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Basta
dare una semplice occhiata alle caratteristiche tecniche del
progetto per accorgersi che l'impianto di cogenerazione che
si vuole costruire sul territorio di Bedizzole avrà un
impatto fortemente peggiorativo sulla qualità della vita
dei cittadini bedizzolesi e dei paesi limitrofi e del
territorio.
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400
MW di potenza elettrica e 700 MW di potenza termica. Cifre
esagerate che sicuramente comporterebbero gravi disagi per i
cittadini in quanto si verificherebbero:
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aumenti
notevoli di microinquinamenti presenti nell'aria,
dovuti alla combustione.
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aumento
del rumore.
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possibilità
di variazioni climatiche dovute alla temperatura delle
acque di scarico, che fra le altre cose potrebbero
creare problemi anche alle coltivazioni circostanti.
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produzione
di onde elettromagnetiche dannose alla salute
dell'uomo.
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Problematiche
serie che tuttavia possono essere ridimensionate in un
contesto di compatibilità con dovuti accorgimenti tecnici
che sicuramente la società che vuole costruire l'impianto
è in grado di mettere in campo.
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L'esperienza
insegna infatti che quando si muovono soggetti dalle
potenzialità economiche enormi, come in questo caso, non
basta impostare lo scontro sul piano tecnico, dove si
possono ottenere numerose garanzie e concessioni teoriche
che poi al momento pratico svelano realtà ben diverse e che
a impianto ultimato e in funzione diventa poi quasi
impossibile correggere (vedi inceneritore ASM di Brescia),
la battaglia va impostata a livello politico.
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Cosa
significa ciò?
La richiesta dell'impianto parte da una presunta carenza di
energia elettrica sul territorio bresciano, denunciata dalle
maggiori aziende. E' quanto meno singolare che questa
"enorme" carenza si verifichi in concomitanza con
la privatizzazione dell'ENEL (la quale ha intenzione di
"chiudere" alcune centrali elettriche presenti sul
territorio nazionale) così come è assai eloquente il fatto
che nel progetto si indichi chiaramente che solo un terzo
dell'energia prodotta serve realmente alle industrie che
fanno parte della società mentre un'altro terzo viene
destinato a sviluppi futuri e l'ultimo terzo viene messo in
vendita. Un'enorme affare appartenente alla cultura
liberista che vuole enormi profitti privati a scapito di
costi di tutela delle condizioni di vita, di risanamento e
ripristino del territorio a carico della collettività, una
logica da invertire.
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Fare
uno studio regionale sulle reali necessità energetiche
E' chiaro a questo punto che il problema vero è legato alle
reali necessità energetiche che giustificherebbero un tale
progetto. Necessità che vanno verificate partendo da un
calcolo provinciale del fabbisogno energetico, verificando
le possibilità di produzione attuali e l'eventuale
potenziamento e miglioramento dell'esistente. E' noto che il
trasporto di energia elettrica non richiede particolari
difficoltà e può essere facilmente fatto in maniera
efficace anche per lunghe distanze. Per questo alternative
possibili anche a livello regionale si possono facilmente
trovare; una potrebbe essere quella della centrale a carbone
di SERNIDE nel mantovano che opportunamente trasformata a
metano e magari potenziata potrebbe benissimo fungere allo
scopo.
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Le
alternative sono quindi possibili e auspicabili e vanno
inserite in un contesto di definizione di un diverso modello
di programmazione territoriale rispetto a quello che finora
ha visto la progressiva distruzione dell'entroterra morenico
del lago di Garda. No alla centrale, dunque, ma no anche
all'alta velocità e al raddoppio autostradale della
Milano-Bergamo-Brescia, opere che non servono allo sviluppo,
non creano posti di lavoro e non possono che aumentare le
problematiche ambientali, territoriali e di mobilità della
zona.
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Per
fare questo noi ci spenderemo cercando di sensibilizzare e
coinvolgere i cittadini in una battaglia comune per un
obbiettivo comune: la qualità della vita di ognuno di noi.
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