Il giorno del derby Chieti-Lanciano risulta ancora essere, dopo circa dieci anni, un'esperienza indimenticabile: i tifosi dei Lanciano hanno noleggiato sei pullman per sostenere la propria squadra in trasferta.
Il signor Rossi alle 10: 30 con suo figlio Luca è stato il primo ad arrivare in Piazza per occupare i primi posti nel pullman tinteggiato con i colori della città; erano entrambi avvolti da sciarpe rossonere, giubbe scure imbottite con panini da consumare nell'attesa dell'incontro, pantaloni rossi con scritte che incitavano alla violenza tra le due tifoserie.
Alle 11: 00 arrivò la banda dei cucs che con bandiere, sciarpe, striscioni, petardi, fischietti, tamburi, nell'attesa della partenza, tenevano allegra la compagnia con canti che evocavano la propria vittoria; a volte c'erano discussioni tra gli stessi tifosi per chi avrebbe fatto il primo dei tanti goal.
Fra i tifosi erano presenti anche due campioni di pugilato appartenenti alla categoria regionale e che nel tempo libero sostenevano con la loro energia la squadra lancianese.
Per ultimo arrivò Tanino con canottiera bianco?rossa , calzini gialli, nonostante non facesse caldo; per l'euforia aveva perso il conto delle stagioni, forse, bevendo liquori in ogni bar che incontrava da casa sua al pullman.
Arrivò su un carretto una gigantesca mascotte, raffigurante il centravanti della squadra. Tutti i presenti applaudirono e facevano a gara nel sistemare il ciclope giocatore sul portabagagli.
I tifosi erano pronti, solo l'autista mancava e, non vedendolo arrivare, decisero di partire comunque: tra i sostenitori c'era un autista di linea in pensione che, euforico per l'evento e per alcuni bicchieri di liquore, si offri come guidatore volontario. Fu un momento tragico per la decisione da prendere: mettere a rischio la loro vita o il tifo per la propria squadra?
Tutti, dopo un silenzio assordante, pronti ad offrire in sacrificio la propria vita, decisero di partire tra urla, schiamazzi, fischi, canti e cori.
Al casello autostradale si accorsero di avere a bordo un coniglio fuggito dal cesto di un'anziana signora che nel giorno precedente si era recata al mercato per venderlo.
Lungo il viaggio, i tifosi decisero di dipingerlo con i colori della squadra avversaria, nero?verde. I sostenitori, pur non avendo programmato questa comparsa, riuscirono tuttavia a trovare il modo di realizzare il piano dell'umiliazione.
Dai ponti dell'autostrada si potevano ammirare le vette dei monti abruzzesi ancora coperti di neve che si affacciavano sull'Adriatico, ”verde come i pascoli ... “ dice in una famosa poesia G. D'Annunzio. Il coniglio, più spaventato che mai, si nascose sotto i sedili, scorrazzando per tutto l'autobus e saltando infine sul volante dell'autista che per poco non saltò il ponte, creando scompiglio in tutto il pullman: chi si ruppe un dente contro il sedile davanti, chi si gonfiò un occhio e chi, come pugili, andò a picchiare con uno o due cazzotti l'anziano autista.
In un'area di servizio i viaggiatori, per riprendersi dalla paura, scesero dal pullman; presero bombolette, piccoli coltelli “porta fortuna” e, passando vicino alle macchine targate Ch, ruppero specchietti, rigarono sportelli e l'ingenuo Pinotti mentre era intento a svolgere il suo delicato lavoro su una macchina, prese un cazzotto in un occhio dal proprietario che gli fece capire che anche le macchine lancianesi avevano la stessa targa, poiché appartenenti alla provincia di Chieti.
I sostenitori rosso?neri, a causa del traffico intensissimo, una volta arrivati a Chieti in ritardo, non ebbero più modo di entrare allo stadio, ma, tuttavia, riuscirono ad infilare il coniglio ”chietino” nel campo.
I sostenitori teatini risposero all'offesa: “bastardi!”, “ladri!”, “figli di ….!”.
L'arbitro, pensando che gli insulti fossero rivolti alla sua persona, cominciò a fischiare a favore del Lanciano, mentre i giocatori nero?verdi protestavano con tutte le loro energie contro il direttore di gara che ammonì ed espulse alcuni giocatori dei Chieti. Essi, con l'aiuto dei propri sostenitori, fecero interrompere la partita; i più focosi, rompendo le reti di protezione, assalirono l'arbitro a suon di manganellate, pugni e schiaffi.
Il malcapitato decise
di rifugiarsi nello spogliatoio più vicino; rimase lì per
sei ore, assediato dai tifosi teatini che impazienti aspettavano che uscisse.
L'aspettato giurò a se stesso che non avrebbe mai più arbitrato
un derby.