Il nome di Apicio è da sempre legato alla gastronomia, alle buone pietanze, alle cene succulente. E’ però necessario sdoppiare il nome di Apicio in tre distinte persone: un Apicio vissuto molti anni prima di Cristo che inveisce contro la legge Fannia proposta da Rutilio Rufo per limitare l’eccessivo lusso dei banchetti romani; un Marco Gavio, soprannominato Apicio dal nome del famoso ghiottone che visse nel secolo precedente, operante sotto Tiberio; un Apicio vissuto sotto Traiano specializzato nella conservazione delle ostriche. Al secondo di questi personaggi si deve la raccolta di ricette gastronomiche che costituisce il nucleo preponderante del De re coquinaria.
   Cassio Dione (LVII, 19, 5), la Historia Augusta (II, 5, 9), lo scolio a Giovenale (IV, 23), Seneca (Dialog. XII, 10, 8) e Tacito (Ann. IV,1) raccontano succintamente che Apicio frequentò il figlio di Tiberio, Druso, e che ebbe, lui quarantenne, per amante il quasi coetaneo Seiano. Da queste notizie possiamo fissare la sua nascita intorno al 25 a. C.
   Molto ricco, passò alla storia per le sue stravaganze culinarie: manicaretti a base di talloni di cammello, intingoli di creste tagliate a volatili vivi, triglie fatte morire nel garum della migliore qualità, oche ingrassate nei fichi secchi e ingozzate con mulsum, lingue di usignoli, di pavoni e di fenicotteri. Seneca racconta che alla vendita all’asta di una grossa triglia di quattro libre, egli vi rinunciò solo a cinquemila sesterzi. Dopo avere dispensato somme folli in queste raffinatezze della tavola, si accorse di non avere più che dieci milioni di sesterzi e, piuttosto di ridurre il suo tenore di vita, egli si avvelenò. Agli occhi degli stoici e dei cristiani questa fu la punizione meritata ed esemplare di un provocatore della dissolutezza, che con il suo stile di vita e con il suo libro di cucina, costituiva un pericolo per la salvezza morale della società. Si ignora la data precisa della sua morte, che si può porre alla fine del regno di Tiberio.
   Le sue ricerche culinarie non dovettero essere in realtà così stravaganti, ma è sicuro che molti dolci e soprattutto salse presero il suo nome. Se è vero che egli fu il più celebre dei gastronomi latini, ebbe comunque dei predecessori in Grecia e a Roma. Molti autori greci, i cui nomi sono citati da Ateneo di Naucrati, hanno scritto trattati di cucina e di opere specifiche. Più tardiva è la letteratura culinaria latina, anche se già Catone e Varrone ci hanno trasmesso occasionalmente qualche ricetta.
   Non bisogna dubitare del fatto che Apicio abbia realmente composto un’opera di cucina, anche se sembra piuttosto che egli ne abbia composte due: una spesso citata, unicamente sulle salse; un’altra su piatti completi.
E. Brandt (Versuch einer Losung der Apicius-Frage) evidenzia le lacune del testo, le incongruenze riscontrate fra ricette identiche, le aggiunte, e considera il De re coquinaria un testo molto complesso maturato tra l’età di Tiberio e il IV sec. d. C. e costituito di più parti: in primo luogo  un cuciniere di piatti completi, con le figure degli attrezzi di cucina necessari, che deve avere subito diverse perdite e integrazioni, alcune databili per la presenza di nomi di personaggi storici; poi da una seconda parte costituita unicamente da salse ( De condituris), in tutto 138, oltre a quelle contenute nel X libro, interamente dedicato ai guazzetti per pesci. Vi si trovano anche alcune prescrizioni provenienti da scritti medici e traduzioni di ricette greche.
   La raccolta composita che noi abbiamo si può datare in base alla lingua intorno al 385 d.C.: secondo E. Brandt, a quest’epoca un compilatore non molto preparato in materia, tanto da confondere i fondi dei cardi con le ostriche, ma abbastanza esperto in medicina, deve avere assemblato varie ricette di Apicio e di altri autori.    Probabilmente il compilatore aveva a disposizione un’edizione abbastanza recente del De condituris. Il suo latino era povero dal punto di vista letterario, ma  adatto al linguaggio dei cuochi dell’epoca. Si trattava di un’opera di uso corrente, alla quale si aggiungevano in margine varianti e nuove ricette, dando così vita poco a poco, edizione dopo edizione al corpus di cui disponiamo, aggiornato dal punto di vista linguistico, tanto che gli Estratti sembrano in latino medievale, modificato da aggiunte, esclusioni e perdite involontarie, soprattutto dalle liste degli ingredienti.

Le informazioni su Marco Gavio Apicio inserite in questa pagina sono state gentilmente elaborate e messe a disposizione del nostro Istituto dalla collega Helen Tosini.