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L'orientamento della giurisprudenza in ordine alla illeicità penale della coltivazione di sostanze stupefacenti per uso personale

Con il referendum popolare del 18 aprile del 1993 ed il conseguente D.P.R. 171/93 sono state abrogate fra l'altro le sanzioni penali per i consumatori di stupefacenti previste dall'art. 76 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina delle sostanze stupefacenti e psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con il D.P.R. del 9 ottobre 1990 n. 309.

Pertanto, le condotte di importazione, acquisto e detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale sono soggette alle sole sanzioni amministrative ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. 309/90.

Questa situazione ha indotto la giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità, a porsi il quesito, alla luce del risultato del ripetuto referendum, se l'attività della coltivazione finalizzata all'uso personale possa o non rientrare nelle condotte depenalizzate.

In questi anni, a partire dal 1993, sul punto si sono registrate decisioni diametralmente opposte sia da parte della giurisprudenza di merito sia da parte di quella di legittimità; le decisioni hanno riguardato essenzialmente la pianta di Cannabis indica.

La Corte di Appello di Catanzaro con la decisione del 23/3/1994, Noia, si pronunciò nel senso che la coltivazione di stupefacenti, (Cannabis indica), destinata ad uso personale, doveva ritenersi depenalizzata alla luce del risultato del referendum, dovendo essa ricomprendersi nella nozione di detenzione, latamente intesa.

La decisione fu annullata dalla Corte di Cassazione, sezione VI, con la sentenza del 29/9/1994, la quale ritenne che l'interpretazione estensiva data dai giudici di merito non era accettabile in considerazione della mancanza di presupposti necessari ed in considerazione della tassatività delle prescrizioni contenute negli artt. 73 e 75 del d.P.R. n. 309/90, che implicano una scelta ponderata e precisa del legislatore.

Tuttavia la stessa Corte di Cassazione, sezione VI, con sentenza n. 6317 del 3/5/1994, Polisena, aveva in precedenza ritenuto di considerare la coltivazione di Cannabis indica, destinata all'uso personale, come una fattispecie depenalizzata rientrante nelle condotte previste dall'art. 75 del d.P.R. 309/90.

Sul fronte del merito, il Giudice delle Indagini Preliminari (d'ora in avanti G.I.P.) del Tribunale di Cuneo Gianoglio, con sentenza del 22/11/1994, assolse l'imputato perché la coltivazione di stupefacente (nella specie tre piante di Cannabis indica), destinata all'uso personale, rientrava, a seguito del risultato del referendum citato, nella condotta di detenzione, interpretata estensivamente.

Altri giudici di merito ritennero di investire incidentalmente la Corte Costituzionale sulla possibile violazione dei principi di parità di trattamento e di ragionevolezza in relazione all'art. 3 della Costituzione che la condotta della coltivazione ad uso personale, di cui all'art. 73 del d.P.R. 309/90, avesse nei confronti delle condotte depenalizzate di importazione, acquisto e detenzione.

Con sentenza del 23 dicembre 1994 n. 443, la Corte Costituzionale respinse il ricorso con la motivazione che il giudice di merito rimettente non aveva verificato "la possibilità di un'esegesi adeguatrice del dato normativo impugnato in forza della quale l'operata depenalizzazione della condotta di "detenzione" fosse interpretativamente estensibile alle condotte di "coltivazione" e "fabbricazione" ".

Pertanto, la decisione della Consulta sembrava propendere per la tesi della depenalizzazione della condotta di coltivazione per uso strettamente ed esclusivamente personale.

Tuttavia la Corte di Cassazione, sezione VI, con sentenza n. 913 del 15/3/1995, Paoli, RV. 201631, ritenne che la condotta della coltivazione destinata all'uso personale costituisse una fattispecie penalmente rilevante.

La stessa Cortedi Cassazione, sezione VI, con sentenza n. 3353 del 12/7/1994, Gabriele, RV. 199152, distinse tra "coltivazione in senso tecnico-agrario" ovvero imprenditoriale costituita da una serie di elementi (disponibilità del terreno, preparazione dello stesso, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione dei locali destinati alla custodia dei prodotti), ritenuta penalmente rilevante ai sensi degli artt. 26-28 del d.P.R. 309/90, e "coltivazione domestica", costituita dalla messa a dimora in vaso di poche piante nella propria abitazione, e ritenne che la seconda andrebbe ricompresa nella "detenzione ad uso personale" e soggetta quindi alle sanzioni amministrative di cui all'art. 75 del d.P.R. 309/90, alla luce del risultato del referendum del 18/4/1993 (d.P.R. 5/6/1993, n.171).

La giurisprudenza di merito registrò anch'essa decisioni contrastanti: per un verso il Tribunale di Modena, con decisione del 19/12/1994, Novelli, ritenne che la coltivazione era condotta distinta dalla mera detenzione perché la prima comportava comunque un accrescimento della sostanza (nella specie Cannabis indica) non previsto nella detenzione e, di conseguenza, reputò la coltivazione una condotta penalmente rilevante.

In altro senso si pronunciò il G.I.P. del Tribunale di Vicenza che, con la decisione del 29/7/1994, Rovolon, affermò che, a seguito del referendum, la coltivazione di sostanza stupefacente non costituiva reato in difetto della prova che fosse destinata allo spaccio, considerando implicitamente depenalizzata la coltivazione ad uso personale.

Alcuni giudici di merito sollevarono nuovamente ricorso, in via di eccezione, dinanzi alla Corte Costituzionale sul presupposto della lesione del principio della parità di trattamento e dell'irragionevolezza ai sensi dell'art. 3 della Costituzione tra fattispecie analoghe, (acquisto, importazione e detenzione da un lato, coltivazione dall'altro), tutte finalizzate all'uso personale.

Con sentenza del 24 luglio 1995 n. 360, la Corte costituzionale respinse il ricorso escludendo la disparità di trattamento ritenendo la non comparabilità delle diverse condotte prese in esame dalla legge ed affermando: "Costituisce poi questione meramente interpretativa, rimessa altresì al giudice ordinario, la identificazione, in termini più o meno restrittivi, della nozione di "coltivazione" che, sotto altro profilo, incide anch'essa sulla linea di confine del penalmente illecito".

Pertanto, la Consulta lasciò volutamente aperti ampi spazi interpretativi nei quali la giurisprudenza di merito e di legittimità continuò ad avere opposti orientamenti.

La Corte di Cassazione, sezione VI, in una successiva pronuncia in data 7 novembre 1996, Garcea, ritenne l'attività di coltivazione penalmente rilevante a prescindere dalla destinazione di uso che il coltivatore (nella specie di Cannabis indica) ne intendesse fare.

Il Tribunale di Teramo, con la decisione del 25/9/1996, Santarelli, giudicò penalmente rilevante la sola condotta di coltivazione "in senso tecnico-agrario" o "imprenditoriale", confinando nell'area depenalizzata la condotta di "coltivazione domestica".

Secondo una notizia riportata dal quotidiano "Corriere della Sera" dell'11 aprile 1997, il GIP Sergio Piccinni Leopardi assolse una ragazza perché la coltivazione di qualche pianta (nella specie cinque vasi di Cannabis indica) destinata all'uso personale non costituiva reato.

Nello stesso senso si pronunciò il G.I.P. del Tribunale di Ravenna con decisione del 30/1/1998, Mingozzi, ritenendo la condotta della "coltivazione domestica" compresa nelle condotte depenalizzate dell'art. 75 del d.P.R. 309/90.

In senso diametralmente opposto si pronunciò invece il Tribunale di Chieti in data 23/1/1998, De Nino, affermando che non si possono discriminare le condotte a seconda delle diverse modalità di coltivazione (in vaso, in terreno, in serra, o altrove) trattandosi solo di differenti modalità della stessa azione, e considerò la coltivazione come condotta penalmente rilevante.

Il G.I.P. del Tribunale di Venezia, Galasso, con sentenza del 8/5/1998, ritenne invece che "la coltivazione domestica, che si risolve nella messa a dimora di poche piante per uso personale, integra un'ipotesi di detenzione per uso personale, come tale depenalizzata e colpita solo con sanzioni amministrative".

Emise una decisione dello stesso tenore anche il Tribunale di Macerata, secondo la notizia riportata dal "Giornale di Sicilia" del 18/12/1997, affermando che la coltivazione "di una o poche piante alla volta depone nel senso della destinazione all'uso personale" ed assolse due giovani perché "il fatto non costituisce reato".

Più di recente, secondo quanto riportato dal "Giornale di Sicilia" del 21/3/1999, il Tribunale di Termini Imerese ha assolto un giovane sorpreso a coltivare sei piante di Cannabis indica con la motivazione che la coltivazione era destinata all'uso personale.

Il G.I.P. del Tribunale di Campobasso in data 7/8/1999, secondo la notizia riportata dal quotidiano "Nuovo Molise" del giorno 8/8/1999, n. 187, ha assolto un giovane accusato di coltivazione di canapa indiana.

Il Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di Firenze, dott.ssa Pioli, con sentenza in data 22/12/1999, n. 722/99, ha assolto l'imputata, richiamandosi alla sentenza di Cassazione, sezione VI, 3/5/1994, n. 6317 e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 21/7/1995, perché la condotta di coltivazione per uso personale (nella specie tre piante di Cannabis indica) non costituisce reato.

Secondo la notizia riportata dal quotidiano "La Repubblica" in data 13/5/2000, è stato assolto un giovane nella cui abitazione erano state rinvenute quattro piante di Cannabis indica perché destinate ad uso personale.

Ultimamente è di nuovo intervenuta la Corte di Cassazione, sezione IV, con sentenza 10 marzo – 5 aprile 2000, n. 4209, la quale, aderendo all'impostazione più restrittiva, ha sostenuto che: "L'attività di coltivazione (nella specie 18 piante di Cannabis sativa), costituisce reato a prescindere dall'uso che il coltivatore intende fare della sostanza ricavabile, dal momento che la coltivazione e la detenzione costituiscono due condotte del tutto distinte e l'articolo 75 del d.P.R. 309/90, come modificato dal d.P.R. 171/93 all'esito del referendum del 18 aprile 1993, non fa alcun riferimento all'attività di coltivazione".

La dottrina di Giuseppe Amato (La disparità con la detenzione di minime quantità impone l'intervento della Corte Costituzionale, in "Guida al diritto", 3 giugno 2000, pp. 70-71), commentando tale ultima decisione, acutamente rileva che se gli imputati fossero stati sorpresi a detenere la sostanza ricavata dalle piantine, dopo la raccolta, sarebbero stati sicuramente assolti ai sensi dell'articolo 75 del d.P.R. 309/90; ma, dato che l'intervento delle forze dell'ordine è avvenuto prima di tale operazione, la condotta di coltivazione è stata ritenuta di rilevanza penale. Detta conclusione appare "inaccettabile" ad avviso dell'autore, che postula un ulteriore pronunciamento della Corte Costituzionale per la evidente lesione che presuppone del principio della parità di trattamento ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione.

La giurisprudenza di merito si e' recentemente arricchita di altri due pronunciamenti: il Tribunale del riesame di Cagliari , con sentenza del 28/7/2000 e, ultimo in ordine cronologico, il Tribunale di Ferrara, secondo quanto riportato dal giornale La Nuova Ferrara del 13/9/2000, hanno entrambi sostenuto che la coltivazione di poche piante di Cannabis indica, destinata al solo consumo personale, e' da considerarsi come una condotta rientrante nella “detenzione” e quindi compresa nella previsione dell'articolo 75 del T.U. 309/90 e soggetta a semplici sanzioni amministrative.

Pertanto, a fronte di tali opposti orientamenti giurisprudenziali, è atteso sia in sede giurisprudenziale sia in sede dottrinale un intervento da parte del legislatore, volto a dirimere in modo definitivo i contrasti in atto.



(tratto da Fuoriluogo.it)

 


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