| «Vorrei che ognuno fosse qui, su questo palco, e potesse vedere lo straordinario spettacolo di questa piazza». Fausto Bertinotti inizia così il suo comizio di chiusura della manifestazione nazionale di Rifondazione: con un omaggio sincero alla piazza del Popolo ridiventata di colpo rossa. Una piazza festosa, allegra, ma anche combattiva, che interpreta questa grande giornata come tappa di una mobilitazione più generale, sia pure ricca di identità e pathos comunitario. E infatti il segretario del Prc lo dichiara subito, a chiare lettere, tra gli applausi: «Oggi è nato un nuovo popolo di lotta, di nuovi comuniste e comuniste». Cè un filo concreto, concretissimo, tra i compagni e le compagne di Rifondazione che sono venuti a Roma, e la giornata di Praga, le nuove sfide dei movimenti contro la globalizzazione capitalistica. E cè una specifica connessione con il corteo della mattinata di ieri, quella «marcia mondiale delle donne» contro la povertà e laggressione neoliberista, «di cui questa nostra manifestazione costituisce la prosecuzione ideale». Sullorizzonte, gli appuntamenti prossimi - da subito la battaglia parlamentare (ma non solo) per «approfondire la piccola breccia» che si è aperta nella legge finanziaria, e strappare risultati concreti, domani le giornate di Nizza, per costruire una «carta dei diritti sociali», e poi ancora, tra qualche mese a Genova, per il controvertice che fronteggerà i signori del G8. Un leitmotiv forte, che ritorna insistentemente in molti passaggi del discorso di Bertinotti, questa capacità dei comunisti di essere oggi al centro della scena sociale e del conflitto maturo, in un teatro che non è più soltanto quello della provincia italiana. «Cè bisogno dei comunisti, più che mai»: ne ha bisogno la vera e propria crisi di civiltà indotta dalla modernizzazione capitalistica, e dal nuovo capitalismo «che non limita più lo sfruttamento alle ore di lavoro, ma si espande a tutti i momenti della tua vita, al corpo, al tempo così detto libero, a quel che mangi e a quel consumi». «I comunisti, i nuovi comunisti, sono il sale della terra», concluderà il segretario di Rifondazione, nel tripudio di bandiere sventolate, battimani e il canto di Bandiera rossa. La nostra diversità Ma che cosa è oggi lidentità comunista? Una domanda drammaticamente difficile, che non ammette né risposte ovvie né scorciatoie. Bertinotti ci prova, per tutta la prima parte del comizio, in un crescendo di analogie capaci di trascendere la cronaca. Ricorda, nel giorno del capodanno ebraico, il pestaggio di Luis Marsiglia, il professore veronese colpevole di essere ebreo: «Siamo tutte e tutti ebrei» grida Bertinotti, per dire che ogni volta che qualcuno è aggredito e ferito in nome di ideologie nefande, «noi siamo loro». Ricorda le crociate del cardinal Biffi contro i musulmani e la cultura che ha prodotto «la Palermo di Federico II»: Sì, siamo tutti musulmani. Siamo tutti immigrati, così come, a luglio, durante il World Pride, siamo tutti stati omosessuali e lesbiche, «perché nessuno può negato nella sua essenza di persona, nel suo diritto allesistenza». E proprio la cronaca ci riporta ai bambini e allo scandalo della pedofilia violenta: «Noi vi accusiamo» dice il segretario del Prc «di avere costruito una società dove tutto è ridotto a merce, ricchezza, consumo. I corpi violati dei bambini sono il frutto di un commercio illimitato, devastante, incontrollabile. Non è forse vero che anche il traffico orrendo della pedofilia finisce con lalimentare i listini della borsa, che sono la vostra nuova religione? I bambini - i loro corpi, la loro intelligenza - non sono usati quotidianamente per pubblicizzare le vostre merci? E non si è riaffacciata, dopo due secoli, la schiavitù del lavoro minorile, anche da noi, nella civile Puglia?». Cè, dunque, una barbarie strisciante, nel mondo attuale, una caduta di civiltà della quale le destre sono lespressione politica più visibile: dallanticomunismo «proprietario» di Berlusconi agli accenti razzisti e xenofobi di Bossi, quel che si va manifestando è una micidiale mistura di liberismo e reazione, che non va affatto sottovalutata. Il segno più crudo della sconfitta, anche culturale, che abbiamo subito. Qui Bertinotti ricorda la diversità di Enrico Berlinguer: la sconfitta più grande di tutte è stata laver assunto lideologia e il punto di vista dellavversario di classe, aver smarrito la «nostra diversità». Che non è nutrita di astratti valori alternativi: è la capacità di trovare le cause sociali delle singole ingiustizie, delle oppressioni, delle sofferenze. E la costruzione di un punto di vista anticapitalistico, e della lotta necessaria per superarlo. Appunto: «Siamo ebrei, islamici, immigrati, omosessuali perché siamo comunisti» dice Bertinotti, e la folla gli riserva, su questo passaggio, un applauso particolarmente intenso. Oggi, come ieri, i comunisti sono là dove si esercita una prevaricazione, una violenza, unidentità ferita, per ricondurre tutto questo a una nuova idea di convivenza umana e di libertà. Ci accusano di fomentare nuove violenze, come la Mc Donalds? «Non siate ridicoli» urla il segretario di Rifondazione «la violenza sta tutta dalla parte vostra, nellomologazione e nei modelli di consumo che imponete. E il nuovo capitalismo a portare dentro di sé una tara illiberale, ademocratica. Ai vostri hamburger preferiamo i nostri tortellini, alla vostra Coca Cola opponiamo il nostro vino. Ai vostri locali piastrellati contrapponiamo le nostre osterie, caffè, case del popolo. Non vogliamo diventare sudditi del governo (e del modello) americano». No al centrosinistra E difficile capire, dice Bertinotti, come possa il centrosinistra fare un bilancio ottimistico dei suoi quattro anni: e ne elenca puntigliosamente il fallimento sociale, politico, culturale. Una sequenza fitta di esempi, dalla Good Year alla Telecom, dalle cifre della disoccupazione al Sud alla permanente soggezione alla Fiat, dalla scuola alla mancata approvazione della legge sulla rappresentanza sindacale, dalla guerra nel Kosovo alle privatizzazioni. «Con questo centrosinistra non si può fare alcun accordo politico. Ci presenteremo da soli, alle prossime elezioni: non per essere happy few, ma al contrario, per essere tanti e migliori, per costruire il popolo dellalternativa. E non apriremo trattative, né pubbliche né private: ci batteremo sulla base della nostra piattaforma». Quella, appunto, da cui ha preso le mosse la manifestazione, «redistribuire la ricchezza, cambiare la vita». «Dobbiamo saperlo: la lotta paga. In una legge finanziaria insoddisfacente e inadeguata, come quella appena presentata, qualcosa si è mosso: ebbene, questo qualcosa è il frutto della nostra iniziativa e della nostra lotta. Hanno pur detto che bisogna migliorare le pensioni e abolire i tickets: poi, certo, tra il dire e il fare, lo sappiamo bene, cè di mezzo il mare...». Cioé, anche e soprattutto, la continuazione di una battaglia che può ancora ottenere miglioramenti concreti, e deve concentrarsi su obiettivi come il salario sociale, laumento dei salari mediobassi per via di abbassamento dellIrpef, un contratto e un salario decente per tutti gli insegnanti. «La lotta paga», ripete il segretario, «come dimostrano la vitalità del nostro partito e del nostro giornale, Liberazione, che sta vincendo la battaglia dellinformazione». Ieri, abbiamo sconfitto perfino la pioggia. | |