EGUALITARISMO ED INCENTIVI NELLA SCUOLA

Considerazioni riguardanti l'introduzione di nuovi istituti contrattuali.

Nel nuovo contratto della scuola per la prima volta nella storia della scuola italiana sono state introdotte misure di differenziazione salariale tra i docenti.

Per prima cosa va chiarito che le misure sono o dovrebbero essere legate a prestazioni diverse e quindi in sostanza legate al fatto che si richiede un maggiore impegno ai docenti anche se questo non é quantificabile in ore in più. Tuttavia un docente che si rende disponibile a svolgere l'orario in modo flessibile, che organizza le attività didattiche secondo cadenze e modalità diversificate, deve necessariamente impiegare tempo ed energie per fare queste cose. Non esiste un lavoro di migliore qualità se non esiste a monte un maggiore impegno. Questo principio vale o dovrebbe valere sia per le maggiorazioni salariali legate alle 'funzioni obiettivo', sia per quelle legate alle zone a rischio sia per quelle legate alla 'progressione' di carriera. In sostanza si da di più a chi lavora di più che non mi pare sia un principio rivoluzionario.

Tuttavia il cambiamento ha molti nemici li elenco sinteticamente:

1. I signori di natura: ritengono il salario degradante e altrettanto ogni misurazione delle prestazione e del rapporto tra prestazioni e salario. Per loro é necessario un 'onorario' che é una rendita dovuta alla posizione occupata dalla loro nobile persona. Chi abbia titoli culturali, corsi, specializzazioni, medaglie, diplomi etc.. dovrebbe percepire uno stipendio maggiorato per il solo fatto di concedersi alla istituzione.

2. I sottoproletari: non potendo vantare nobili natali monetizzano il disagio e l'incompetenza, di fronte alle difficoltà del lavoro a scuola oggi, del lavoro in certe scuole in particolare, ritengono di poter accampare diritti ad una maggiorazione salariale e ad una riduzione del carico di lavoro per il solo fatto di essere presenti in una realtà 'a rischio'. I limiti tra sindacalismo ed accattonaggio qui sono molto labili.

3. Gli ideologi: gli interessi corposi si collocano agli estremi opposti e sono quelli dei signori e dei sottoproletari. Purtroppo però esistono gli ideologi, quelli che per scelta ideologica sposano le cause più diverse senza neppure rendersi conto della situazione reale. In questo caso il nocciolo duro di diverse ideologie é l'egualitarismo in numerose e significative varianti.

a. Egualitarismo straccione: chi non può non vuole e non sa impegnarsi a svolgere bene il proprio lavoro, si impegna attivamente ad impedire che altri svolgano in modo positivo il lavoro: ogni risultato positivo suona sconfitta e rimprovero alla propria passività o cialtroneria. Per costoro l'egualitarismo salariale rappresenta una codifica dell'invidia: attacco distruttivo alla creatività e all'impegno. Costoro seguono la linea giacobina di 'tagliare i papaveri alti': non é giusto che guadagnino di più quelli che anno la fortuna - sic- di essere più preparati, di impegnarsi di più nel proprio lavoro.

b. Egualitarismo materialistico: gli uomini sono eguali quando sono eguali le condizioni materiali, perché l'uomo é ciò che mangia. Ogni differenziazione salariale per costoro comporta una tragica trasformazione della specie: una catastrofe geologica che distrugge dinosauri e crea mammiferi. Identificandosi con i dinosauri sono giustamente preoccupati.

c. Egualitarismo burocratico o da caserma: siete tutti eguali, tuona il 'superiore' verso il carcerato, il dirigente becero verso i dipendenti, il caporale autoritario agli uomini della squadra. L'universo concentrazionario (gulag o lager a scelta) é il luogo dove questo tipo di egualitarismo trionfa assumendo il controllo totale dei corpi: attraverso la tortura perché non é in grado di assumere il controllo delle menti che sono irrimediabilmente diverse. Ogni volta che una persona avanza la pretesa di essere un individuo complica la vita al burocrate, al caporale e a tutti quelli che non sanno dirigere se non attraverso il dominio ed il potere. L'eguaglianza delle condizioni materiali é quindi un ideale funzionale al comando perché consente una perfetta intercambiabilità dei dipendenti, perché impedisce a chiunque di sentirsi più importante di un altro, perché frustra alla radice ogni tentativo di scalata sociale, ogni possibilità di ricambio nella gestione del potere se non per cooptazione. Questo tipo di egualitarismo si coniuga perfettamente con l'egualitarismo straccione: l'invidia dall'alto e quella dal basso sono unite nella lotta all'intelligenza così come i comandanti dei lager riescono sempre a trovare tra i reclusi un kapò disposto ad allearsi con loro.

L'imperante egualitarsimo salariale nella nostra scuola é parte integrante di una ideologia della uniformità - le parti eguali tra i diseguali - verso gli alunni, e della incapacità di riconoscere, accoglliere, valorizzare le diversità - le individualità - come ricchezza dell'individuo e della specie. L'unica eguaglianza che dovrebbe circolare nella scuola dovrebbe essere quella del rispetto e della dignità della persona e dell'individuo. Attraverso l'egualitarismo da caserma, materialistico e invidioso si costruiscono sudditi, attraverso il rispetto della persona si lascia crescere persone sovrane. Cittadini sovrani invece che sudditi.

Ora in questi giorni - all'inizio di novembre - possiamo vedere all'opera queste tendenze: i COBAS che scendono in piazza in nome dell'egualitarismo paventando la fine della scuola, dall'altra parte la prima applicazione delle misure contrattuali avviene nel modo più ambiguo, offrendo a tutti i docenti di una scuola - ancora una volta un 'tutti' indistinto ed egualitario - una 'indennità' di rischio di fatto indipendente dalla assunzione di maggiori e significativi impegni.

Io sogno una scuola in cui l'apprendimento e la ricerca della verità siano guida per il lavoro di tutti, in cui l'unica gerarchia esistente sia quella dei concetti e delle idee che sanno essere più accoglienti, capaci di meglio interpretare il reale; in cui scienza e coscienza vadano insieme offrendo ai ragazzi strumenti di mediazione intellettuale che li mettono in grado di meglio interpretare mondo e contesti umani che sanno proteggere ed accompagnare la crescita di ciascuno. In questa scuola bisogna sapersi dedicare a costruire una comunità utilizzando intelligenza e sentimento, bisogna costruire un pensiero collettivo che é il collante dell'ambiente umano; chi si dedica a questo compito non é né migliore né eguale, semplicemente sa mettersi al servizio della comunità. Gli insegnanti che siano educatori e non semplici impiegati, chiedono da tempo il riconoscimento di questo loro lavoro, ne hanno bisogno per poter lavorare, ne hanno bisogno perché costituisce il segnale di una responsabilità e di un impegno. Nessun premio, nessuna competizione, non la spinta a separarsi dagli altri ma l'impegno ad unirisi. Noi abbiamo bisogno di docenti che sappiano concedersi ai propri allievi ed insieme - questo é molto più difficile - concedersi ai propri colleghi, al resto del personale della scuola, ai genitori per trasformare quell'organismo collettivo astratto che si chiama comunità educativa, in un organismo vivente; per passare dal pensiero individuale al pensiero gruppale. Bisogna stare molto attenti al modo in cui si realizza questa incentivazione, che non accada che diventi semplicemente la corsa al soldo, l'incentivo alla arrampicata sociale, perché in questo caso invece di incentivare la crescita di un organismo collettivo incentiviamo la fuga dall'impegno di gruppo. Già abbiamo troppi insegnanti che usano la scuola solo come trampolino di lancio, sine cura che consente di impegnarsi altrove per coltivare carriere e professioni o semplicemente interessi culturali tanto nobili quanto estranei al compito. Nulla in contrario, ma che lo facciano altrove e non a spese del contribuente e dei malcapitati ragazzi.

Questo non significa illudersi che la scuola possa essere un luogo i cui si confrontano le idee separate dai corpi, le teorie separate dagli interessi, ma significa che almeno nella scuola occore accettare, rispettare e far rispettare come regola fondamentale lo spirito di ricerca, il rispetto delle opinioni e della dignità di ciascuno, il confronto basato sulle evidenze sperimentali. Ho cercato di inseganre ai miei scolari, sull'esempio del processo a Galileo, che noi non possiamo accettare alcun principio di autorità, nè che questo derivi dalle le sacre scritture né che questo derivi da 'maggioranze democratiche' comunque costituitesi. Ho cercato di inseganre che la 'sovranità' é propria dell'individuo e che nessuna autorità o maggioranza può ledere i diritti umani fondamentali. Tutto si può dicutere, tutto può essere messo ai voti meno che le verità scientifiche e i diritti umani fondamentali. Ora che si possa stabilire a maggioranza quali siano le scuole a rischio, che si possa stabilire per decreto immotivato, privo di evidenze sperimentali, chi percepisca un incentivo e chi no, mi pare che violi i principi fondamentali, ma forse quelli sono buoni - se proprio volete -da raccontare ai bambini, sperando che se ne dimentichino crescendo.

La rissa che é stata scatenata intorno all'incentivo per le scuole a rischio é un esempio di ciò che non deve accadere. E' possibile che le scelte operate siano le migliori possibili, ma il semplice fatto che siano state così aspramente discusse é il segno di un processo decisionale poco partecipativo e poco condiviso. Le nostre autorità amministrative e politiche esibiscono l'accordo coi sindacati come sinonimo di trasparenza e partecipazione. Questo non é mai stato vero, tanto meno nella scuola, tanto meno per questa materia. I sindacati, quand'anche siano rappresentativi di tutti i docenti, li rappresentano - ed é un limite del sindacalismo in questo e in altri settori - relativamente ad alcuni interessi propri della condizione di lavoratore dipendente. Qui si tratta di problemi di gestione di un settore importante dello stato e di un servizio pubblico, occorre rispondere alla totalità dei cittadini e degli utenti e non alla propria categoria sindacale. Qui si tratta di mettere in piedi organismi vivi e vitali in grado di ricercare e progettare interventi complessi. Così come credo che il 'pensiero gruppale' sia essenziale per riuscire in questa impresa, credo che il 'pensiero sindacalizzato' sia la negazione di ogni pensiero degno di questo nome: affermazione di affiliazione ed obbedienza, di uniformità e conformismo che sono l'opposto della sovranità. Il sindacato, come ogni gruppo organizzato ha un importante potere di controllo, ma la gestione é altro. L'apertura del sindacato a problematiche più vaste, il suo fuoriuscire da una visione parziale dei problemi é decisiva perché si sviluppino le sue capacità di controllo e di proposta in relazione ai problemi generali, ma questo non può tradursi in cogestione. Per dirla tutta ritengo che sia il sindacato, sia in genere gruppi di cittadini attivi ed impegnati nel controllo possano esprimere dirigenti e manager di elevata qualità, che debba quindi aprirsi la possibilità di onesta e trasparente carriera e di passaggio nel novero dei dirigenti anche mantenendo un legame - di tipo culturale soprattutto - con la parte che li ha espressi. Nel caso in esame altro é contribuire ad una decisione assumendosene in pieno anche responsabilità amministrativa e realizzativa, altro é 'contrattare' che per definizione non comporta alcuna responsabilità se non quella di soddisfare la propria parte contrattuale. Non a caso però in questo momento vedo l'alleanza più stretta a tutti i livelli tra burocrazie - ministero, sindacati, partiti - in nome del potere e della conservazione di questo di fronte agli inevitabili processi di decentramento. E il collante comune é l'egualitarismo conformistico che é l'aspirazione comune anche quando si pratica temporaneamente una meritocrazia suicida. Non dimentichiamo che in Italia esiste ormai una consolidata tradizione, di origine curiale, consistente nella applicazione estremizzata dei principi dell'avversario, in cui i nemici delle riforme diventano "più papisti del papa".

La questione centrale é se l'impresa educativa vada governata con principi educativi o vada governata secondo principi di potere. Non c'é dubbio che l'educazione come espressione dello stato centralizzato debba essere governata secondo il principio gerarchico. Non c'é dubbio che l'educazione come espressione di una cura parentale dilatata a dimensione sociale debba essere governata secondo i principi educativi e debba essere innanzi tutto una impresa per apprendere.

Anche nella gestione delle imprese economiche, a causa di molti motivi, il problema dell'apprendere é un problema centrale: una impresa é anche un sistema che apprende, ossia capace di trasformarsi in tutto o in parte a seguito delle interazioni con l'ambiente. L'apprendimento quindi non é costituito da un deposito accumulato inizialmente e che viene speso e consumato in seguito, ma un processo continuo che rende possibile dirigere la propria attività apprendendo dal contesto. Ora di tutte le organizzazioni burocratiche quella scolastica sembra la meno capace di apprendere. Apprendono poliziotti e militari, soprattutto in seguito a sconfitte; apprendono le imprese soprattutto quando cominciano a perdere, apprende l'organizzazione finanziaria dello Stato; ma non sembra apprendere il sistema scolastico. Le operazioni che sta conducendo Berlinguer anche se condivisibili sono in gran parte operazioni dall'alto, ma può un potere centrale smantellare il potere centralistico? Non accade che proprio nello scontro nascano piccoli cloni del potere centralistico? Berlinguer sta scoprendo - come prima di lui altri che si sono assunte responsabilità devastanti, ad esempio il Mao della rivoluzione culturale - che i giovani possono essere la testa d'ariete per cambiare il sistema, anche a costo di alimentare e tollerare gli eccessi di questi. Al di la delle sbandate del momento c'é però una profonda verità: nessuna organizzazione può cambiare se nel suo ordinario funzionamento non é in grado di recepire i messaggi provenienti dai propri destinatari, se non c'é una adeguato sistema di retroazione (feed back). Il principale strumento di misura della qualità del sistema scolastico va considerata proprio la partecipazione e di conseguenza i processi di condivisione che a questa si accompagnano. Partecipazione e condivisione sono il brodo di coltura dentro cui i processi di apprendimento diventano circolari e consentono a tutti e a ciascuno di attingere ad un sapere socialmente costruito e condiviso.

Ogni scuola deve imparare ad attivare processi di questo genere se vuole mettersi in grado di rispondere ai bisogni educativi reali e non a bisogni astratti ed uniformi. Ma tali processi sono indispensabili e vitali quando la storia e la condizione dei ragazzi e delle loro famiglie presenta irriducibili singolarità. Ci cono zone di impegno educativo prioritario perché in esse ci sono ragazzi e famiglie più vulnerabili rispetto ad una scuola che agisca in modo uniforme e senza attivare la partecipazione. Non una indennità di rischio é necessaria ma un incentivo all'impegno verso l'intera comunità educativa piuttosto che nel chiuso della classe. Questo da anni si sta chiedendo e praticando, un impegno della scuola verso le persone singolari, che sia a tutto campo e questo é ciò che va incentivato. Questo significa che sono diversi i modi di gestire l'incentivo stesso, perché se si tratta di una 'indennità di rischio' esso verrà applicato in modo uniforme indipendentemente da impegni reali - se non la ferma triennale - oppure secondo una logica premiale nei confronti del singolo. Se invece si tratta di un incentivo a vivere meglio la scuola e l'impresa educativa da parte dei docenti, allora esso deve essere applicato in modo selettivo, sulla base di un 'contratto' che leghi il docente non tanto alla scuola, quanto ad un modo di lavorare che ha al centro la complessità della condivisione e della circolarità nell'apprendimento.

Ora il modo in cui questa norma contrattuale viene applicata, precedendo nel tempo e nella logica tutte le misure previste dalla autonomia e tese a rendere possibile la gestione della complessità, imprime anche agli sviluppi successivi della autonomia un marchio di economicismo e di riduzionismo sindacale, che é la negazione del significato culturale della autonomia Ritengo veramente penoso e funzionale ad un disegno di conservazione il dibattito che si é acceso intorno ai progetti sulle zone a rischio che tende a presentare la questione come problema di scarse risorse o come lotta tra i poveri. Questo modo stesso di porre la questione é un modo di riaffermare un atteggiamento moralistico verso gli insegnanti che da sempre é il modo per tenerli in stato di minorità e per dirigerli centralisticamenne con un armamentario di potere piuttosto che di sapere; un modo per riaffermare l'incapacità dei docenti ad autogovernarsi e la necessità di corteggiare il potere perché esso conceda provvidenze non dove é necessario ma dove c'é chi é abbastanza suddito da essere in grado di apprezzare come favore ciò che é dovuto come diritto.