento come utensile? Lo preparava di volta in volta o una volta fatto lo conservava e lo riutilizzava? E se lo avesse conservato, avrebbe forse dovuto anche conservarne una immagine mentale? Ne avrebbe conservato solo una immagine visiva? Quando é che avrebbe sentito il bisogno di conservarne anche una immagine sonora? E quale avrebbe potuto essere il suo primo nome? Chopper, ciottolo sono parole qualunque o hanno una qualche affinità col suono dei sassi?

Queste domande non servivano tanto a farci scoprire una verità storica, quanto a comprendere i processi mentali che il quello stesso momento stavamo usando noi: quel sasso, nel momento in cui venne scheggiato non era già più un semplice sasso, ma un oggetto culturale investito di significati e - perché no - forse dotato anche di un nome.

In termini più astratti si può dire che già allora il sasso ha smesso di essere un semplice corpo contundente, e che l'uomo non aveva più un rapporto simbiotico di fusione totale con la natura. Da quel momento l'uomo non prendeva solo ciò che la natura gli offriva, ma ha incominciato a privilegiare ciò che poteva essergli utile.

In altri termini alcuni oggetti naturali diventano 'risorse'. Risorsa é ciò che l'uomo é in grado di utilizzare, é quindi implicata una finalizzazione e capacità di trasformazione. Le risorse possono essere acquisite in conseguenza di un processo di conoscenza e di abilità, ed essere perdute in rapporto alla perdita di conoscenze ed abilità. Ad esempio oggi un sasso di silice difficilmente può considerarsi risorsa perché non siamo in grado di costruire un'ascia a partire da esso. Quando si cominciò a scegliere e a finalizzare la natura, finì l'atteggiamento ingenuo verso di essa ed erano poste le premesse perché l'uomo non si sentisse da essa dipendente come da una forza estranea.

Lo stesso processo si ripeteva in quel momento nell'atteggiamento dei bambini verso il mondo così come lo avevano trovato alla loro nascita: riuscivano a diventare padroni di ciò che più gli era familiare solo rielaborandolo e investendolo di nuovi significati, così come già era avvenuta per la pietra di "Teodocia" o per le strade del quartiere.
 

Le pietre di Vigliena


Una delle strade del quartiere si chiama Vigliena, grafia italiana dello spagnolo Villena, il principe che qui aveva costruito un forte diventato famoso secoli dopo per l'ultima battaglia svoltasi tra Sanfedisti e Repubblicani. Qui un Pietro Micca, meno famoso solo perché sconfitto, l'abbate Antonio Toscano, vista perduta la battaglia diede fuoco alle polveri e saltò in aria insieme al forte e a gran numero di nemici.

Di questo forte sembravano perse le tracce (in realtà in tempi recentissimi era stata pubblicata una documentata e interessante storia ma questo era ignorato dal maestro che non fa lo storico di mestiere). Il maestro più volte aveva chiesto notizie ma nessuno ricordava l'esistenza di una qualche traccia del forte, finché la madre di Carmen disse che in via Vigliena c'era ancora "o Vigliena', un nome al maschile che lasciava intuire l'elisione di un nome comune maschile.

Un giorno ci siamo recati nella zona indicata e abbiamo effettivamente visto un cumulo informe di pietre ricoperte di immondizia dove i ragazzi si recavano a giocare. Una esplorazione più attenta ci ha fatto scoprire alcuni tratti di muro con una ben precisa forma e un cunicolo interrotto da una frana. Salendo sulla sommità del cumulo si poteva riconoscere nettamente la sagoma del forte così come la avevamo vista in riproduzione di antiche stampe: un pentagono con una sorta di freccia rivolta verso il mare: avevamo scoperto il Forte Vigliena.

Anche qui abbiamo scoperto qualcosa che ci stava sotto gli occhi: per anni avevamo visto questo cumulo di immondizie e avevamo solo pensato a quando sarebbe stato rimosso. I bambini avevano contribuito alla sua distruzione; qualcuno si era lì rifornito di materiale edilizio.

Di nuovo é comparso l'orgoglio: stavolta erano i bambini di Vigliena, ad avere scoperto degli antenati: ogni giorno portavano in classe nuove notizie sul forte, mescolando reperti e immondizia, notizie vere e notizie inventate.

Tra tante notizie una tuttavia poteva essere il punto di partenza di un nuovo percorso: sulle rovine del forte, tra le immondizie, le ciminiere delle fabbriche, il molo petroli del porto, era nato un albero, che si rivelò essere un olivastro, per semplicità e licenza poetica chiamato semplicemente l'olivo di Vigliena.

Anche la vita di questo olivo fu seguita: a Pasqua arrivarono in classe i ramoscelli di quel particolare olivo, invece di quelli di anonimi e sconosciuti olivi distribuiti nella locale parrocchia.

All'inizio dell'anno Francesco e Daniele annunciarono come la morte di un amico che l'Olivo era stato bruciato, e tuttavia, come tutti gli olivi stava mettendo nuovi germogli.

La vitalità di quest'albero, unitamente alla sua frequentazione da parte di cardellini canterini suggerì al maestro di ripetere con l'albero l'operazione di "estraniazione" questa volta in un altro registro: quello fantastico. Quest'albero appariva come la copia moderna della ginestra "fiore del deserto" : liddove quella dissodava il deserto di lava questo dissodava e si riappropriava del deserto urbano.

E' nata in questo modo la "Leggenda dell'olivo di Vigliena" un racconto elaborato in classe mettendo assieme, secondo un diverso registro, notizie storiche, informazioni raccolte dal vivo, tradizioni letterarie, informazioni sulla realtà sociale del quartiere.

Il questo modo l'olivo e il forte avevano ancora cambiato di significato collegandosi ad esperienze profonde dei bambini. Il tema del forte e dell'olivo é diventato una nuova pietra di paragone, un tema ricorrente anche in molte attività libere dei bambini. Alcuni hanno rifatto più e più volte il disegno del forte e dell'olivo riuscendo a esprimere anche graficamente la contraddizione di cui essi erano testimonianza.

Alcuni mesi dopo é stato bandito un concorso di disegno sul modo in cui i bambini vedevano il quartiere. Il disegno doveva essere corredato di una breve frase di commento. E' stato d'obbligo che tutti volessero fare ancora una volta il forte e l'olivo. Enzo ha validi motivi che lo rendono particolarmente sensibile alla solitudine ha scritto:

Quest'albero si sente solo perché é cresciuto nell'immondizia.
Ma ormai non può farci niente perché é nato così.
Così é la vita: anche dei bambini nascono zoppi.
Ma quest'albero non si sente solo perché
ha la compagnia di bambini sfortunati come lui

La storia dell'albero é stata anche sintetizzata in una specie di poesia elaborata in classe e qui presentata in una versione ritoccata dal maestro

Olivo sulle macerie

dell'antico forte.

Attraverso le parole di Enzo il percorso cominciato da quegli oscuri sassi inerpicandosi lungo il cammino della storia é ritornato alla sua origine: il bambino e i problemi del suo crescere e appropriarsi del mondo.

Contemporaneamente alla utilizzazione dei reperti nel registro fantastico proseguiva quella nel registro scientifico: perché alcuni sassi si sfaldano e altri no, quale é l'origine dei diversi sassi etc..
 

Il rosso e il nero


Qui si cominciano a raccogliere reperti contemporanei: "sampietrini" e basalto usato nelle pavimentazioni, tufo prelevato a Vigliena, pietra pomice raccolta sulla spiaggia e altro ancora. Abbiamo il porfido coi suoi cristallini di quarzo e mica, pietre vulcaniche con minuti cristalli di olivina, etc..il tutto costituisce un piccolo "museo" mineralogico continuamente minacciato di finire nell'immondizia per iniziativa dei bidelli che nulla sanno sul valore di quei sassi ( qui si é inserito un exursus sul "valore" e sulle differenze tra stracciaroli e "scienziati": i primi appiattiscono gli oggetti al loro contenuto mineralogico riducendolo a rifiuto riciclabile; i secondi sanno trovare anche nell'immondizia, conoscenze che trasfigurano queste in oggetti culturali conferendo loro uno "spessore" che va oltre il loro contenuto minerale). Su questi sassi abbiamo imparato a scoprire indizi che portano ancora più lontano , anche al di la della storia umana: alla storia della terra.

Più banalmente abbiamo esaminato le differenze tra sampietrini rosa e sampietrini neri.

Se noi ci chiediamo semplicemente a cosa servono - a lastricare strade - finisce ogni nostra ricerca. Se invece ci chiediamo da dove provengono e quando sono stati trasportati nel luogo in cui li abbiamo trovati, cominciamo anche a porci dei perché. Possiamo scoprire che i "neri" vengono dal Vesuvio e i rossi dal Trentino. Possiamo facilmente scoprire che prima degli anni '60 non si erano visti sampietrini rossi a Napoli e potremmo chiederci se forse non ci sia stata qualche novità nel sistema dei trasporti che ha reso possibile trasportare pietrame a così grandi distanze (Autostrada del sole.?).

Domande di questo tipo sono esattamente le stesse che si sono posti gli archeologi quando hanno trovato e trovano frammenti di selci in un luogo lontano centinaia di chilometri da giacimenti naturali di selci, oggetti, resti di animali etc..in qualche luogo in cui non se lo aspettavano.
 

Il sasso che succhia


Rimanevano però delle sorprese.

Conformemente ai programmi ci siamo occupati di volumi e loro misure.

Per misurare il volume di un solido irregolare, e anche per mostrare l'utilità di usare i litri accanto ad altre misure di volume, alcuni testi suggeriscono di immergere il solido in un recipiente graduato contenente acqua in modo da ricavare il volume del solido per differenza.

Dubito molto che nessuno di quanti hanno descritto l'esperienza la abbia effettivamente realizzata.

Come spesso capitava, dovendo soddisfare incalzanti curiosità, il maestro improvvisava delle risposte utilizzando quanto aveva a portata di mano: taglia una plastica di CocaCola che diventa recipiente graduato, ci mette dell'acqua e prende il primo sasso della collezione: si tratta di un sasso di tufo.

Solo allora si accorge che l'esperimento rischia di fallire miseramente, il tufo infatti é poroso e assorbe l'acqua.

L' esperimento viene sospeso per richiamare alla memoria l'esperienza della "sorgente" che avevamo nella nostra aula durante la classe seconda. In quella occasione avevamo visto che il tufo assorbiva acqua durante le piogge e la rilasciava nei giorni successivi: se avessimo immerso il tufo nell'acqua non avremmo conosciuto il suo volume ( almeno quello che si intende normalmente per volume) perché il tufo avrebbe assorbito una parte dell'acqua, tuttavia si poteva egualmente proseguire l'esperimento solo che il tufo fosse stato dotato di ...un impermeabile. Un frammento di sacchetto di plastica fu avvolto intorno al tufo (il suo volume poteva considerarsi trascurabile ) e il tutto rapidamente immerso nell'acqua per evitare infiltrazioni. Misurato in questo modo il cosiddetto volume, ripetiamo l'esperienza senza l'impermeabile: dopo che il livello dell'acqua si sarà innalzato come nel precedente esperimento, esso si abbasserà a causa dell'acqua che penetra nel tufo.

Per almeno alcune ore il tufo ha continuato ad assorbire acqua:"sta zucando ancora", succhia ancora. La differenza tra i due livelli ci dirà quanto ha succhiato il tufo e quindi quale é la misura degli spazi interni alla pietra.

Abbiamo scoperto quindi parecchie cose importanti:

1) quelli che scrivono i libri per i bambini non sempre scrivono cose giuste ( ma questa é ormai un leitmotiv)

2) un oggetto pesante e apparentemente compatto ha dei vuoti

3) - più importante di tutte - attraverso il ragionamento possiamo 'vedere" e persino misurare le cose che non si vedono. Detto diversamente: la mente é il più potente degli amplificatori sensoriali.

Abbiamo di nuovo usato indizi e segni, questa volta non per immaginare il passato storico o geologico, e neppure per creare qualcosa che prima non esisteva - la leggenda - ma per vedere qualcosa che é sotto i nostri occhi ma non é visibile se non come immagine mentale.

Ragionamenti e discussioni di questo tipo si inseriscono in un altro filone già aperto e centrale nella nostra attività: a cosa serve la scuola, come é cambiata la scuola nel tempo, per quali obiettivi lavoriamo. Questo argomento e tutto il materiale che lo riguarda é raccolto nel fascicoletto "Confronto tra scuole ".

I bambini non devono solo conquistare nuovi strumenti intellettuali ma sapere che li hanno conquistati e che possono migliorarli e sapere come usarli. L'attività mentale, fin dal tempo dei chopper, serve per affrontare in modo meno faticoso e meno rischioso la vita: riconoscere, decifrare e interpretare segni, tracce indizi e simboli è il primo decisivo passo di essa.

Visto che ci siamo possiamo complicare ulteriormente la faccenda: se ritentiamo l'esperimento con la pietra pomice addirittura succede che questa galleggia: in parte si comporta come il tufo assorbendo acqua in parte galleggia. Possiamo dedurre che l'interno della pietra pomice é fatta da alcune cavità comunicanti con l'esterno come il tufo, altre che sono chiuse e funzionano come un "salvagente". Altre pietre vulcaniche anche se leggerissime come la pomice invece affondano etc.....
 

Lettura: operazione creativa

Fin qui la cronaca dell'esperienza, riflettiamo ora sulle operazioni compiute nel suo corso.

Ho scelto volutamente dei sassi qualunque, di quelli che calpestiamo ogni giorno, perché fosse chiaro che di per sé essi non avevano nessun valore. In questi sassi c'era scritto qualcosa perché erano testimoni di una trasformazione, di un trasporto, di una "traduzione". A nostra volta, per poterli leggere, abbiamo dovuto operare una "traduzione" e un trasporto: trasporto nella classe e soprattutto trasporto nel linguaggio, in un sistema di segni specificamente umano e comunicativo.

L'operazione di lettura é stata quindi attiva nel senso che l'oggetto della lettura non é restato immobile ma é stato attivamente trasformato.

Dopo la nostra lettura i sassi non sono più sassi ma sono reperti, sembrano eguali ad altri sassi, ma invece sono speciali: sono stati investiti di significato, sono dei segni che stanno per qualcos'altro; recano anche le tracce del nostro intervento, di un investimento conoscitivo. Non sono più solo i custodi del segreto delle loro origini, ma anche custodi di un nuovo segreto che é solo opera nostra. Chi in futuro trovasse questi sassi inseriti in una custodia di finto velluto nell'armadietto di una scuola potrebbe forse ricomporre il nostro itinerario didattico. Sta di certo che questa ulteriore "traduzione" dei sassi dal pavé all'armadietto non mancherebbe di porre interrogativi ai suoi scopritori.

Ciò che desidero evidenziare é che nella attribuzione di un significato ad un segno sono implicate due operazioni: la traduzione e l'interazione con la nostra enciclopedia.

Traduzione ha il significato letterale di trasferimento in un nuovo contesto - materiale o simbolico o entrambi - . Interazione con l'enciclopedia é l'introduzione nella particolare sintassi delle nostre conoscenze nel momento in cui l'oggetto in esame entra a farne parte. Per questo l'oggetto é trasfigurato, non é più lo stesso che esisteva prima del nostro atto di conoscenza.

Si tratta di una operazione che non é semplicemente cognitiva ma in certo senso anche affettiva. Cognitiva perché comporta il cambiamento di punti di vista e la ristrutturazione di conoscenze già possedute; affettiva perché l'atto di conoscenza implica partecipazione e operatività, messa in moto del nostro essere e della nostra volontà.

Abbiamo sotto gli occhi un oggetto usuale, abituale, comune, e in questo senso familiare ma che non potremmo definire veramente familiare o domestico perché non é stato investito della nostra attenzione: é un sasso eguale a milioni di altri sassi.

Questo movimento del pensiero é illustrato in forma poetica nel "Piccolo Principe" di Saint Exupery' che potrete leggere e discutere anche coi vostri scolari.

In forma scientifica questa idea é stata espressa da Vygotsky:

I processi psichici mutano nell'uomo in forma mediata, così come il comportamento muta con il mutare degli strumenti. Il linguaggio si sviluppa parallelamente agli strumenti anche come mezzo per dominare i processi psichici. Mutando l'ambiente l'uomo muta anche i suoi processi psichici. Natura parendo vincitur: la natura viene vinta assecondandola

Le funzioni psichiche mediate sorgono solo nelle attività collettive e cooperative in cui ogni mezzo psicologico é in origine apprestato per un altro uomo e solo in seguito c'è un processo di organizzazione esterno che si trasferisce all'interno .

All'inizio nel bambino c'è l'azione, ma poi si realizza un processo di apprendimento e un processo di generalizzazione e astrazione che segue i canali di una doppia stimolazione: c'é una nostra azione sull'ambiente e poi un nostro assoggettarci all'ambiente così mutato, ai segnali da noi stessi introdotti: questo é lo schema dell'atto mediato. Un esempio banale é quello del nodo al fazzoletto.

L'attenzione passa da uno stadio fisiologico-corticale ad uno stadio culturale in cui l'uomo sociale introduce nell'ambiente una serie di segni-stimoli artificiali che rendono possibile la regolazione del comportamento.

Sono questi gli stimoli attraverso cui l'individuo acquista il dominio dei propri processi di comportamento.

Le funzioni psichiche sono processi mediati e i segni sono i mezzi per dirigerle; nella formazione dei concetti il segno é la parola che prima svolge il ruolo di mezzo nella formazione del concetto poi ne diventa il suo simbolo.

L'adulto non può trasmettere il suo modo di pensare ma solo dei significati intorno ai quali il bambino aggregherà i suoi complessi.

In popoli primitivi e in alcune patologie mentali si é notata una "partecipazione" alla realtà analoga a quella dell'infantile "pensare per complessi ".

All'interno della lingua c'é una lotta tra un modo di pensare per complessi e il pensiero concettuale.

In contrasto con questo movimento la conoscenza, se vuole dirsi scientifica o semplicemente concettuale - implica anche estraniazione e distanza: nella conoscenza scientifica le parole vengono tratte dal linguaggio comune per specializzarsi ed essere usate in senso tecnico e cioè secondo sintassi e regole di composizione prestabilite. Si potrebbe dire che le parole finché sono usate in senso comune fanno parte di un linguaggio "indigeno" e quando sono usate in senso scientifico, riflesso, diventano parte di una lingua straniera, estranea al linguaggio familiare.

Anche su questo punto Vygotsky si é espresso in modo illuminante:

C'é una sorprendente analogia tra il modo in cui si rapportano lingua scritta e lingua parlata, concetti quotidiani e concetti scientifici, lingua materna e lingua straniera, e ciascuno dei processi di sviluppo dall'uno all'altro si giova di quanto é avvenuto negli altri.

Finché il sasso é solo un corpo contundente su cui posiamo uno sguardo distratto esso può essere collocato solo in determinati contesti sintattici del tipo " Marco tira un sasso alla sua compagna Angela', se invece il sasso é stato trasformato in reperto può entrare in nuovi contesti come quello che costituisce la prima parte di questo scritto.

In questo movimento del pensiero viene fuori una profonda contraddizione tra la necessità di essere profondamente coinvolti nella conoscenza, 'partecipare' o 'alienarsi' nell'oggetto e la necessità di uscire fuori dalla partecipazione, o - come si esprime Bruner - 'allontanarsi dal contesto d'azione" per poter sviluppare il pensiero concettuale.

La partecipazione, il contatto muto con l'oggetto, o come altri lo hanno chiamato, la "visione originaria" avvengono nella sfera emotiva e sono determinanti per la motivazione ad apprendere; la distanza é necessaria per la elaborazione concettuale ma é anche demotivante e fredda.

La scuola si muove esattamente al centro di questa contraddizione: l'esperienza descritta costituisce un tentativo di collegamento tra questi due movimenti del pensiero, o come uso dire nel gergo di classe: fare buone provviste a terra per affrontare meglio oceani ignoti.

La contraddizione infatti é sterile solo se il "vissuto" e l'emozionale sono contrapposti allo scientifico; se i due movimenti dell'atto di apprendimento vengono isolati e contrapposti.

La contraddizione é feconda se i due movimenti sono integrati nello stesso processo: dobbiamo prima addomesticare, cioè prendere confidenza e far entrare nel nostro pensiero, quanto ci é normalmente estraneo e quindi assoggettare noi stessi e il nuovo ospite alle comuni regole di convivenza cioè la sintassi - modificata per l'occasione - che regola il pensiero concettuale.

Il primo movimento coinvolge l'individualità, l'investimento affettivo che siamo disposti a mettere in campo, il secondo movimento coinvolge l'aspetto sociale e comunicativo della conoscenza, del pensiero e della lingua.

E' bene riflettere sul fatto che tutto questo non é né pacifico né tranquillo per gli adulti e tantomeno per il bambino. Ricordiamo la frase già citata:

All'interno della lingua c'é una lotta tra un modo di pensare per complessi e il pensiero concettuale.

O come altri dicono, ci "avventiamo contro i limiti del linguaggio".

Non é né pacifico né tranquillo ma pericoloso, in quanto implica una rottura della sintassi familiare e indigena (il lessico famigliare ha scritto qualcuno) e quindi la rottura con uno stato di beata armonia, di abbandono fiducioso ad un ambiente in cui ci piacerebbe naufragare come nel ventre materno. Un dramma che del resto sa di già visto dal momento che é proprio quello rappresentato ai piedi dell'albero della conoscenza.

Solo chi riceve già nel suo proprio ambiente una forte spinta ad inerpicarsi verso il sapere "straniero" e conta su abbondanti provviste reperite in terraferma riesce ad utilizzare senza particolari difficoltà le occasioni che la scuola gli offre.

Infine occorre osservare in margine che le operazioni di "traduzione" dei segni non avvengono solo tra "concetti quotidiani" e "concetti scientifici", ma avvengono anche tra "concetti quotidiani" e altri codici e registri più o meno strutturati. Le rappresentazioni visive, musicali, col corpo etc.. sono modi efficaci e fondamentali per operare traduzioni significative. Nell'ambito linguistico le traduzioni tra diversi registri - narrativo, scientifico, fantastico, poetico etc..- costituiscono strumenti decisivi per arrivare a cogliere tutta la ricchezza e fecondità del segno linguistico, per comprendere operativamente che la lingua offre una "semiosi infinita' ossia infinite possibilità per tentare di esprimere anche l'inesprimibile.
 

La leggenda scritta dai bambini


(versione data da alcuni bambini della classe)

Tanto tempo fa la costa di S. Giovanni era coperta di verde e c'erano fiori e alberi In questo posto meraviglioso la gente affascinata dalla natura misteriosa raccontava delle leggende, tra queste leggende una riguarda l'olivo di Vigliena.

Si dice che a Vigliena per costruire un forte fu tagliato un albero che era cresciuto sulla sabbia.

Lì si costruì un forte per combattere, infatti più di cento anni dopo c'era una guerra civile, cioé questi cittadini combattevano tra loro perché c'erano alcuni che volevano il re, invece l'altra metà dei cittadini voleva la repubblica.

Le persone che combattevano per la repubblica stavano crollando e allora uno dei repubblicani ha pensato che per loro era troppo tardi e allora diede un ultimo colpo ai nemici e diede fuoco alle polveri e il forte saltò in aria.

Ecco questa é la leggenda di Vigliena, ma la cosa non finisce qua perché gli alberi e il repubblicano sono ancora seppelliti sotto il forte e lì gli alberi stanno incolpando il soldato repubblicano perché lui ha rovinato la natura.

Gli alberi e le piante dicono:

- Ci hai rovinato!

-Ma come vi ho rovinato?

-Si, tu ci hai rovinato, tu ci hai ucciso e non ci hai nemmeno pensato.

-Si lo ammetto, ma ora cosa si può fare per sistemare la faccenda?

-Senti qui sopra.......

-Va bene, facciamo così, forse capiranno.

A questo punto l'albero e il soldato complottano con un uccellino:

- Senti uccellino, lo sappiamo che sei stato catturato da questi uomini malvagi, ma noi ti liberiamo e tu devi farci un favore.

- Va bene, ditemi quello che devo fare e lo farò.

- Tu dovresti portare un ramoscello di olivo e piantarlo quì.

L'uccellino fece tutto questo e così é successo che é cresciuto un albero di pace in un luogo di morte e di sporchizia.

- Guarda, qui ci sono ciminiere che seminano veleno, fabbriche che inquinano, sono solo io che do luce in questo buco di città.

(Nadia)

Personaggi: - Soldato - Alberi e piante - Uccellino

TantoTanto tempo fa la costa di S. Giovanni era coperta di verde, il mare era limpido, le montagne erano forti e rocciose.

Ma questo paesaggio di sogno c'erano molte leggende fra cui una che parlava di alberi e di guerre.

Cerano delle nazioni che volevano fare la guerra e allora la prima cosa che fecero fu di tagliare gli alberi e fare un forte per combattere, questo forte fu fatto sulla costa di Vigliena.

Passarono molti anni e c'era un capo che chiameremo l'eroe della libertà.

Dall'altra parte c'erano quelli che volevano il re.

Durante la battagia non avendo più scampo, l'eroe decise di dare un ultimo colpo al nemico così fece scoppiare il forte: la natura e l'eroe finirono sotto terra.

E la prima cosa che l'eroe vide fu un albero che era vissuto prima del forte.

Erano due anime e l'anima dell'albero disse:

-Ah! Ah! tu sei quello che combattevi contro di noi.

-Io non combattevo contro di voi, combattevo per la libertà.

- Ah si! E perché quando dovevi fare le guerre ci uccidevi, mi spiego meglio, ci tagliavi a metà.

- Non ci ho pensato, ma ora come facciamo?

- Ci penso io

Un giorno tra le macerie del forte un uccello bianco, col petto dorato venne intrappolato da una rete.

Allora l'albero disse all'uccello:

-Noi ti liberiamo, ma tu ci devi fare un favore.

Così l'uccello portò un ramoscello di olivo sul forte Vigliena e dopo molti anni nacque un bellissimmo albero di olivo.

L'albero viveva in un piccolo spazio ma gli uomini proprio là buttavano delle sporchizie ad esempio:

siringhe di drogati, topi morti, etc...

Allora l'albero vedendo tanti simboli di morte si chiese:

Chi vincerà?( in rosso nel testo)

(Emilia)

Tanto tempo fa S. giovanni era tutto come un sogno, c'era tanto verde e molti alberi e il mare era limpido tanto che la gente raccontava tante leggende su S.Giovanni.

Una di queste legende parlava di un olivo che stava sepolto sotto il forte di Vigliena, ora vi spiego la leggenda.

Molti anni dopo la nascita di S. Giovanni, iniziò una guerra che era la guerra civile che significa che si uccidevano fra di loro, fra la stessa razza perché certi cittadini volevano il re e altri cittadini volevano la repubblica della libertà.

Allora decisero di costruire un forte dove combattere, tagliarono gli alberi e distruggerono la natura, tanto che la natura diventò tutta sporca.

Uno dei soldati per un tocco finale decise di far saltare il forte di Vigliena e così rimase sotto al fortino e sotto le macerie.

Quando il soldato stava sotto terra e sotto le macerie vide un albero di olivo e la sua anima disse al soldato:

- Perché hai distrutto me e la natura

- Non lo volevo fare, però io non ho pensato e ora non posso fare niente.

Mentre passava un cacciatore che voleva catturare un uccellino disse il soldato all'uccello:

- Ti libero se mi farai il favore di andare in un campo a prendere un ramoscello di olivo e piantarlo davanti qua.

Così l'uccello lo fece e portò il ramoscello che dopo anni cresce più forte>.

Riflessione:

Io penso che questo albero era un albero diverso da tutti perché fra tanta immondizia , siringhe e lattine di coca-cola é cresciuto.

Oggi in classe un nostro amico ci ha portato un ramo di olivo incendiato che significa che qualcuno lo ha incendiato. (Lucia).

Tanto tempo fa a San giovanni c'erano dei miracoli c'era la leggenda dell'olivo che era nato da un uccellino che aveva messo il seme dentro a un buco nel terreno.

Sotto a quel terreno ci stava l'anima di un giovane che tanto tempo fa ha distrutto il fortino di Vigliena con una guerra e questo eroe morì.

Così nasce l'olivo:

Un cacciatore che catturò un uccellino e lo mise in gabbia e poi se lo voleva mangiare, ma gli amici di questo eroe dicono: ora ti libero, però devi farci un favore: va nel tereno di Vigliena e metti unseme. Passò tanto tempo e così nacque l'albero di olivo nella munnezza.( Enzo)

Gaetano é andato sul forte di Vigliena. Il forte era tutto incendiato. E ha rotto un ramo d'oliva secco sull'albero e poi i germogli crescono subito.

E poi Gaetano ha visto spunta re i germogli.

La leggenda di Vigliena (versione del maestro)