CLONAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI SEQUENZE GENICHE PER LA PRODUZIONE DI PROTEINE ETEROLOGHE

(ANCHE ENZIMI DI INTERESSE COMMERCIALE)

 

I lieviti, microrganismi eucarioti unicellulari, rappresentano sistemi biologici interessanti per moltissime applicazioni biotecnologiche: infatti, sono facilmente manipolabili a livello genetico (sono organismi unicellulari) e in grado di glicosilare polipeptidi eterologhi.

Inizialmente, Saccharomyces cerevisiae, da secoli utilizzato nella produzione della birra e del pane, è stato anche il lievito più utilizzato per produrre proteine eterologhe in quanto il più caratterizzato per quanto riguarda sia le procedure di fermentazione, sia la fisiologia, la genetica e la biologia molecolare.

Nonostante alcune applicazioni di successo dei sistemi basati su S. cerevisiae, ad esempio la produzione del primo vaccino ricombinante, quello per l’epatite B, in diversi altri casi i sistemi di espressione basati su S. cerevisiae hanno dimostrato alcuni svantaggi quali l’instabilità mitotica dei ceppi ricombinanti, la eccessiva glicosilazione dei prodotti eterologhi espressi e la difficoltà di trasferire gli schemi di produzione su scala industriale. Di conseguenza, negli ultimi 20 anni,  molti studi si sono rivolti ad individuare altre specie di lievito da utilizzare come sistemi di espressione alternativi a quello di S. cerevisiae: a questo riguardo, tra le più promettenti, sono state individuate alcune specie di lieviti metilotrofi e di lieviti che crescono nei derivati del latte.

 

1) Strategia di costruzione del vettore pRIMY (plasmid for ribosomal DNA integration in methylotrophic yeasts)

 

L’integrazione mirata di una cassetta di espressione in un gene presente in singola copia nel genoma distrugge il gene strutturale stesso (18): in H. polymorpha, gli integranti in MOX perdono, ad esempio, la capacità di crescere in presenza di metanolo come unica fonte di carbonio e questo non li rende ottimali per un impiego biotecnologico. Inoltre, l’integrazione in un singolo bersaglio avviene quasi sempre in singola copia e quindi non è vantaggiosa in termini di produttività dei cloni ricombinanti.

Per queste ragioni, e per il fatto che è stato dimostrato che la frequenza di integrazione aumenta all’aumentare del numero dei siti bersaglio (19), per l’integrazione del vettore da noi costruito abbiamo scelto un bersaglio presente in multicopia nel genoma di H. polymorpha: esso è il DNA che “codifica” per l’RNA ribosomiale (rDNA) che, in questo lievito, è costituito da circa 25 unità ripetute dei geni per l’rDNA organizzate, come in Saccharomyces cerevisiae, in cluster su un unico cromosoma (20 e 21). Nonostante che il cluster di rDNA di H. polymorpha sia rappresentato da un numero di unità inferiore a quello di S. cerevisiae, 25 unità rispetto a circa 100 unità di S. cerevisiae (22), 25 copie del bersaglio di integrazione sono comunque in grado di aumentare notevolmente la frequenza di integrazione nel bersaglio stesso.

Il nostro vettore di integrazione pRIMY è di tipo sostitutivo (replacement vector) e contiene una cassetta di espressione ed un marcatore per la selezione clonati all’interno di segmenti di DNA in grado di ricombinarsi con il genoma dei lieviti, in particolare dei lieviti metilotrofi, nel locus dell’ rDNA: l’appaiamento omologo su entrambi i lati del bersaglio cromosomico (doppio crossing over) fa sì che il DNA esogeno sostituisca, integrandosi, il segmento cromosomico che serve da target di integrazione; nella cassetta di espressione, il gene eterologo è sotto il controllo del promotore metanolo-inducibile MOX di H. polymorpha e, quindi, il vettore integrativo pRIMY è un vettore di espressione per lieviti metilotrofi (fig. 1).

In H. polymorpha, ciascuna unità di rDNA è lunga 8.1 kb e comprende le sequenze codificanti per l’ RNA ribosomiale 18S, 5.8S, 25S e 5S (21). Nel nostro vettore, gli integration boxes  (le sequenze per la ricombinazione) sono due segmenti non contigui del gene per l’ rDNA 25S di S. cerevisiae lunghi, rispettivamente, 0.55 e 1.1 kb (fig. 1).  Il gene per il 25S è molto conservato fra tutte le specie di lievito: l’ identità nucleotidica fra il gene per il 25S di S. cerevisiae e quello di H. polymorpha è ad esempio del 90% (21) e ciò rende possibile un loro appiaiamento omologo con conseguente ricombinazione. Come illustrato in un lavoro da noi pubblicato (25), un vettore integrativo per Kluyveromyces lactis,  contenente queste stesse sequenze di S. cerevisiae come integration boxes, dà origine a trasformanti che presentano integrazioni multiple (4-40 copie circa) e stabili della cassetta di espressione in siti diversi del locus di rDNA.

 

2)      Descrizione dettagliata 

 

 Il vettore pRIMY-1 è un vettore integrativo di tipo sostitutivo (replacement vector) per l’integrazione mirata, stabile e ad alta frequenza, di copie multiple di cassette di espressione nel genoma, e in particolare nell’rDNA,  dei lieviti metilotrofi.

Il ceppo di Escherichia coli DH5a che ospita il vettore, ceppo DH5a(pRIMY-1), è depositato presso la Collection Nationale de Cultures de Microorganismes (CNCM) dell’Istituto Pasteur, Parigi Cedex, con il numero di accesso I-2705 e il vettore pRIMY-1 è stato oggetto di copertura brevettuale (num. di deposito MI2001A 001728).

L’unità di integrazione contiene una cassetta di espressione che è costituita dal promotore MOX di H. polymorpha (26), dalla sequenza del cDNA che codifica per la forma matura del lisozima umano fusa in frame con la sequenza segnale della tossina killer di K. lactis (25 e 27) e dal terminatore di trascrizione FLP di S. cerevisiae (25 e 27, fig. 2). La cassetta di espressione e il marker genetico per la selezione dei trasformanti, il gene URA3 di S. cerevisiae (29), sono fiancheggiati dalle due sequenze del gene per l’ rDNA 25S di S. cerevisiae che, come detto precedentemente, costituiscono le regioni in grado di ricombinarsi, con un doppio crossing over, con le omologhe sequenze nel genoma di Hansenula (fig. 1 e fig. 2). Il cDNA del lisozima umano è stato incluso in questo costrutto come gene reporter per verificare l’integrazione in multicopia della cassetta di espressione nel genoma di Hansenula: l’attività enzimatica (batteriolitica) del lisozima può essere, infatti, agevolmente valutata mediante metodi rapidi su piastra che facilitano lo screening dei trasformanti.

Il vettore è stato costruito, in passaggi successivi, nel ceppo di Escherichia coli DH5a (28), utilizzando le metodiche classiche per il  DNA ricombinante (28); il vettore contiene, quindi, al di fuori dell’ unità di integrazione, una origine di replicazione e un gene per la resistenza all’ ampicillina (non illustrati in figura 2), per la propagazione in E. coli,  che sono derivati dal vettore batterico pSP70 (ditta Promega).

Di seguito sono descritti più dettagliatamente i passaggi della costruzione del vettore.

Il gene URA3 è stato amplificato da Saccharomyces cerevisiae (Accession Number: K02207; ref. 29), mediante PCR, con i primer: URA3-for: 5’GCGGGGATCCTTTTCAATTCAATTCATCAT3’ e URA3-rev: 5’GAGGGATCCTCTAGAGCTTTTTCTTTCCAATTTT3’, aggiungendo così un sito BamHI ad entrambe le estremità del gene e un sito XbaI, più internamente del BamHI, all’estremità 3’; l’amplificato ottenuto (1186 paia di basi) è stato digerito con BamHI ed inserito nei siti compatibili BclI-BglII del plasmide pScr25 (25), all’interno della sequenza del DNA per il 25S RNA clonato come frammento EcoRI di 2,6 kb (nt.1-2651 della sequenza J01355), ottenendo il plasmide pScr25-URA3.

Il frammento EcoRI di questo costrutto, contenente i due integration boxes di rDNA (cioè i due segmenti non contigui del gene per l’rDNA 25S, rispettivamente EcoRI-BclI di 0,55 kb e BglII-EcoRI di 1.1 kb), e all’interno il gene URA3, è stato subclonato nel sito EcoRI del plasmide pSP70, (Promega, Madison, WI), ottenendo il plasmide pSP70-25S-URA3.

Il promotore MOX di Hansenula polymorpha (26) è stato amplificato mediante PCR dal ceppo  ATCC 26012, utilizzando i primer MOXP-for (5’GGGAAGAACCGCGACATCTC3’) e MOXP-rev, che introduce un sito aggiuntivo SacI (5’GGGAGCTCTTTGTTTTTGTACTTTAG3’); l’amplificato (la cui sequenza, alquanto diversa dalla sequenza pubblicata, è inserita in banca dati con il numero di accesso AJ313360) è stato clonato nel sito SmaI del polylinker del vettore pBluescript SK (Stratagene, La Jolla, CA) per ottenere il plasmide SK-PMOX. Il frammento SacI di questo costrutto è stato quindi rimosso ed inserito nel sito SacI del plasmide YIprD1-LYS (25), a monte della sequenza segnale della tossina killer di Kluyveromyces lactis, ottenendo il plasmide YIprD1-MOX-LYS.

Il vettore pRIMY-1 (fig. 2) è stato infine ottenuto subclonando il frammento XbaI di 1.9 kb del plasmide YIprD1-MOX-LYS (contenente il promotore MOX più la cassetta di espressione composta da: sequenza segnale della tossina killer di K. lactis fusa in frame con il cDNA del lisozima umano e terminatore trascrizionale derivato dal plasmide 2mm di S. cerevisiae ; 24) nel sito XbaI del plasmide pSP70-25S-URA3.

La digestione del plasmide pRIMY-1 con l’ enzima ClaI genera un frammento di 4.7 kb che rappresenta l’unità di integrazione (e quindi contiene, alle estremità, gli integration boxes di rDNA e, all’interno, la cassetta di espressione e il gene URA3) e può essere usato per l’integrazione mirata di tale unità nel locus cromosomico che contiene i geni per l’ rDNA 25S di H. polymorpha (fig.1e fig. 2).

Il plasmide digerito[1] con ClaI (circa 5 mg totali) è stato usato per trasformare il ceppo Ura- di H. polymorpha LR9 (12) secondo la metodica di Faber e coll. (11).

Con questa procedura, dopo 3-8 giorni di crescita a 30°C[2] , sono stati ottenuti 50 trasformanti, selezionati direttamente per la capacità di crescere su terreno minimo[3] privo di uracile, ossia cloni divenuti Ura+ per aver ricevuto l’unità di integrazione contenente il gene URA3. Inoltre, i trasformanti sono risultati stabili, ossia in grado di mantenere il fenotipo Ura+, anche dopo crescita, per 50-70 generazioni, in terreno completo.

I cloni ottenuti sono stati inizialmente analizzati, per la produzione della proteina eterologa (lisozima), attraverso la crescita in terreno completo e minimo, contenente metanolo o glucosio come fonte di carbonio e cellule di Micrococcus luteus come substrato per rilevare l’attività batteriolitica (questo saggio è detto lysoplate assay: vedi ref. 30 e legenda fig. 3). Tutti i trasformanti sono risultati in grado di secernere lisozima attivo, come dimostrato dalla formazione di un alone di lisi attorno alle colonie (fig. 3).

Alcuni trasformanti, scelti fra quelli che producevano gli aloni con diametro più grande nel saggio su piastra, sono stati analizzati allo scopo di quantificarne l’attività litica secreta nel terreno di coltura: dopo una crescita di 4 giorni a 37°C in terreno minimo o completo, contenente metanolo come fonte di carbonio, aliquote dei supernatanti di coltura sono stati analizzate mediante una modificazione del lysoplate assay[4] e i risultati sono illustrati in tabella 1. La quantità di lisozima prodotta è risultata variabile nei diversi cloni analizzati e correlata al numero delle copie integrate di ciascun clone (vedi analisi genetica, più avanti). Inoltre, già in questi esperimenti preliminari (le condizioni di crescita possono essere probabilmente ottimizzate e la resa, quindi, migliorata), possiamo rilevare che la quantità di lisozima attivo prodotta è superiore a quella da noi precedentemente ottenuta in K. lactis, con un analogo vettore integrativo, e in S. cerevisiae,  con un vettore di tipo replicativo (vedi Tab. 1 e ref. 25). Inoltre, prove analoghe di espressione allestite facendo crescere i cloni ricombinanti di Hansenula in presenza di glicerolo, o di una miscela di glicerolo/metanolo, davano, in termini di produzione di lisozima, risultati comparabili a quelli ottenuti facendo crescere i ceppi in presenza del solo metanolo.

Questi risultati indicano, dunque, che il nostro sistema consente di ottenere buoni livelli di produzione della proteina eterologa anche crescendo le cellule in terreni minimi ed in presenza di fonti di carbonio economiche quali metanolo o glicerolo: infine è da sottolineare che le rese da noi ottenute possono essere ulteriormente migliorabili crescendo i trasformanti in fermentatore.

 
 
Tabella 1Lisozima umano secreto dai cloni ottenuti dalla trasformazione di H.polymorpha LR9 con il vettore integrativo pRIMY-1.

 

Cloni

Tipo di Terreno

 

YPM

SDM

 

Quantità di lisozima (mg/ml)

H1

2.5

2.1

H3

4.2

2.5

H4

12.2

10.0

H7

4.7

10.7

H11

5.0

4.5

H20

4.3

5.3

H23

5.0

5.0

 

Nota della Tabella: In S. cerevisiae S150-2B, trasformato con il vettore episomiale YEpsec-LYS, la quantità massima di lisozima umano prodotta nel terreno di coltura, saggiata con identica metodica, era di 2.5 mg/ml; in K. lactis,  WM37 trasformato con il vettore integrativo YIprD1-LYS, questa quantità era al massimo di 7.0 mg/ml  (25).

 

L’ analisi degli eventi integrativi è stata compiuta su 12 cloni. Il DNA totale (circa 2 mg) di ciascun trasformante è stato digerito con l’enzima BamHI, che taglia una sola volta il plasmide pRIMY-1 (vedi fig. 2) e non taglia invece all’interno dell’ rDNA di H. polymorpha (21): il DNA digerito dei vari cloni è stato separato per elettroforesi in gel di agarosio, trasferito su nitrocellulosa ed ibridato con opportune sonde.  In figura 4 è illustrato  il pattern  di ibridazione di alcuni dei dodici cloni, ottenuto utilizzando come sonda il promotore MOX. Assumendo come riferimento la posizione e l’intensità del segnale di ibridazione ottenuto con il ceppo LR9, si può osservare che tutti i trasformanti analizzati presentano integrazioni multiple in tandem, in orientazione testa-coda: queste sono identificabili come bande positive di 4,7 kb, di intensità assai maggiore dell’unica banda presente in LR9 rappresentante il frammento genomico di Hansenula con 1 copia di MOX; alcuni cloni presentano anche bande positive di più alto peso molecolare (fig. 4) che, come confermato dalle ibridazioni con altre sonde (vedi avanti, fig. 5), sono attribuibili a integrazioni di tipo diverso, ad esempio testa-testa anziché testa-coda. L’analisi comparativa, effettuata tramite densitometro, della intensità di tali bande rispetto a quella presente in LR9, ha permesso di quantificare il numero di copie dell’ unità di integrazione presente in ciascun clone (fig. 6): Inoltre, questa analisi dimostra anche che, poiché tutti i cloni ricombinanti presentano una “banda MOX” identica (per altezza e intensità) al ceppo di controllo LR9 (fig. 4), il nostro costrutto non si integra nel gene MOX di Hansenula essendo favorita l’integrazione per doppio crossing over nel cluster di rDNA.

Per analizzare ulteriormente la distribuzione dei siti di integrazione e la disposizione delle cassette integrate, gli stessi campioni (digestioni BamHI) sono stati ibridati con il cDNA del lisozima umano (sonda h-LYS) e con il frammento di 1.1 kb del 25S rDNA (sonda rDNA) di S. cerevisiae. In figura 5 è rappresentata l’ analisi compiuta su 8 cloni scelti come rappresentativi delle varie situazioni di integrazione. Poiché il locus di rDNA di Hansenula non contiene siti BamHI, il segnale di ibridazione diffuso (quello a più alto peso molecolare), comigrante con il DNA genomico non digerito e presente, soltanto nell’ibridazione con la sonda di rDNA, anche nel ceppo LR9, corrisponde ad eventi integrativi in unità distanti di rDNA. In tutti i casi, tranne che nei cloni H13 e H17, è presente una banda più intensa di 4.7 kb, indice di una integrazione multipla in tandem, in orientazione testa-coda. Con entrambe le sonde, nei cloni H17, H18 e H23 è inoltre presente una banda di 8.3 kb, verosimilmente attribuibile alla inserzione multipla di copie in orientazione testa-testa. Il clone H13 mostra invece un singolo segnale di ibridazione di 6.1 kb, quando ibridato con  la sonda h-LYS, e nessuna banda discreta, quando ibridato con il frammento di 1.1 kb del 25S rDNA: questo  è spiegabile con la presenza di copie multiple in tandem e in orientazione testa-testa, dell’ unità di integrazione che, però, è priva dell’ integration box di 1.1 kb (vedi schema degli eventi integrativi in figura 6). In tutti i cloni sono inoltre presenti bande di minore intensità, di altezza superiore alle 8,3 kb, verosimilmente spiegabili con eventi integrativi in unità diverse (contigue o alternate) di rDNA.

Il numero di copie integrate, calcolato assumendo, come riferimento per una singola copia, il segnale positivo alla sonda MOX  presente nel ceppo di controllo LR9 (fig. 4), è risultato variabile tra 8 (clone H1) e 45 (clone H5); inoltre, i cloni con il maggior numero di copie integrate contengono le copie dell’ unità di integrazione in orientazione testa-coda (fig. 6). Infine, esperimenti di ibridazione analoghi, ma eseguiti sui cromosomi interi dei vari cloni, hanno ulteriormente confermato che, in tutti i trasformanti, gli eventi integrativi sono avvenuti nel cromosoma contenente i geni per l’ rDNA.

 

Adattamento di lieviti

alla crescita su scotta e siero di latte

 

I ceppi di lieviti trasformati sono stati adattati alla crescita su scotta e siero di latte. Il K. Lactis cresce molto bene in queste condizioni e produce elevate quantità di lisozima. S. cerevisiae cresce lentamente perché non utilizza bene il lattosio e occorre inserire un’altra fonte di carbonio (glucosio o altro). L’H. polymorpha cresce bene e produce lisozima in quantità discreta.

 

Il terreno utilizzato per le fermentazioni era costituito da scotta di latte ovino, raccolta appena prodotta e conservata a 4°C per non più di 2 giorni prima dell’uso. Altre varianti, utilizzate per studi preliminari, mirate a stabilire la capacità del terreno a soddisfare le esigenze metaboliche dei lieviti, erano realizzate con l’aggiunta alla scotta di Corn Steep Liquor   0.5% (CSL), bactopeptone 1g/l, galattosio 1g/l, estratto di lievito 1g/l e solfato di ammonio 1g/l.

 

Ceppi iperproduttori

Sono stati selezionati ceppi di K.lactis e H. polymorpha che producono quantità elevate di lisozima. Questi ceppi sono stati caratterizzati per caratteristiche di crescita e condizioni di produttività

 

Condizioni di fermentazione

   Il ceppo di lievito, cresciuto per 2-3 giorni a 28°C su piastre contenenti terreno starter solido, veniva seminato in una beuta con terreno starter liquido con un volume pari ad 1/8 del volume finale di scotta e lasciato crescere per 36 ore, in un agitatore a 150 rpm in condizioni di microaerofilia a 28-30°C. I lieviti, opportunamente lavati, erano inoculati in terreno con scotta ovina non sterilizzata con pH intorno a 5.8 e nuovamente incubati nelle stesse condizioni descritte sopra.  La carica dell’inoculo, che risultava notevolmente elevata in partenza (1.8x106 UFC/ml di scotta), consentiva una sicura prevalenza dei lieviti sui batteri presenti.

   L’attività enzimatica del lisozima in liquido delle brodoculture di K. lactis veniva saggiata secondo il metodo “lysoplate modificato” su piastre di TPA con M. luteus. Le piastre erano incubate a 37°C e dopo 8 ore veniva misurata in mm l’ampiezza degli aloni di lisi del M-luteus. Si poteva realizzare così un curva standard che consentiva di esprimere in mg/l l’attività del lisozima.

   Mediante semine di colonie di K. lactis su scotta con M.luteus, precedentemente esposte a mutagenesi con i raggi UV e successivamente a luce visibile, venivano selezionate le colonie che mostravano una maggiore velocità di crescita e la produzione degli aloni di lisi maggiori; queste colonie venivano utilizzate per le fermentazioni successive su scotta.

 

Le drastiche condizioni di temperatura a cui viene sottoposto il siero di latte per la produzione di ricotta, determinano un abbattimento consistente della carica microbica, che infatti nella scotta risulta essere d circa 300 UFC/ml ed è principalmente costituita da batteri e bacili G-.

   La scotta tal quale si è dimostrata un ottimo terreno di coltura per la crescita dei lieviti, e pur senza alcuna integrazione ha consentito una buona resa in termini di produzione di lisozima e di biomassa. Con l’aggiunta di estratto di lievito o CSL si è registrato un lieve incremento nella produzione di biomassa e di lisozima rispetto alla scotta tal quale, come riportato in tabella 2.

 

 

Tabella 2 – Confronto nella produzione di lisozima e biomassa del ceppo K7 su scotta tal quale, arricchita con CSL o EL

 

Terreno

Scotta tal quale

Scotta con CSL

Scotta con EL

Lisozima (mg/l)

125

130

127

Biomassa (% V/V)

2.5

2.7

2.7

CSL: corn steep liquor 0.5%; EL: estratto di lievito 0.5%

 

 

La determinazione della biomassa veniva valutata sino al 5° giorno di fermentazione nelle condizioni già descritte; il picco massimo di produzione sui tre terreni si otteneva dopo 36 ore, quindi la biomassa rimaneva costante per il resto della fermentazione. La concentrazione degli zuccheri riducenti cala progressivamente col procedere della fermentazione e in corrispondenza della 26° ora raggiunge valori non più misurabili. Le proteine subiscono un decremento pari al 50% sino alla 26° ora, poi la loro concentrazione si assesta per la concomitante produzione di lisozima ad opera del lievito.

   La produzione di lisozima aumenta fino a raggiungere i 125 mg/l in corrispondenza della 26-30° ora, per poi calare gradualmente fino ad annullarsi dopo la 36° ora. Contemporaneamente all’aumento del lisozima si ha una diminuzione del lattosio, che arriva a valori non determinabili dopo 30 ore circa.

 

Produttività e purificazione delle proteine ricombinanti

Le colture del K. Lactis sono state centrifugate a 8.000 rpm per 15 min a 4°C. Il liquido surnatante è stato precipitato prima con solfato d’ammonio al 40% e successivamente all’80% di saturazione. Il pellet ottenuto dalla seconda precipitazione era risospeso in tampone fosfato 20 mmol/l, pH 7 e dializzato per la notte contro lo stesso buffer. Il materiale è stato quindi concentrato in un apparato Amicon con una membrana da 3000 Da fino ad un volume finale di 5 ml. La proteina concentrata è stata frazionata in una colonna di carbossi-metil-sephadex C50 (Pharmacia Biotech), equilibrata con 50 mml/l di tampone fosfato pH 7. La colonna era quindi lavata con tampone fosfato 50 mml/l pH 8, quindi fluita con un gradiente in aumento di NaCl da 0.1 a 1 mol. La presenza di proteine e dell’attività del lisozima era determinata in ogni frazione con lettura in assorbenza a 280 nm e col metodo lisoplate, rispettivamente. La frazione contenente l’attività del lisozima era dializzata contro tampone fosfato 20 mml/l pH 7, concentrata in cella Amicon e liofilizzata.

 


 

Fermentazione in volumi elevati

 

Condizioni di fermentazione.

Presso la società 3° SpA di Arborea è stato allestito un impianto sperimentale per la utilizzazione di scotta di latte allo scopo di produrre biomassa e proteine da lieviti selezionati (vedi foto 1). Il fermentatore era costituito da un contenitore in acciaio inossidabile della capienza di circa 1200 litri, dotato di sistemi di agitazione, mediante motore elettrico, e di display di controllo di parametri chimico-fisici (temperatura, pH, ossigenazione).  Prima dell’uso il contenitore è stato opportunamente disinfettato mediante lavaggio con alcali, acidi e successivo trattamento con vapore ad alta pressione (circa 98°C) .

 

Foto 1 - Fermentatore


 

Preparazione della scotta di latte.

La scotta di latte è stata prelevata in loco e utilizzata immediatamente. Dalle vasche di produzione della ricotta la scotta è stata prelevata e travasata in un contenitore in acciaio inossidabile che aveva il compito di portare la temperatura della scotta a circa 30°C dai 75-80°C delle vasche di produzione, mediante un sistema di scambiatori di calore ad acqua. Anche questo serbatoio era stato precedentemente disinfettato con alcali, acidi e vapore a pressione. Il passaggio da circa 80°C a 30°C ha richiesto da 60 a 90 minuti. La scotta è stata quindi trasferita nel fermentatore finale, che è stato posizionato in un reparto opportunamente arieggiato.

 

 

 

Preparazione dell’inoculo.

Per le fasi sperimentali della fermentazione in serbatoio sono stati impiegati il lievito indicato con la sigla 20aS (una Candida sp.) e lo Streptococcus faecium ceppo g, entrambi isolati da alimenti. Questi ceppi sono stati scelti per le particolare caratteristiche di adattamento e crescita nella scotta di latte e per le caratteristiche di antagonismo mostrate verso molti patogeni alimentari. Questi ceppi sono stati coltivati per 2-4 giorni in beute da 0.5 litri di scotta sterile e quindi seminati nel fermentatore come indicato sotto.

  

Processo di fermentazione

Il fermentatore è stato programmato per un’agitazione a 140 giri al minuto e ad una temperatura costante tra 28 e 30°C.  Entro circa 2 ore dall’allestimento del fermentatore è stato eseguito un inoculo di una coltura di lieviti opportunamente selezionati. Il rapporto coltura di lieviti-scotta era di circa 1 a 1000 (cioè 0.5 litri di coltura di lieviti per 500 litri di scotta da fermentare). La coltura, con circa 500 litri di scotta per avere condizioni ottimali di ossigenazione,  è stata protratta per 3-5 giorni, con un controllo costante dei parametri chimico-fisico-biologici. In particolare, ogni giorno erano eseguiti 2 prelievi, uno la mattina e uno la sera, per determinare: temperatura, pH, BOD, zuccheri, lipidi, proteine, sali, microrganismi e biomassa presenti nel fermentato.

Sono state eseguite 4 fasi di fermentazione, con piccole variazioni dall’una all’altra, per poter mettere a punto il sistema e controllare l’efficienza di tutti i parametri  impostati. I risultati ottenuti sono riportati nella tabella 1.


 

 

FERMENTAZIONE 3A-ARBOREA (media di 4 fermentazioni)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PRELIEVI

PARAMETRI:

prima dell'inoculo

Dopo  l'inoculo

 

 

 

 

Temperatura

30,5

30,5

30,2

29.7

28,9

28.5

pH

6

6,5

4,4

4,2

4,2

4,2

Biomassa (g%):

1,7

2,1

2.2

2.0

1.9

2.4

Lattosio

3.6

nd

2.1

2.5

2,4

2,26

Proteine

0,35

nd

0,32

0,24

0,17

0,22

Cloruri

1667

nd

1600

nd

1596

nd

C.O.D

60240

nd

59040

nd

57876

nd

CRESCITA:

 

 

 

 

 

 

Sabouraud

5x101 bacilli

1.2X103 lieviti

8X105 lieviti

1x107 lieviti

1,6x107 lieviti

1,6x107 lieviti

Cled

2x103 bacilli

6x103 bacilli,

1.4x107 batteri

2x107batteri

1x107 bacilli,

1x107 bacilli,

Sale mannite

0

0

0

0

0

0

McConkey

6.9x102 bacilli

1.2x102 batteri

1,3X104 coliformi

1.8x107 coliformi

1x107 coliformi

1x107 coliformi

                     

 

 

 

 

Produzione e recupero di biomassa e proteine

Nella tabella  sono indicate anche le quantità di biomassa microbica ottenute nelle varie fermentazioni. La quantità massima di biomassa ottenuta era di circa il 3%. La biomassa è stata recuperata mediante filtrazione su  sacchi di tela di cotone, dopo aver fatto flocculare il fermentato con NaOH  0.03M circa (pH finale 9-9.5). La biomassa è stata quindi in parte essiccata per evaporazione in stufa dopo sterilizzazione in autoclave e in parte liofilizzata.

 

 

 

Conclusioni

 

I trasformanti da noi ottenuti producono tutti, in misura diversa, alte concentrazioni di lisozima attivo nel terreno di coltura e questa produttività  sembra correlata al numero delle copie integrate in ciascun clone. La scelta di utilizzare scotta di latte come substrato per la crescita di K. lactis e altri lieviti è risultata particolarmente appropriata; infatti le elevate concentrazioni di lattosio e la considerevole quantità di proteine e sali era sufficiente alla crescita rigogliosa del ceppo K7 e alla produzione di  lisozima umano ricombinante. I valori di biomassa prodotti raggiungevano circa il 2.5-3%. E’ evidente che la scotta pur senza nessuna aggiunta di sostanze arricchenti è da considerarsi estremamente conveniente per la produzione di biomassa e di lisozima, sopratutto se confrontata con i terreni commerciali.

  Un aspetto molto importante è la dimostrazione che si può produrre un’elevata quantità di biomassa a basso costo e che questa può essere utilizzata come integratore alimentare nell’alimentazione degli animali da allevamento; questa biomassa presenta infatti delle peculiarità che la rendono molto interessante. Nell’ottica della stabilità nel tempo, la biomassa prodotta offre maggiori garanzie rispetto al siero e alla scotta di latte, in quanto non più facilmente aggredibile da altri microrganismi fermentanti. La componente liquida della fermentazione è ancora ricca di proteine mentre la concentrazione degli zuccheri si è ridotta del tutto, e potrebbe essere somministrata agli animali d’allevamento insieme alla componente solida, oppure separatamente, senza la limitazione dei volumi attualmente somministrabili, legati all’inconveniente della intollerabilità del lattosio che induce effetti lassativi, e risolvendo così completamente il problema dell’eliminazione di reflui.

   L’utilizzo della biomassa che possiede attività antibiotiche grazie alla presenza del lisozima, ha anche il vantaggio di inibire numerosi microrganismi e in particolare i clostridi, largamente diffusi nell’ambiente e veicolti dagli animali da latte o da macello. Il lisozima inoltre durante i processi digestivi non viene degradata completamente, ma conserva il sito attivo in grado di esprimere il suo potere antibiotico e questo riveste ulteriore importanza nell’ottica della prevenzione delle infezioni intestinali e può incidere sul risparmio degli allevatori nella somministrazione degli antibiotici agli animali.

   Un’altra possibile applicazione biotecnologia nell’industria casearia è quella che vede l’utilizzo del ceppo di K.lactis produttore di lisozima umano, negli starter per la maturazione del formaggio. Il K.lactis è presente normalmente nella flora fermentativa del latte e la crescita relativamente lenta impedirebbe che lattività inibente si rivolgesse ai batteri lattici utili ala maturazione del formaggio, comunque già selezionati dall’industria tra i ceppi resistenti all’attacco del lisozima. L lisozima viene infatti largamente utilizzato come additivo nella produzione dei formaggi per prevenire il gonfiore tardivo, di cui sono principali responsabili i clostridi.

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[1] Il DNA trasformante è stato preventivamente linearizzato agli estremi degli integration boxes per facilitare la ricombinazione.

[2] I trasformanti di Hansenula sono stati coltivati inizialmente ad una temperatura inferiore a quella ottimale (che è 37°C) per rallentarne la crescita e facilitare la ricombinazione e, quindi, l’integrazione del DNA esogeno.

[3] Terreno minimo SD: 0.67% (p/v) Yeast Nitrogen Base w/o aminoacids (Difco), supplementato con 2% glucosio (p/v) o 1% metanolo (SDM), ed uracile (50 mg/ml) quando necessario.

Terreno completo YP: 1% (p/v) estratto di lievito (Difco), 2% (p/v)  peptone (Difco), supplementato con 2% di glucosio (YPD) o 1% metanolo (YPM).

In alcuni esperimenti di espressione la fonte di carbonio era costituita da glicerolo al 2% oppure da metanolo 1% + glicerolo 1%.

Negli esperimenti di quantizzazione dell’espressione dell’attivita batteriolitica, comportanti crescite in brodo per alcuni giorni, metanolo allo 0.25%  era aggiunto quotidianamente.

[4] Nelle piastre per il saggio dell’attività batteriolitica (ref. 30 e legenda fig. 3) vengono praticati dei pozzetti entro i quali sono collocati i supernatanti da saggiare: dopo opportuna incubazione a 37° C, il diametro dell’alone di lisi pro-dotto da ciascun campione viene paragonato ad una curva standard di lisozima umano saggiato nelle stesse condizioni.