Neocon

La rivoluzione (permanente) dei neocon


Hanno sostituito Karl Marx con Abraham Lincoln. E sono pronti a dominare il mondo

di Marco Respinti

Chi sono, dunque, i “neoconservatori”, sbarcati oramai a grandi ondate – massmediatiche – dagli Stati Uniti d’America anche in Italia, soprattutto grosso modo dall’autunno scorso, ovvero in pendenza dell’attacco militare all’Irak? Il “neo” è rivelatore. Perché, infatti, distinguersi con tanta caparbietà cronolatrica se si trattasse solo di un passaggio di testimone generazionale?
La denominazione, che fu originariamente attribuita loro in sede giornalistica, è stata presto rivendicata con orgoglio dai protagonisti indiscussi del movimento ( in primis da Irving Kristol) come marchio distintivo. E la tradizione diversa da cui provengono rispetto alla “Old Right” è quella che si fonda su ben altri valori rispetto non tanto all’isolazionismo (che la “Old Right” postbellica di per sé non ha mai predicato in senso stretto), quanto all’idea che il mondo sia un enorme impero americano di cui gli Stati Uniti sono il centro e il resto una bidonville .
Provengono dalla galassia trotzkista i neoconservatori e dall’idea di rivoluzione permanente già caro alla Quarta Internazionale. Trotzkisti, certo, non lo sono più, ma il marchio di fabbrica è rimasto. Contro Lenin e contro Stalin (o contro i loro odierni epigoni), i neocon giocano non più Karl Marx, ma Thomas Jefferson. O meglio: la loro interpretazione (inclusiva, egualitarista) di Jefferson.

Fra Lincoln e Majakovskij
O, meglio ancora, Jefferson letto da Abraham Lincoln, il primo presidente Repubblicano degli Stati Uniti che il 19 novembre 1863 a Gettysburg – sul campo ancora fumante della tragica battaglia che segnò l’inizio della fine dell’“antico regime” statunitense – “cambiò” il Paese con una frase: gli USA sono «[...] una nuova nazione [...] votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali». Un esperimento, dunque. Fino ad allora erano stati un’esperienza: l’unica luce, diceva il patriota Patrick Henry ai tempi del vero Jefferson, che può guidare il cammino con sicurezza.
Un esperimento di «religione politica» lo chiama Eric Voegelin, un «sacro esperimento»: gli USA «città sulla collina», pronti ad aspergere il mondo. L’idea puritana degli USA, insomma; che però non è mai stata l’idea americana degli USA, anzitutto perché minoritaria anche in origine, quindi perché temperata dal realismo della terra con cui contadini e pionieri si sono trovati ad aver a che fare nel Mondo Nuovo, diverso dai salotti e dalle accademie del Vecchio.
Ma l’idea puritana non stemperatasi nell’impatto con la diversa terra si è laicizzata sognando una terra diversa; e – le vie dell’illuminismo sono infinite – è giunta fino a Lincoln.
L’origine, remota quanto si vuole, dei neocon è tutta lì. Lincoln arruolato per una variante più borghese della Quarta Internazionale. L’astio espresso verso i neocon dai reduci della Terza Internazionale – comunisti (“neo”, “post” e “ri”) e deviazionisti social-nazionali (fascisti e nazionalsocialisti altrettanto “neo”, “post” e “ri”) – è la riedizione aggiornata di una rivalità d’inizio secolo XX.
Per i neoconservatori, dunque, la difesa degli Stati Uniti passa attraverso la Quarta Internazionale. La difesa di Stati Uniti-esperimento e non esperienza, dove gli USA sono la quintessenza dell’ avant-garde di un Occidente inteso come emancipazione dal bimillenario retaggio culturale europeo. Quegli USA fatti di turbine e di acciaio pesante che il poeta bolscevico Vladimir V. Majakovskij cantò estasiato e che ai tempi di Franklin D. Roosevelt – un mezzo eroe anche per molti neocon – resero il Paese nordamericano una sorta di Metropolis poco dissimile dall’ideale sovietico staliniano.
Non è automatico che l’Occidente sia la secolarizzazione dell’Europa: per i conservatori old style di principio non lo è, per i “neo” new line di fatto lo è.

Un po’ “neoisolazionisti”
All’occorrenza, poi, questa difesa di questi USA adopera il grimaldello dell’“americanizzazione” del mondo, laddove invece per i “vecchi” conservatori la difesa del mondo così come è (nella misura in cui il diritto naturale non è violato) resta l’unica garanzia di salvezza dell’Occidente, cioè dell’Europa e degli USA “europei”.
Il caso di una pubblicazione come il mensile Chronicles: A Magazine of American Culture – diretto a Rockford, nell’Illinois, da Thomas J. Fleming – è, a questo proposito, assolutamente da manuale. Irriducibilmente anti- neocon , terreno d’incontro fra libertarian e “paleoconservatori”, decisa a difendere l’idea di cristianità occidentale contro la marea islamica montante, contraria a ogni imperialismo tanto da sembrare risolutamente isolazionista, per bocca del suo direttore il periodico (nel numero di aprile scorso) definisce “neoisolazionisti” i neocon immemori dell’Europa che pretendono di fare da sé e di rifare il mondo.

Un po’ “teoconservatori”
Poco conta per i neocon di matrice trotzkista il dato religioso, specificamente cristiano. Esiste fra loro, è vero, una buona rappresentanza di cattolici, di sacerdoti di santa romana Chiesa, di riviste e di fondazioni apertamente cattoliche, addirittura un biografo di Papa Giovanni Paolo II (George Weigel) e un acuto stigmatizzatore delle persecuzioni anticattoliche del secolo XX qual è Robert Royal. Esiste fra loro, è vero, una buona rappresentanza del mondo protestante evangelicale (così traduce la sociologia delle religioni più accorta) – per loro si è addirittura adoperato il neologismo nel neologismo, coniando il termine theocon – che legge lo scontro fra Occidente e islam anche come annuncio dell’Armageddon prossimo venturo.
La questione però è: quanto contano, oltre a far numero e talvolta colore, i cattolici nell’universo neocon ? Non sono loro i “falchi” dell’Amministrazione Bush jr. E quanto agli evangelicali, danno il tono o solo il tonico?

Insomma distruttori
William Kristol, Richard Perle, Paul Wolfowitz, Elliott Abrams e Michael A. Ledeen assomigliano poco ai theocon . Più futuristi che conservatori, i neocon auspicano degli USA mai esistiti. La maggior parte degli americani, comprese ampie fasce di chi pure ne approva determinate scelte politiche (per esempio la guerra all’Irak), li appoggia e li approva per motivi più simili a quelli della Destra conservatrice anti neocon che per amore di neoconservatorismo. È un paradosso, ma è reale. Di certo c’è che pochi si sentono descritti dal Ledeen di The War Against the Terror Masters: Why It Happened. Where We Are Now. How We’ll Win (St. Martin’s Press, New York 2002): «Distruzione creativa è il nostro secondo nome, sia dentro la nostra società sia fuori. Abbattiamo quotidianamente il vecchio ordine: negli affari, nella scienza, nella letteratura, nelle arti, nell’architettura, nel cinema, nella politica, nel diritto. I nostri nemici hanno sempre temuto questo vortice di energia e di creatività che ne minaccia le tradizioni [...]. Essi non possono sentirsi sicuri finché noi ci siamo, giacché la nostra stessa esistenza – la nostra esistenza, non la nostra politica – minaccia la loro legittimità. Debbono attaccare noi per sopravvivere loro, esattamente come noi dobbiamo distruggere loro per far progredire la nostra missione storica».

Orient-Express
L’ultimo nodo al pettine. Quanto è neocon oggi l’amministrazione Bush?
Patrick J. Buchanan è da una decina di anni la bête noir per eccellenza dei neocon . Ora co-dirige il quindicinale The American Conservative , flagello dei neocon . Recentemente (16 giugno) scrive che «oggi i neoconservatori vengono visti come separati e distinti dai lealisti di Bush, con obbedienze e programmi propri». Deboli perché solo «parassiti» del potere politico, in questo momento starebbero pagando il conto della loro hybris . Bush, dice Buchanan, ha infatti subito sgonfiato il “caso Damasco”. Può darsi che si sbagli. Ma se non fosse così?
Per difendere l’Occidente – l’unico luogo storico in cui la dignità dell’uomo è fondamento di civiltà – vale davvero la pena di puntare tutto solo sulla «distruzione creativa» dei Ledeen?
Ma ancora di più: e se Bush jr. avesse a disposizione solo il treno neocon per azioni politiche che sembrano imperialiste e che invece sono difensive, ovvero se il treno neocon di Bush portasse a bordo altri passeggeri? Si può fare come i Ledeen, cioè bombardare il convoglio prima di verificare i biglietti?
In fin dei conti, Teheran e Damasco sono ancora in piedi (anche se i loro legami con il terrorismo internazionale sono ancora tutti da smentire). Se dovessero venire investite dalla locomotiva neocon nel futuro più o meno prosismo, la risposta sarebbe che i Ledeen hanno gettato dal treno tutti gli altri viaggiatori. Oppure che, ancora una volta, l’unico treno capace di stare sul binario è quello neocon .
Certo, comincerebbe a stufare. Anche se occorre distinguere sempre fra la reazione naturale di un mondo sotto assedio e i suoi inquinatori. Il realismo non è una pia intenzione intellettuale. È una virtù. Anche cristiana.

Da "Il Domenicale" n° 30 anno secondo


Per ulteriori informazioni, consiglio la lettura di "Flirthing with Fascism" pubblicato dalla rivista American Conservative. Cliccare qui:
flirthin.htm

 

BuiltWithNOF

Site Made By

[Home] [Cos' è Agorà] [Politica Interna] [Politica Estera] [Italia & Europa] [Unione Europea] [Guerra in Iraq] [U.S.A.] [Medio Oriente] [Economia] [Scienza & Medicina] [Religione] [Cultura] [Vignette] [Frasi Celebri] [Preferiti] [Forum]