Il Tempio della Conoscenza - di Daniele Solazzi

 

Per ciò che m'accingo a narrarvi non vorrei esser ritenuto un povero pazzo.

Nel corso delle mie avventurose peregrinazioni, mi sono spesso imbattuto in

circostanze insolite e terrificanti, ma degni di nota sono i fatti accaduti durante

la mia visita al villaggio di Xutmec; si tratta di un'amena località a Nord

della mia città, Norken, ed annovera nel ristretto raggio dei suoi territori

alcuni antichissimi ed aborriti templi pagani, dedicati al culto di dei già molto

antichi quando Atlantide fu inghiottita dai flutti. Questa era la causa delle

leggende vociferate da anziani ciarlieri circa presunti orrori annidati tra le

mura in rovina di quegli edifici, voci che peraltro conferivano una sinistra fama

al villaggio. La mia innata curiosità m'indusse ad addentrarmi proprio in

quella zona per saperne di più e- soprattutto- per trovare un ristoro, dopo una

lunga cavalcata. Viaggiavo infatti sul mio destriero corvino ed indossavo la

mia seconda pelle, ovvero l'armatura di metallo brunito. Ma di certo ciò che

mi infondeva coraggio più di ogni altra cosa era il rassicurante peso della mia

inseparabile spada denominata Nox, che portavo assicurata diagonalmente alla

schiena. La Lama Stellata, così come veniva chiamata per i caratteristici riflessi

della sua lama di durezza adamantina; e di quell'arma andavo particolarmente fiero.

Non soffrivo affatto il freddo caratteristico di quelle terre in inverno, essendo

scaldato a dovere dalla mia sopravveste di cuoio nero.

Entrai a Xutmec passando tutt'altro che inosservato: attorno a me, sguardi

sospettosi e diffidenti tradivano la scarsa ospitalità degli xutmeci e tutto ciò

mi metteva in imbarazzo. Tuttavia, ciò che più mi stupì di quel villaggio fu il

silenzio che vi regnava sovrano: tutti lì conservavano un'espressione seria

ed impassibile ed in luogo delle parole i villani si scambiavano bisbigli,

cenni e occhiate vagamente allusive alla mia presenza nel loro territorio.

La vista di una locanda, che si affacciava su una delle strette viuzze di

Xutmec, rinfrancò il mio spirito: essendo mattina, potevo prenotare con tutto

comodo una stanza per la notte; lasciai il cavallo nell'angusta stalla ed entrai

nel locale, scoprendolo pressoché vuoto, fatta eccezione per un uomo alto ed 

avvolto in una tunica bianca che sedeva con aria apatica ad un tavolo.

Ordinai del cibo e qualcosa da bere, sedendo in un angolo appartato, per

osservare ogni particolare della locanda, mentre aspettavo d'esser servito.

Ebbi presto del pane, una brocca di freschissima acqua, ed una pietanza a

base di funghi, che mangiai avidamente, tradendo la mia grande fame. Mentre

consumavo il mio buon pasto, l'uomo dalla tunica bianca mi venne incontro e

si parò davanti a me: lo guardai con aria interrogativa ed egli tacque, dietro alla

folta e canuta barba; poi parlò conciso: "Stai lontano dal tempio a NordEst,

giovane, se t'è cara la vita...o la ragione."

"Chi siete?"- gli domandai incuriosito, inghiottendo una generosa cucchiaiata di funghi;

nessuna risposta: il vecchio era già vicino alla porta della locanda e stava ora

uscendo. Pensai fra me e me a quanto lo sconosciuto mi aveva appena detto,

o meglio ordinato, e credetti opportuno indagare su quel mistero, magari durante

la notte. Chiamai la giovane ed esile locandiera e le chiesi discreto:

"Chi è quell'uomo che è appena uscito?"

"E'un dotto, il sapiente del villaggio."- rispose lei- "Un uomo di grande autorità,

tra noi. Perché volevate saperlo?"

"Vedete, mi ha detto di restare alla larga da un tempio, un luogo a NordEst."

La donna impallidì: "Il Tempio di Satyreth! Mio Dio! Quel luogo di..."

"Cosa? Cosa, esattamente?"- e nel dirle questo la dovetti trattenere dalla fuga.

"Non posso...Non devo parlare!"

"Perché?"

"E' un tempio maledetto, ecco tutto. Ma ora lasciatemi...vi prego!"

Alla locandiera caddero in terra alcune monete: esse recavano incisa l'effigie di

un profilo caprino, che riconobbi come l'immagine del dio Satyreth, o Satyr, un dio

pagano connesso al culto ellenico di Pan e Dioniso. Sapevo che il centro del suo

culto era l'antica città di Sylen, ormai ridotta ad una misera area di ruderi. Porsi

le monete raccolte alla fanciulla e la ringraziai per avermi informato su quel tempio.

Lei annuì con aria di complicità e dichiarò di non sapere nient'altro: aveva notato

che nel raccogliere le monete ne avevo conservata una, ma il suo impercettibile

sorriso cospiratorio mi rivelò che lei era favorevole alla mia indagine. Salii nella

mia stanza e progettai con cura la mia missione notturna: appena dopo il calar

del Sole, mi sarei senz'indugio diretto verso Nord-Est, alla volta del Tempio.

Così, quando il disco solare scivolò sotto l'orizzonte occidentale, uscii di soppiatto

dalla locanda e trovai nelle stalle il mio cavallo, fresco e riposato. Montai in sella

e spronai lo stallone verso l'esatta ubicazione del tempio maledetto: durante il

mio breve percorso, ebbi modo di notare degli agghiaccianti particolari del luogo:

nelle terre pianeggianti limitrofe al centro di Xutmec, tra i rari alberi ed i vari

ruderi, si potevano distinguere alla livida luce lunare delle sagome scure distese

a terra: osservandoli meglio, li riconobbi come animali! Si trattava di cavalli, buoi e

vari capi di bestiame che recavano sui loro corpi senza vita orrende tracce di

mutilazioni, dissanguamento ed altri simili segni; tutti avevano la punta del muso

priva della pelle e molti erano stati privati di occhi ed orecchie. Circondato da

quelle carcasse, il mio cavallo iniziò a nitrire e ad impennarsi, mentre cercavo di

domarlo; riuscendo infine a calmare l'agitato equino, proseguii sempre più curioso

il mio percorso, finché non scorsi la tetra sagoma del tempio di Satyreth davanti

a me: era una costruzione in parte crollata, su cui la decadenza ed il Tempo si

erano accaniti fino a ridurla a ciò che io ora potevo vedere. Esitai a lasciare la

mia cavalcatura all'aperto, perché quei cavalli uccisi mi facevano presagire per

essa un funesto destino, in tal caso; perciò lo condussi nel tempio e lo legai ad

una delle più salde colonne, in un punto riparato e nascosto alla vista di

qualsiasi eventuale osservatore. Estrassi Nox e la sua enigmatica lama emise un

sottile sibilo; tenni la grande spada davanti a me, con la prudenza di chi vuole

prevenire il pericolo di un'imboscata: non potevo credere che quel posto, così

aborrito, non fosse in qualche modo sorvegliato, anche a distanza. Scrutai le grigie

e consunte cariatidi simil-caprine che sorreggevano ciò che restava del tetto, poi

cercai un qualche indizio di presenza umana... Ed il pavimento, percorso da ogni

sorta di rampicanti ,cedette sotto il mio peso! Precipitai, fortunatamente incolume,

in una sala sotterranea, fiocamente rischiarata da una torcia: questo era un

inequivocabile indizio di una quantomeno recente presenza umana nel tempio.

Quella caduta mi aveva riportato alla mente la sensazione provata quando,

poco prima di intraprendere il mio viaggio attraverso i Piani del Sogno, ero caduto

nella galleria sotterranea del Tempio di Onyria. Il ricordo di quella notte tanto

importante per la mia esistenza mi distrasse per un attimo dal mio obiettivo.

Ripensai ad Arkaydne... La radiosa ninfa spirituale che mi aveva condotto nelle

regioni incantate da cui scaturiscono i Sogni... Poi un ciottolo cadde scricchiolando

dal pavimento sfondato sopra di me, e tornai alla presente realtà, guardandomi attorno.

Un'arcata di granito incorniciava il passaggio che conduceva ad un'altra sala, ed

io vi entrai: ora mi trovavo in un luogo più freddo e buio del precedente e- cosa

che mi mise in allerta- avevo qualcuno alle spalle! Mi voltai ed una sagoma

umanoide mi travolse, gettandomi a terra: la moneta che avevo preso nella

locanda mi cadde dalla bisaccia ed una goccia del sangue di quella creatura

-l'avevo infilzata sulla spada nella caduta- schizzò su quel cimelio. L'essere perse

ogni forza e sfilai la spada dalla sua carne, guardandolo meglio: un satiro!

Il suo viso era la bestiale parodia di un volto umano e l'orrenda fisionomia metà

umana e metà animalesca mi sconcertò. Raccolsi la moneta e la rimisi nella

borsa di cuoio, pulendo poi la lama di Nox sul vello della creatura. Ora ero solo e

potei vedere un piedistallo di ferro al centro della cripta: esso sosteneva una

grossa sfera di cristallo luccicante ed incuriosito rinfoderai la spada per toccare la

sfera: nell'istante in cui le mie mani si posarono sull'oggetto, la mia mente fu

scossa da una turba di immagini oniriche, alcune oscene, altre benevole,

che sfilavano spettrali e confuse davanti ai miei occhi...e fu allora che vidi:

vidi negli abissi velati della sfera la natura umana, le Passioni, i Sogni ed ogni

genere di evanescenti visioni; ero sul punto di scorgere un'ultima, sfuggente

visione, la Verità, quando un lampo scarlatto mi offuscò la vista e lasciai

gemendo la sfera: il vecchio dalla tunica bianca torreggiava su di me e reggeva

una verga, probabilmente l'oggetto con cui mi aveva colpito alla nuca. La sua

voce mi parlò: "Il fatto che Pandora abbia ricevuto il vaso non significa che lo

debba necessariamente aprire. Non indagare oltre, hai già visto troppo."

Io chiesi: "Chi era quel mostro?"; il vecchio rise: "Vuoi davvero saperlo? Beh,

era qualcosa di molto brutto: qualcosa evocato dalle pieghe del Tempo.

Non  hai visto cosa loro hanno fatto a quei cavalli? Eh?"

"Sono stati i satiri?"

"No...non loro. Sono stati quegli altri..."

"Chi? Chi? Chi? Ditemi almeno questo! I vostri tabù possono servire a coloro

che non sono pronti alla vista di ciò che li accecherebbe...ma io devo sapere!"

"No...Tu non devi sapere!"- concluse il vecchio, ed un secondo colpo mi stordì;

l'ultima, sconcertante immagine che vidi fu una figura umana riversa nel punto in cui

avrebbe dovuto giacere invece il satiro che avevo appena ucciso...

 

Mi risvegliai alle prime luci dell'alba, nella locanda: un cerusico era al mio

capezzale e quando mi vide desto spiegò: "Bene, straniero, siete sano..."

"Ma...il tempio..."- biascicai io, confuso;

"Tempio? Quale tempio? Avete dormito sotto l'effetto di un fungo che provoca

allucinazioni: è un fungo che avete mangiato a pranzo, un tempo sacro a Ecate,

la  dea delle streghe. Non temete, non vi ha provocato nulla di grave. Le energie vi

torneranno presto, ma dovete riposare."

Non mi aveva del tutto convinto, ma lo pagai ed egli scomparve uscendo dalla mia

piccola stanza. Avevo Nox al mio fianco e sentivo la sua cordatura con le dita, che 

mi dava conforto. Riflettei su ogni cosa, su quanto avevo vissuto nelle ultime ore:

i cavalli, il satiro, la sfera...non poteva essere stato un semplice sogno!

Scesi dal letto e cercai la locandiera nel locale: nessuna traccia.

Raccolto ogni mio effetto personale, uscii dalla locanda in preda a una confusa inquietudine,

trovando il cavallo nella stalla. Mentre montavo in sella, giurai ripetutamente di tornare.

Stavo per ripartire, quando avvertii la presenza di un piccolo oggetto tintinnante nella

bisaccia: la moneta della locandiera; la tirai fuori dalla borsa e la guardai:

era macchiata di sangue!!! In quel momento il mio cuore ebbe un tonfo, mentre

un nuovo Silenzio calava sul misterioso villaggio di Xutmec.

 

Il seguito del racconto è intitolato: Il Tempio della Conoscenza- parte II: la strada di Sthea.