IL FRANTOIO
Il territorio di Cecchina vede la prevalenza della coltivazione della vite, dei Kiwi e dell'ulivo.
Dall'osservazione di fotografie aeree risalenti al 1930-1950 si desume che il centro abitato era molto limitato e che le poche abitazioni erano sparse lungo le vie Tor Paluzzi, Montagnano, Colle Nasone, Roncigliano.
Lo sviluppo di Cecchina è dovuto (più che alla costruzione della ferrovia Ciampino - Velletri nel 1863 e al collegamento con Albano e con Campoleone - Anzio nel 1880, quando venne aperta la prima scuola elementare, in un vagone ferroviario fino al 1915) alla costruzione della chiesa parrocchiale dopo la fine della 2° Guerra Mondiale che ha trasformato il tratto di Nettunense tra via Tor Paluzzi e la stazione nel vero centro di attrazione di tutti gli abitanti dei dintorni.
Per quanto riguarda il passato, a parte quelle ricostruzioni che sono legate alla pura leggenda (di origine piuttosto recente!!!) bisogna risalire al II-III sec. d.c. per avere testimonianze di sicuro valore storico. In quel periodo infatti i pretoriani della Seconda Legione Partica di stanziarono ad Albano e nella fascia a valle sorsero delle abitazioni, a volte sontuose, come testimoniano numerosi ritrovamenti di reperti molto importanti, i ruderi che ancora sopravvivono all'incuria ed alla rapina, e qualche opera di notevole valore artistico (a Vallericcia) di cui qualcuno ci ha parlato, rilevando anche come tutti ne conoscano l'ubicazione, ma che nessuno ancora riesce a trovare.
Probabilmente in epoca romana le principali coltivazioni erano la vite, i cereali, e l'ulivo, ma la completa rovina e l'assoluto abbandono delle varie residenze e delle ville dimostrano come la caduta dell'impero romano abbia provocato un progressivo spopolamento anche delle campagne e dei piccoli centri della zona.
Questo spopolamento dell'Italia è stato provocato da varie epidemie, genericamente definite pestilenze, che studi recentissimi individuano nella malaria, questa malattia divenne un pericolo tanto grave che nel 452 d.C. convinse Attila (più che l'inerme e vecchio papa Leone I) ad abbandonare l'idea di conquistare l'Italia.
Alcuni segni di ripresa si ebbero già nel 700, ma solo dal 1400 in poi nel territorio di Cecchina sorsero nuovi casali dove, oltre a coltivare il grano, furono piantati vigneti ed uliveti.
Sotto ogni casale esistono ampie grotte scavate inizialmente per estrarre la pozzolana ed il materiale necessario alla costruzione degli edifici, utilizzate poi come cantine ed in tempi più recenti come fungaie.
La presenza di diverse sorgenti e gli sbocchi degli scolmatori del lago di Nemi (sotto l'ospedale di Genzano) e di Vallericcia (nei pressi di via Ginestro) permisero la costruzione, ovvero la ricostruzione di mulini e di frantoi mossi dall'acqua.
Nel territorio di Cecchina attualmente esiste un solo frantoio, quello dei Cianfanelli, acquistato da Cianfanelli Enrico intorno al 1870, la proprietà comprendeva 50 ettari di uliveti e qualche ettaro di vigneto.
Sembra che il frantoio sia stato impiantato intorno al 1550 se non risale addirittura al periodo romano.
Casalotto era un altro frantoio attivo fino al 1968, quando. In seguito alla morte dei proprietari, venne chiuso, interrompendo un'attività che era iniziata nel 1480 anno in cui un contratto de enfiteusi aveva permesso al nuovo beneficiario di trasformare il preesistente mulino ad acqua in frantoio.
Successivamente la struttura venne trasformata nell'attuale "Vecchio Montano", un rinomato ristorante molto caratteristico che lascia intravedere all'occhio attento un'antica origine romana nei suoi mattoni e nell'opus incertum lasciati a vista, mentre gli stemmi sulle pareti sono ciò che resta delle varie famiglie che l'hanno abitato nel corso dei secoli.
È probabile che il "montano" servisse a lavorare solo le olive del casale, che aveva un elevato numero di piante, più che alla lavorazione in conto terzi (come avviene oggi) perché i mezzi utilizzati richiedevano molto tempo ed è quindi lecito supporre che, ogni qualvolta qualcuno impiantava un uliveto, provvedeva anche alla costruzione del relativo frantoio.
L'ubicazione di un "montano" era determinata non solo (o non tanto) dalla presenza dell'acqua, ma soprattutto dalla sua posizione nelle immediate vicinanze della Nettunense, unico, sicuro ed agevole collegamento con Roma, suo naturale mercato.
Se paragoniamo l'attuale lavorazione che dalla raccolta delle olive, al trasporto, alla frangitura, alla spremitura, alla raffinazione del liquido di spremitura che dà una piccola quantità di olio (che illumina gli occhi del contadino che ha tanto lavorato) e tanta "acqua", dobbiamo concludere che oggi l'olio è frutto di una fatica che forse è appena un decimo di quella di una tempo.
Infatti oggi un "normale" frantoio è in grado di lavorare in modo completo (dall'oliva all'olio) circa dieci quintali l'ora se a ciclo continuo (o a caldo), sette quintali se con le macine di pietra (o a freddo).
Una volta, invece, la capacità di frangitura di un " montano" era di pochi quintali al giorno, la pressatura era fatta coni torchi azionati manualmente e l'olio che galleggiava nella vasca veniva raccolto con un'apposita "padella" di rame (che l'attuale Enrico conserva gelosamente).