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Le strategie del Direct Action Network.
Le denunce dei difensori dei diritti civili.
La protesta a Seattle. di Sara Fornabaio da Seattle, 1 dicembre 1999


La grande manifestazione del 30 novembre sembra aver colto totalmente impreparata la polizia di Seattle e i rinforzi che erano stati chiamati dai dintorni per l’occasione. Nonostante mesi di preparazione e di esercitazioni antisommossa, i disordini di martedì scorso hanno messo in evidenza l’incapacità della polizia locale (ma anche delle autorità federali) di prevedere cosa sarebbe realmente successo. Gli organizzatori della protesta, invece, erano molto meglio preparati. I "piani di assalto" sono stati accuratamente studiati nei mesi precedenti e messi in atto con successo, visto che hanno portato alla cancellazione forzata della cerimonia iniziale del vertice dell’Omc. I principali organizzatori della protesta, il Direct Action Network (Rete per l’Azione Diretta) avvano studiato piani ben precisi per raggiungere l’obiettivo primario: impedire ai delegati di prendere parte alla cerimonia inaugurale. La polizia era pronta ad affrontarli dinanzi al Paramount Theatre, luogo della cerimonia, e intorno al Convention Centre, sede ufficiale degli incontri, ma non era pronta ad impedire quanto è successo. Invece di provare ad avvicinarsi a luoghi più protetti, gli attivisti hanno diviso l’intera area in 13 spicchi, si sono organizzati in micro squadre (5-15 persone) e hanno chiuso tutti gli accessi con catene umane e sit-in, impedendo di fatto ai delegati di uscire dai propri alberghi, dalle proprie auto o dai taxi. Questa strategia ha avuto successo per due motivi: primo, l’adesione alla protesta è stata maggiore del previsto. Gli organizzatori si aspettavano un migliaio o due al massimo di attivisti all’appuntamento del 7 del mattino del 30 novembre. Ne sono arrivati 10mila, cosa che ha reso più facile attuare i piani. Secondo, la polizia sembra aver grossolanamente sottovalutato l’entità della protesta: hanno circondato il Paramount Theatre e il Convention Centre, ma si sono dimenticati di creare un corridoio di accesso per i delegati. Non solo, il numero di agenti impiegati era assolutamente inadeguato rispetto a quello dei manifestanti. Ma viene spontaneo domandarsi come tutto questo è stato possibile, nel paese dove la sicurezza è una religione e dove i servizi sono ovunque.
Viene anche spontaneo rispondersi che forse gli Usa hanno ravvisato una qualche utilità nella protesta. Persino i delegati si sono posti questo genere di interrogativi, perché davvero è sembrato tutto troppo prevedibile. Ma perché gli americani avrebbero avuto interesse a boicottare l’avvio del vertice dell’Omc? E’ noto che gli Usa vorrebbero un negoziato limitato a pochi temi, mentre gli europei chiedono un negoziato globale, che affronti quanti più temi possibile, in modo da "diluire" l’attenzione sulle questioni agricole, tallone d’Achille dell’Ue. Non solo, gli Usa stanno per entrare nel vivo della campagna elettorale e la maggior parte dei manifestanti sono elettori del Partito democratico. Potrebbe dunque essere possibile che si sia scelto di lasciar fare, per dimostrare l’apertura e la democraticità dell’attuale amministrazione. Questa teoria viene però indebolita dalle conseguenze dei disordini di martedì: il coprifuoco imposto dal sindaco di Seattle ha infatti permesso alla polizia di arrestare chiunque senza particolari motivi, il che si traduce nella schedatura di tutti i manifestanti più attivi. Che fosse anche questo uno degli obiettivi? Difficile rispondere, anche perché la violenza della polizia, che si è scatenata anche con chi non c’entrava niente con la protesta, sta provocando le ire dei difensori dei diritti civili, vera ossessione degli americani. La filiale locale della più importante associazione nazionale di avvocati per la difesa dei diritti civili (American Civil Liberties Union, Aclu), infatti, ha denunciato alla corte federale la Città di Seattle per aver istituito illegalmente una "no-protest zone" che comprende tutto il centro di Seattle. Questo ha significato che per poter accedere al centro, chiunque non avesse un pass ufficiale dell’Omc era obbligato ad indentificarsi e dare spiegazioni. Se "ben vestiti" bastava fornire dei buoni motivi, altrimenti si correva il rischio di essere arrestati, come è successo a molti passanti, inclusi alcuni giornalisti.
Chi scrive ha personalmente verificato questa "procedura", anche se è bastato fare dei gran sorrisi e fingere di far parte della delegazione italiana per arrivare praticamente ovunque. Oltre alla violazione del diritto di manifestare liberamente le proprie idee (il famoso Primo Emendamento), l’Aclu accusa la Città di Seattle di impedire ai cittadini di svolgere le loro normali attività, come andare al lavoro, a teatro, al ristorante, ecc.. A questo si aggiunge il malumore dei negozianti, che denunciano di aver perso quasi 7 milioni di dollari al giorno in mancate vendite. Altre violazioni sono state denunciate riguardo ai diritti dei quasi 700 manifestanti arrestati. A molti di loro, infatti, per ore non è stato permesso né telefonare, né parlare con gli avvocati, che inutilmente avevano raggiunto il centro di detenzione provvisorio istituito per l’occasione. L’opinione che sembra prevalere è che la violenza della polizia dopo i disordini di martedì sia eccessiva e inutile, mentre avrebbe avuto più senso pianificare meglio la sicurezza ed evitare che ci fossero incidenti. Bisognerà vedere se la corte federale accetterà il ricorso o meno. Se non dovesse farlo, questo avrà sicuramente delle conseguenze negative sull’opinione publica, soprattutto in una città come Seattle, tradizionalmente molto attiva politicamente.