IL TÈ DEI MATTI parole in libertà
[home] [Federico Fischanger] [inversione geoelettrica]

quattro chiacchiere

A questa stregua, potresti sostenere che "Vedo ciò che mangio" sia la stessa cosa di "Mangio ciò che vedo"! [13 KB]

Ritratti di macchine
Un piccolo libro di Leonardo Sinisgalli

Favola 180
Il primo libro delle Favole - Carlo Emilio Gadda

Etnografia
Sparite lingue e culture. Quanti «selvaggi» ha sterminato il '900? - Alberto Salza


Favola 180
Il primo libro delle Favole
di Carlo Emilio Gadda

Opere di Carlo Emilio Gadda. Tomo IV SAGGI GIORNALI FAVOLE II
Garzanti, Milano 1992

Il passero, venuta la sera, appiccò lite a' compagni da eleggere ognuno la su' fronda, e 'l rametto, ove posar potessi.
Un pigolio furibondo, per tanto, fumava fuore dall'olmo: ch'era linguacciuto da mille lingue a dire per mille voci una sol rabbia.
D'un'aperta finestra dell'ipiscopio com'ebbe udito quel diavolìo, monzignor Basilio Taopapagòpuli arcivescovo di Laodicea se ne piacque assaissimo: e dacché scriveva l'omelìa, gli venne ancora da scrivere: "inzino a' minimi augellini, con el vanir de' raggi, da sera, e nel discolorare de le spezie universe, e' raùnano a compieta: e rendono all'Onnipotente grazie di chelli ampetrati benefizi ch'Ei così magnanimamente a lor necessitate ha compartìto, et implorando de le lor flebile boci, contro a la paurosa notte sopravvenente el Suo celeste riparo, da sotto l'ala richinano 'l capetto, e beati e puri s'addormono".
Ma i glottologi del miscredente ottocento e' sustengono che 'n sua favella, ciò è delli storni e de' passeri, quel così rabbioso e irriverente schiamazzo che fuor d'onni fronda vapora, o tiglio o càrpine od olmo, non è se non:
"di sò, el mi barbazzàgn, fatt bèin in là..."
"ditt con me?"
"proppri con te, la mi fazzòta da cul!..."
"mo fatt in là te, carogna d'un stoppid..."
"t'avèi da vgnir premma, non siamo mica all'opera qui..."
"sto toco de porséo..."
"va a remengo ti e i to morti!..."
"quel beco de to pare..."
"e po' taja, se no at mak el grogn, ... tel dig me, ... a te stiand la fazza..."
"in mona a to mare..."
"lévate 'a 'lloco, magnapane a tradimento!..."
"né, Tettì, un fa' 'o bruttone..."
"i to morti in cheba..."
"to mare troja..."
"puozze sculà!..."
" 'sta suzzimma, 'e tutte 'e suzzimme!"
"piane fforte 'e loffie!..."
"chitarra 'e stronze!..."
"mammete fa int' 'o culo..."
"e soreta fa int' 'e rrecchie..."
"a tte te puzza 'u campà..."
"lèati, porco, 'e cc'ero prima io..."
"e cc'ero io, invece!...l'è mmaiala!"
"...mandolin 'e mmerda!..."
"...sciu' 'a faccia tua!..."
"chiàveco!..."
"sfacimme!..."
"recchio', te ne metti scuorno o no!"
"è trasuta donn'Alfunsina!"
"e cc'ero io, maledetta befana, costassù costì l'è la mi casa!..."
"vaffangul' a mammeta!"
"abbozzala, pezzo di merda, o ti faccio fori..."
"levate da' ccoglioni... accidenti a la buhaiòla 'he tt'a messo insieme!..."
"to màae..."
e altre finezze, e meravigliose e dolce istampite del trobà cortés.


Tra i tanti "bilanci di fine secolo" che si sono fatti in questi mesi, vogliamo qui sotto riproporre quello dell'antropologo Alberto Salza, tratto da un articolo apparso sull'ultimo numero di dicembre del settimanale Tuttoscienze della Stampa. E' la mesta e desolatamente lucida storia della inesorabile fine di popoli, lingue, culture, raccontata attraverso la scomparsa dei quotidiani gesti (piccoli, antichi, solenni, meccanici, impacciati gesti) di una umanità ormai sconfitta.

ETNOGRAFIA
Sparite lingue e culture
Quanti «selvaggi» ha sterminato il '900?
Alberto Salza

ALL'ALBA del primo giorno del 1900, per quel che potesse significare tale data, il Sole avrebbe sfiorato un innominato atollo delle isole Figi, dove le latitudini Est e Ovest si incontrano a 180°. Sulla spiaggia, una donna martellava la corteccia di palma per ricavarne la tapa del suo vestito; il marito trovava qualche difficoltà a mettersi l'acconciatura di piume prima di partire in piroga a bilanciere verso le Tonga. I moti di Sole e Terra si combinarono e così la luce toccò il volto di un aborigeno australiano intento a dipingersi il corpo con ocra e caolino, prima di raggiungere gli antenati dipinti nelle caverne, a 136° E. Il Sole illuminò allora i bonzi di un tempio shintoista a Kyoto e assieme apparvero bande di tagliatori di teste nel Borneo (114° E), in caccia. Cavalieri mongoli uscirono dalle tende di feltro contemporaneamente a negritos della Malesia (102° Est), nudi. Si svegliò l'India dei Maragià e poi si mossero i nomadi delle steppe dell'Asia centrale e i cammelli d'Arabia coperti di tappeti. Un giovane masai, appena circonciso, uscì dalla capanna di sterco per cercare un leone da uccidere e divenire così un uomo, in Africa orientale (36° E). Un pigmeo spinse poco dopo la sua canoa nell'Ituri, scostando le foglie della foresta primordiale del Congo. Poi un tuareg cominciò a maledire il Sole e a bollire l'acqua, mentre un gentleman inglese si apprestava a sorbire il tè prima di uscire nella pioggia di gennaio, collegati nella misteriosa cerimonia dell'infuso mattutino (0° a Greenwich come nell'orrore del Tanezrouft). Passato l'Atlantico, la luce ridestò una maloca di amazzonici Botocudo (43° O), dipinti e piumati, reduci da una cerimonia di trance collettiva, per poi scivolare a Occidente sugli Eschimesi dei ghiacci di Baffin, soli coi cani tra gli orsi bianchi, e via via incontrando amerindi di ogni sorta e acconciatura, salutando Ishi, l'ultimo «indiano selvaggio» della California (118° O), appostato con l'arco dietro un cespuglio di salvia, per poi perdersi sui sette mari della Polinesia e fare uscire dalla tenda di pelli un pastore ciukci della Siberia, a 173° O, per badare alle renne.
E' l'alba del 2000: tutte quelle persone, naturalmente, non ci sono più. Con esse, però, sono scomparse anche le culture, i modelli di vita plurimi di Homo sapiens . Alle Figi, le camicie a fiori «falsa Polinesia» spiccano nei campi malsani della canna da zucchero mentre carni bianchicce costellano spiagge da sogno in cartolina; all'alba l'aborigeno, in un camiciotto di jeans stracciato, si trascinerà fuori da un bar in lamiera ondulata del Tempo del Sogno Morto, mentre nel Borneo, come nel Congo o in Amazzonia, gli eredi di cacciatori di teste, pigmei e indios saranno intenti a tagliare a pezzi la loro madre, la foresta pluviale. Le sublimi danze d'Africano si trasformano in ignobili etnoshow per sopravvivere. Il masai va all'Università per divenire prima un uomo e poi un disoccupato, mentre i beduini avvieranno rombanti fuoristrada ferroplasticosi. Ishi è già morto in cattività, in un museo, e i ciukci si suicidano impiccandosi per risparmiare le cartucce che potrebbero servire ai loro figli per uccidere l'ultima foca.
Nessuno è in grado di dire quante culture abbia ucciso il '900. Le culture, come gli individui, mutano, si evolvono, si estinguono, da sempre. E neppure si può determinare il numero di esseri umani forzatamente coinvolti nel «progresso» prima, e nella «globalizzazione» oggi, che abbiano visto la propria vita totalmente travolta psicofisicamente. L'antropologo dolente, nuova figura del millennio, non può fare altro che piangere per la scomparsa dei soggetti dei suoi studi, in una disciplina che vive del «diverso da sé». Si prevede che nell'arco di un paio di generazioni sparirà l'80% delle 4000 lingue oggi parlate al mondo (i dialetti sono assai di più, ma spariranno molto prima): verranno selezionate da demografia e successo economico alcune lingue «ufficiali» (quelle degli Stati nazionali) e altre «operative», come l'inglese, per la comunicazione di massa. E' una forma di desertificazione culturale che l'umanità non ha mai sperimentato prima. Si opina spesso su cosa abbia mai prodotto l'Africa «primitiva» per il mondo del '900. La risposta è semplice: tutta la musica e tutta l'arte moderna. Ora è opinabile se sia «meglio» aver ideato la lampadina o il computer. Fatto sta che l'uomo non sopravvive senza arte, e l'arte è comportamento non stereotipo, spesso anticipatorio di novità che si diffonderanno eventualmente in tutta la popolazione. La biodiversità è oggi sulla bocca anche dei politici, mentre l'etnodiversità è argomento utilizzato principalmente per fomentare o criticare odii razziali. Dobbiamo tener conto del fatto che con le lingue, i costumi, gli stili di vita e tutto ciò che connota culture non individualistiche od omologate, si perdono interi modelli di comportamento e universi di pensiero, sostituiti soltanto dalla possibilità di comperare nell'ipermercato virtuale oggetti e informazioni. La popolazione dei Maya non si è mai estinta (oggi sono oltre 5 milioni): a un certo punto, misteriosamente, svanirono principi guerrieri e sacerdoti, che costringevano le persone a immani sforzi edilizi e all'omologazione nella produzione economica (mais) e culturale. Interessante.


IL TÈ DEI MATTI parole in libertà
[home] [Federico Fischanger] [inversione geoelettrica]


Per informazioni scrivete a fischanger@quipo.it .