...il racconto che segue è stato tratto dal sito di Fulvio...
Esterno giorno
Esterno
giorno. Vento che soffia sulle alture rocciose, coperte di erba
verdissima, sottile che si agita sui colli. Orizzonte lontano, ampio, nubi
basse, rade e sfilacciate che corrono in fretta producendo ombre
rapidamente variabili; alternanze di sole giallo ad ombre fredde, macchie
scure che corrono sul verde basso agitato dal vento. I colli rocciosi si
estendono fino all’orizzonte: verde morbido e cangiante nelle sfumature, a
seconda della direzione del vento più chiaro o più scuro, e grigio scabro
della pietra dipingono il paesaggio. Sibilo di erba che canta.
Lui è lì: imponente che osserva dall’alto di un colle e del suo stallone grigio ferro pesantemente bardato, pancera in metallo e copritesta d’acciaio finemente cesellata in argento che lascia scoperti solo gli occhi rotondi, aperti dall’eccitazione e le nari che sbuffano attraverso la metallica copertura e la schiuma della stanchezza che cola dalla bocca attraverso il morso. La sella è di cuoio scuro, consumato, borchiata d’argento. Il sottosella è un drappo rosso istoriato con l’immagine del drago d’oro a tre teste, proteso nell’atto di spiccare il volo, simbolo e bandiera del clan. Anch’essa come i fianchi sono coperti della bianca schiuma del sudore dello sfinimento. Il cavaliere indossa un’armatura d’acciaio completa di fattura eccelsa, lo stesso motivo in rilievo del drago che ne adorna il petto, inserti fini d’argento sulle spalle, i gomiti i fianchi ed i gambali. Un mantello rosso con il drago nell’atto di balzare ne drappeggia le spalle sfilacciato in più punti e sporco di fango, sangue e chissà che altro. L’elmo e’ forgiato a guisa di testa di drago, il volto è incorniciato dalle fauci spalancate e la dorata cresta cranica metallica che scende ad adornare la testa e le spalle. Solo gli occhi sono visibili. Al suo fianco è allacciato uno spadone a due mani, l’impugnatura di acciaio termina con un teschio sogghignante con due rubini che illuminano le orbite di una luce rossastra. Il fodero è di cuoio comune, consunto e sfilacciato, soprattutto all’elsa, ad indice dell’uso molto frequente. Il cavaliere ansima e piega le spalle, sospira, anche lui è molto stanco. Parecchia strada è stata percorsa dalla battaglia di BlackPass. L’armatura è sporca ed incrostata di sangue e fango, parecchie ammaccature e larghi spacchi arrossati lungo i bracciali ed il tronco denotano la violenza della battaglia appena sostenuta. Avrebbe voglia di togliersi l’elmo, ma non si fida e poi un capo clan non lo fa mai. Almeno il vento fresco delle alture porta un po’ di sollievo alle ferite brucianti a contatto con l’acciaio bagnato di sangue e sudore. Davanti a se’ aveva delle basse rocce grigie, semisommerse dal verde dell’erba, disposte a semicerchio. Fu allora che la vide. Sbucata da una delle rocce davanti a lui, si mise a correre velocemente giù dall’altura dopo una rapida occhiata rivolta a lui ed al cavallo. Avvolta unicamente di un drappo bianco, un peplo che ne lasciava scoperte la maggior parte delle forme bianche. Fu un attimo, una sola occhiata alla figura snella e formosa che gli si allontanava davanti. Un intrecciarsi di sguardo spaventato, un baluginio di occhio azzurro riflesso alla luce, i capelli biondi fino alle spalle che frustano il volto e le spalle nell’atto di voltare la testa e sventolano nell’atto della corsa. Il corpo: i fianchi che si muovono, le gambe tornite e muscolose, i piedi nudi, che flessuose articolano il passo veloce. I polpacci che si contraggono ad ogni falcata e le cosce che disegnano la curva dei glutei stretti nel movimento. Fu un attimo, ma nella sua mente bastò. Era Venere. Il sogno fisico di un miliardo di fantasie erotiche autoerotistiche di una vita. Era lei: il Corpo, l’Ideale fisico, perfetto, abbigliato (o meglio NON abbigliato) nei punti giusti, che si muove come da teoria, i capelli ed il corpo flessuoso, morbido, tornito, perfetto. Fu un attimo. La sua erezione arrivò improvvisa ed enorme, premendo contro la conchiglia d’argento dell’armatura. La voleva. La amava, la bramava, era la donna della sua vita, il suo ideale di tante pippe, di tanti sogni fatto realtà. La somma dei pregi fisici di 10000 donne incontrate ed avute o solo viste. La sua personale Utopia femminile. Era fatto: neanche il pesante vino speziato Borrghoniano avrebbe potuto ridurre un uomo in siffatto stato. Scese, o meglio, caracollo’ giu’ da cavallo cercando di slacciarsi e togliersi cio’che aveva addosso. L’elmo finì immediatamente nell’erba, iniziò a correrle dietro cercando di sfilare il pettorale dell’armatura, incurante delle ferite al petto ed alle braccia che simile operazione gli allargava, peggiorandole. Due persone osservavano i monitor, atmosfera densa di fumo di sigarette, due sedie, completi scuri, cravatte su camicie bianche, giacche appese ad un attaccapanni in un angolo e distintivi in vista appesi ad essa. “Certo che si è intrippato di brutto questo”. Fa uno. “Mi sa di sì, mi sa che addirittura rischia l’infarto se lo stimoliamo ancora”. “Continuiamo comunque”. Pochi metri ormai separavano la sua disperata ed eccitata corsa dall’oggetto del suo immenso desiderio. Lei inciampò e cadde prona. Il velo si sollevò nella caduta mostrando a pieno le sue forme voluttuose, le natiche sode ed il ciuffetto dorato che sporgeva tra esse. Tentò di rialzarsi, ma lui con un disperato tuffo riuscì ad afferrarle un piede. Lei gridò per la sorpresa e lo spavento, lui per il dolore e l’eccitazione. Iniziò a scalciare, mostrando in interezza ciò che si nascondeva tra i glutei bianchi ed alla vista lui non capì più nulla. Stringeva nella mano ancora avvolta dal guanto chiodato la caviglia snella e tornita, aspirando avidamente il profumo voluttuoso che proveniva dalla creatura che tra poco, volente o nolente, sarebbe stata sua. Inchiodati al suolo, lei prona, una gamba prigioniera e l’altra allargata, a fare leva sull’erba verde per cercare di allontanarsi e lui carponi, ricoperto di sangue, seminudo, l’erezione vistosa che cercava di avvicinarla per possederla a qualunque costo. Si rese conto che la fanciulla tra le grida stava dicendo qualcosa: “Cavaliere, abbi pietà di me, so che dovrò essere tua, ma ti prego, almeno ripagami!” Ansimando come un mantice lui le disse:”Tutto quello che vuoi, farò tutto quello che vuoi, amore, ti amo, ti sposerò, ti amerò per sempre, fino alla morte, morirò per te!!!!” “No!” disse “Non chiedo tanto, solo qualche coordinata bancaria” Disse con voce dolce e spaventata, il corpo contratto e proteso nel tentativo di fuggire, le gambe allargate. Fu la fine. Qualunque cosa per averla, gli uscirono cose che neanche sapeva di sapere, che non avevano neanche senso, almeno in quella realtà: “Sì: tutto, ti dico tutto, amore, tesoro!”. E disse. “Ok, ed anche questo è andato” Disse uno dei due uomini. L’altro si alzò, si avvicinò ad un tavolino basso sul quale poggiavano due tazze ed un bricco di caffè e se ne versò una tazza. C’è anche una vetrata nella stanza, al di là della consolle che dà su una specie di sala operatoria. Sul tavolo un corpo si agita coperto di elettrodi, un uomo circa sessantenne, coperto di sudore, gli elettrodi trasmettono ai due uomini quello che prova, sogna. “Due cose non mi piacciono di questo lavoro, sai” Dice quello del caffè: “La prima è che per beccare gli evasori fiscali ormai si ricorra a questi sistemi, e la seconda è che almeno gli si dovrebbe permettere di completare la loro trombata virtuale prima di staccarli!” |