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Sebeto e lo sterminator Vesevo
Dalla notte dei tempi acqua e fuoco lottano per essere padroni della terra. Le onde del mare scavano la base dei monti, e i monti risvegliandosi lanciano sassi incandescenti che rotolano fino in mare sollevando dense nubi di vapore. Nubi trasportate dal vento si aprono e rovesciano sulla terra fiumi di acqua che scavano i fianchi dei monti.
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![]() Quando i due giganti stanchi riposavano, sul loro campo di battaglia fioriva la vita verde: le gialle ginestre si inerpicavano tra i sassi del vulcano sin quasi alla bocca di fuoco; cespugli di mirto e lentisco; lecci e olivastri intrecciavano le loro piccole foglie nella fertile pianura; l'erica rosata spingeva le sue radici fin nella sabbia salata. In primavera piccoli gigli si aprivano come stelle nella sabbia nera. Il fiume scorreva tra sponde verdi e fiorite impigriva e girava qua e la nella piana sabbiosa aggrovigliandosi su sé stesso. |
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![]() Ai naviganti che giunsero qui dal mare in una chiara mattina di primavera, |
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![]() Tornati alle loro città, nelle lunghe sere d'inverno, quando ondate gigantesche non consentivano prendere il mare, raccontavano dei luoghi meravigliosi conosciuti nei loro viaggi. Così accadeva che sempre nuove schiere di giovani prendevano la via del mare col desiderio di trovare terre straordinarie. In tal modo lungo la riva del Sebeto fu fondata una piccola città che cresceva di anno in anno con la discendenza dei primi coloni che si moltiplicava e con nuovi coloni che giungevano dal mare.Ebbero conoscenza di Vesevo e Sebeto che di tanto in tanto riprendevano le loro lotte: Vesuvio vomitava fuoco e lasciava tra il verde una lunga e nera ferita. Sebeto scioglieva i suoi grovigli e scorreva impetuoso trascinando in mare sassi, macigni, zolle di terra imprigionata da radici. Forti ceppi di lentisco, e isolati lecci resistevano alla furia della piena, mentre le onde del mare risalivano il fiume, non più sinuoso, fin quasi a lambire le mura della vicina città. |
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![]() Vivevano in quella terra da lungo tempo eppure si consideravano ospiti delle due immani divinità e le onoravano e rispettavano.
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![]() Vesevo e Sebeto lasciavano fare; ma quando riprendevano le loro lotte si scrollavano di dosso gli uomini e le loro opere come fastidiose formiche. Ogni volta verdi cespugli ricoprivano lentamente le nere ferite della terra e gli uomini riprendevano a costruire e coltivare. Per molti secoli andò avanti la contesa tra le due divinità da un lato e i piccoli uomini coi loro aratri e minuscoli attrezzi dall'altro, ma nessuno mai ottenne una vittoria definitiva. |
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![]() Venne però il giorno in cui gli uomini divennero capaci di costruire fortezze e armi sempre più potenti. Se prima uomini impauriti e senza forza assistevano alle battaglie degli Dei, ora essi avevano arruolato il fiume nel proprio esercito: il suo compito era fermare chiunque avesse voluto assalire la città. Sulle sue rive si svolsero innumerevoli battaglie e spesso le sue acque si tinsero in rosso. Passarono ancora molti anni e la spiaggia verdeggiante in cui scorreva il fiume era solo un campo di battaglia. Fu eretto , proprio in riva al mare, un forte irto di cannoni puntati in mare e in terra. Sebeto conobbe ancora il fuoco, il fuoco degli uomini, che bruciava ogni giorno e non tollerava altro Dio che la sua forza. Degli antichi Dei si perse anche il nome e il Duca Vigliena ribattezzò quella terra col suo nome. Olivi, lecci, corbezzoli, pini, mirto e lentisco non lanciarono più i loro verdi germogli di sotto i neri tizzoni dell'incendio, le loro radici furono sepolte per sempre sotto i macigni squadrati del forte; i loro tronchi divelti e frantumati dalla mitraglia. |
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![]() Gli abitanti del regno di Napoli si erano divisi in due parti, gli uni avevano proclamato la democrazia e la repubblica, gli altri volevano i re. Irepubblicani difesero la loro città coi cannoni di Vigliena, ma furono sconfitti. Molti si arresero avendo promessa la vita salva, altri combatterono fino all'ultimo: Antonio Toscano, abate, visti i nemici irrompere nel forte, diede fuoco alle polveri e fu dilaniato insieme a gran numero di assalitori e sepolto dalle macerie. |
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![]() I vincitori ormai certi di non poter ricevere attacchi da terra lasciarono il forte a guardia del mare, mentre tutto intorno costruirono le loro grandi cattedrali fumanti. Dopo aver domato l'acqua, avevano domato il fuoco, che ora bruciava dentro le loro macchine ed era assoggettato al loro comando. |
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![]() Non più verdi alberi chiomati si offrivano alla vista dei naviganti, ma geometrici tronchi sormontati da fogliame nero, denso, impenetrabile: le ciminiere si affollavano una dopo l'altra lungo la costa. Una linea ferrata percorsa da locomotive traversava la boscaglia costiera dividendo per sempre il mare dalle fertili terre dell'interno. Sebeto era ormai un fiume domestico chiuso da argini e coperto da ponti; i fianchi del Vesuvio venivano demoliti per cavarne pietra, lastricare strade, ornare ricchi palazzi |
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La terra tremava per i colpi dei grandi
magli che forgiavano il ferro: cannoni, corazze di navi, grandi locomotive,
navi di ferro, siluri, mine. Le più potenti e distruttive macchine
umane venivano costruite giorno e notte dove un tempo Vesevo e Sebeto amoreggiavno
con Leucopetra.
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Marco
Dalla chiesetta incassata tra le povere case, bambini appena un po' più fortunati emergevano avendo in mano l'olivo benedetto, poi ne staccavano ramoscelli da distribuire alle persone care, a chi li aiutava a vivere. Anche Marco avrebbe voluto compiere quel gesto, ma a lui era vietato: non frequentava la chiesa, era troppo cencioso e intollerante della disciplina per poter osare introdursi tra i bambini più fortunati. La sua famiglia era troppo avvilita a cercare di sopravvivere per poter coltivare i buoni sentimenti. Marco si aggirava tra le
macerie del forte, rovistando e ammazzando il tempo, come faceva ogni giorno,
quando fu colpito da una macchia verde che mai prima aveva notato.
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Narrano alcuni
vecchi una storia che hanno ascoltata dai loro vecchi, che l'hanno ascoltata
dai loro vecchi. Sulla spiaggia di Vigliena nei secoli passati il mare portava le teste dei decapitati al ponte della Maddalena e la gente diceva che queste cercavano il corpo rimasto in terra. Accadde così che anche i corpi dei repubblicani sconfitti, traditi ed offesi venissero riportati a terra dalle onde. Gli abitanti di questa contrada che pure non li avevano compresi in vita diedero loro sepoltura e cominciarono a comprenderne le ragioni. Così pensarono anche ai corpi rimasti nelle rovine del forte. Rimossero le macerie per dare loro degna sepoltura. Riconobbero i brandelli delle divise dei soldati monarchici, ma non riuscirono a ritrovare il corpo dell'abate: forse era stato completamente dilaniato dall'esplosione cosicché non lo cercarono più. Passarono alcuni decenni e il popolo era di nuovo in rivolta contro il re; un rivoltoso sfuggito alle guardie andò a rifugiarsi tra le macerie del forte. Restava quasi tutto il giorno nelle gallerie, ma di tanto in tanto si acquattava dietro un olivo nato sulle macerie, per sorvegliare la strada e cercare i suoi amici. |
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Intorno a quell'olivo, nato
miracolosamente in un terreno desolato, che rimuoveva con le sue radici
macigni che neppure la polvere da sparo aveva scompaginato, si era formata
una leggenda:
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Or ora é risorto ancora, per dare rifugio a bambini senza giochi. |
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![]() Ma ormai non può farci niente
perché é nato così.
Uomini dal cuore inutile hanno catturato gli uccellini e dato fuoco all'olivo. |
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