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Inviato da Ivana Niccolai
Il grande sofista Protagora accettò di insegnare legge a uno
studente di nome Euatlo.
Poiché questi era povero, i due presero i seguenti accordi: Euatlo avrebbe
ricompensato Protagora non appena avesse vinto la sua prima causa in
tribunale.
Terminati gli studi, Euatlo decise di seguire la carriera politica,
abbandonando il proposito di praticare la professione legale. Protagora, che
non aveva ancora ricevuto l'onorario pattuito, chiese a Euatlo il pagamento.
Quest'ultimo rispose che avrebbe dovuto pagare solo dopo aver vinto la sua
prima causa e ciò non era ancora avvenuto. Allora Protagora, irritatissimo,
decise di citare Euatlo in giudizio, per fargli mantenere la promessa.
Di fronte alla corte, Protagora disse che se Euatlo avesse perso la causa,
allora avrebbe dovuto obbedire al giudizio della corte e quindi pagare il
dovuto; se, invece, Euatlo avesse vinto, allora avrebbe appunto vinto la sua
prima causa e quindi, in base al vecchio accordo, avrebbe dovuto versare a
Protagora la cifra pattuita.
Euatlo, in maniera altrettanto impeccabile, dimostrando di aver appreso
brillantemente quanto insegnatogli dal Maestro, ribattè che se avesse vinto
la causa, la corte avrebbe dato ragione a lui, quindi non avrebbe dovuto
nulla a Protagora; se, invece, avesse perso la causa non avrebbe dovuto
pagare, comunque, il suo vecchio Maestro, non avendo infatti ancora vinto la
sua prima causa.
A chi dareste ragione?
Quale decisione prese la Corte?
Ringrazio infinitamente Ivana Niccolai, Dino, Enrico Delfini per questo preziosissimo lavoro che finalmente fa luce sulle origini del paradosso di Protagora.
Ivana Niccolai, Dino, Enrico Delfini
Gent.mo Gianfranco,
Dino, Enrico Delfini e io abbiamo contattato, tramite posta elettronica, il
prof. Odifreddi, per trovare la fonte latina del "Paradosso di Protagora",
il
quale non appare negli "Academica II, 95" di Cicerone.
Odifreddi, con squisita gentilezza, ci ha immediatamente risposto, rimanendo
in contatto con noi, per collaborare nel portare a termine la ricerca e
citando "Le notti attiche" di Aulo Gellio.
In queste ultime siamo riusciti a trovare il brano cercato, precisamente nel
libro quinto, al capitolo 10. Trascriviamo il testo latino
(NOCTIUM ATTICARUM V, X)
De argumentis quae Graece «antistréphonta» appellantur, a nobis «reciproca»
dici possunt.
1. Inter vitia argumentorum longe maximum esse vitium videtur quae
"antistréphonta" Graeci dicunt.
2. Ea quidam e nostris non hercle nimis absurde "reciproca"appellaverunt.
3. Id autem vitium accidit hoc modo, cum argumentum propositum referri contra
convertique in eum potest a quo dictum est, et utrimque pariter valet; quale
est pervolgatum illud quo Protagoram, sophistarum acerrimum, usum esse ferunt
adversus Euathlum, discipulum suum.
4. Lis namque inter eos et controversia super pacta mercede haec fuit.
5. Euathlus, adulescens dives, eloquentiae discendae causarumque orandi
cupiens fuit.
6. Is in disciplinam Protagorae sese dedit daturumque promisit mercedem
grandem pecuniam, quantam Protagoras petiverat, dimidiumque eius dedit iam
tunc statim priusquam disceret, pepigitque ut reliquum dimidium daret quo
primo die causam apud iudices orasset et vicisset.
7. Postea cum diutule auditor adsectatorque Protagorae fuisset et in studio
quidem facundiae abunde promovisset, causas tamen non reciperet tempusque iam
longum transcurreret et facere id videretur, ne relicum mercedis daret, capit
consilium Protagoras, ut tum existimabat, astutum;
8. petere institit ex pacto mercedem, litem cum Euathlo contestatur.
9. Et cum ad iudices coniciendae consistendaeque causae gratia venissent, tum
Protagoras sic exorsus est:"Disce, inquit, stultissime adulescens, utroque
id
modo fore uti reddas quod peto, sive contra te pronuntiatum erit sive pro
te.
10. Nam si contra te lis data erit, merces mihi ex sententia debebitur, quia
ego vicero; sin vero secundum te iudicatum erit, merces mihi ex pacto
debebitur, quia tu viceris"
11. Ad ea respondit Euathlus:"Potui, inquit, huic tuae tam ancipiti captioni
isse obviam, si verba non ipse faceret atque alio patrono uterer.
12. Sed maius mihi in ista victoria prolubium est, cum te non in causa
tantum, sed in argomento quoque isto vinco.
13. Disce igitur tu quoque, magister sapientissime, utroque modo fore uti non
reddam quod petis, sive contra me pronuntiatum fuerit sive pro me.
14. Nam si iudices pro causa mea senserint, nihil tibi ex sententia
debebitur, quia ego vicero; sin contra me pronuntiaverint, nihil tibi ex
pacto debebo, quia non vicero."
15. Tum iudices, dubiosum hoc inexplicabileque esse quod utrimque dicebatur
rati, ne sententia sua, utramcumque in partem dicta esset, ipsa sese
rescinderet, rem iniudicatam reliquerunt causamque in diem longissimam
distulerunt.
16. Sic ab adulescente discipulo magister eloquentiae inclutus suo sibi
argumento confutatus est et captionis versute excogitatae frustratus fuit.
Traduzione
Sugli argomenti che in greco si chiamano "antistréphonta" e che da noi
(Latini) possono essere detti "reciproca"
Fra gli argomenti errati, il più errato sembra quello che i Greci chiamano
"antistréphon" (convertibile). Questo dai nostri, non certo senza ragione,
è
chiamato "reciprocum", cioè facile da ritorcere. Ora questo errore avviene
nel seguente modo: quando un argomento esposto si può ritorcere in senso
opposto e usare contro chi se ne è servito e ha uguale valore in entrambi i
casi; tale è quello, molto conosciuto, di cui dicono si sia servito
Protagora, il più sottile di tutti i sofisti, contro il proprio discepolo
Evatlo.
La discussione e la lite (nate) tra loro a proposito della mercede pattuita
era questa: Evatlo, giovane ricco, desiderava essere istruito nell'eloquenza
e nell'arte di discutere le cause. Egli era venuto da Protagora per essere
istruito e si era impegnato a corrispondere quale mercede l'ingente somma che
Protagora aveva richiesto e ne aveva versata la metà subito, prima di
incominciar le lezioni, impegnandosi a versare l'altra metà il giorno in cui
avesse discussa e vinta la prima causa davanti ai giudici. Ma, pur essendo
stato a lungo ascoltatore e discepolo di Protagora e avendo fatto notevoli
progressi nell'arte oratoria, non gli era toccata alcuna causa e poiché era
ormai passato molto tempo, sembrava facesse ciò a bella posta, per non pagare
il saldo a Protagora; questi allora ebbe una trovata che gli parve astuta:
chiese il pagamento del saldo e intentò un processo a Evatlo.
Quando venne il momento di esporre e contestare il caso davanti ai giudici,
Protagora così si espresse: "Sappi, giovane assai insensato, che in qualsiasi
modo il tribunale si pronunci su ciò che chiedo, sia contro di me sia contro
di te, tu dovrai pagarmi. Infatti, se il giudice ti darà torto, tu mi dovrai
la somma in base alla sentenza, perciò io sarò vittorioso; ma anche se ti
verrà data ragione mi dovrai ugualmente pagare, perché avrai vinto una
causa". Evatlo gli rispose:"Se, invece di discutere io stesso, mi avvalessi
di un avvocato, mi sarebbe facile di trarmi dall'inganno pericoloso. Ma io
proverò maggior piacere avendo ragione di te non soltanto nella causa, ma
anche nell'argomento da te addotto. Apprendi a tua volta, dottissimo maestro,
che in qualsiasi modo si pronuncino i giudici, sia contro di te sia in tuo
favore, io non sarò affatto obbligato a versarti ciò che chiedi. Infatti, se
i giudici si pronunceranno in mio favore nulla ti sarà dovuto perché avrò
vinto; se contro di me, nulla ti dovrò in base alla pattuizione, perché non
avrò vinto. I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i
casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in
qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono
indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana. Così un famoso
maestro di eloquenza fu sconfitto da un giovane discepolo che, servendosi
dello stesso argomento, scaltramente prese nella trappola chi l'aveva
tesa.
In attesa di una tua risposta, t'invio i migliori saluti, unitamente a Dino
e
a Enrico
Ivana Niccolai
Analisi effettuata da Microcefalo al cubo.
Il testo è poco dettagliato, o troppo
generale, come dir si voglia: non
viene specificato se Euatlo (ahi, che nome, sciogli lingua di vocali) avesse
dovuto vincere la sua prima causa da avvocato o da imputato.
E il gioco fonda il suo tentativo paradossale sullo scambio di dette
situazioni.
Innanzitutto anticipo il risultato, e cioè che ha ragione Euatlo in quanto
nell'accordo non sono stati posti limiti di tempo. (questo secondo logica,
anche se qualcuno potrebbe umanamente parteggiare per Protagora, non
digerendo la furbizia di Euatlo)
Caso 1)
Euatlo potrebbe eludere la richiesta di Protagora (pur avendo vinto la causa
in tribunale) affermando di aver vinto da imputato e non già da avvocato
secondo i termini dell'accordo. (nella soluzione data dal testo invece si
afferma che Euatlo dovrebbe pagare, proprio perché si gioca sulla
transitorietà dei ruoli imputato/avvocato)
Caso 2)
Il tribunale dà ragione a Protagora! (è un caso anomalo poiché il verdetto
dovrebbe essere a favore di Euatlo per i motivi di cui sopra,
comunque.........)
In questo caso Protagora potrebbe richiedere il pagamento di Euatlo
ricorrendo al potere esecutivo del tribunale che gli ha dato ragione ma
contravvenendo ai patti presi ai tempi delle lezioni. (se volesse restare ai
patti Protagora dovrebbe rinunciare ai soldi di Euatlo o restituirglieli in
un secondo tempo, nonostante il verdetto a suo favore da parte del
tribunale)
Caso 3)
Euatlo si presenta in veste di avvocato difensore di se stesso! In questo
caso se il tribunale gli dà ragione, per rispettare l'accordo con Protagora
Euatlo dovrebbe pagare; è il caso in cui Euatlo si trova a cadere nella
trappola di Protagora.
Si potrebbe anche ritenere che nel testo non si faccia distinzione tra
perdere (o vincere) da imputato o da avvocato; in ogni caso dopo che il
tribunale ha emesso la sentenza bisogna fare i conti con i termini
dell'accordo che sarà in ultima analisi quello che conta. È una questione di
tempi; prima c'è il verdetto del tribunale (che decreta se Euatlo vince o
perde la causa), poi in base al responso si procede a risolvere secondo
l'accordo preso; non si può altalenare tra le due cose fingendo il
paradosso.
Tornare indietro e pretendere le richieste del verdetto andando contro
l'accordo preso è un atto di forza che la logica non considera.
Sottolineo ancora il fatto che la corte dovrebbe dare ragione a Euatlo; in
quel caso Euatlo vince la causa ma da imputato e non da avvocato; quindi
Protagora non becca il becco di un quattrino!
Forse non ho scritto didatticamente bene!
Pazienza!
Accetto domande!
(mi basta un bicchiere di vino e mi addormento assai)
Ringrazio Stefano, esperto in legge, per il simpatico (e tecnico) scioglimento del paradosso.
Buongiorno! Mi sono imbattuto nel Paradosso di Protagora riportato sulle vostre pagine, e mi sono divertito a ipotizzare una soluzione "giuridica", con il sorriso sulle labbra...
L'accordo stretto tra Protagora e Evatlo ai giorni nostri si definirebbe contratto condizionale (art. 1353 c.c.), perchè l'esigibilità della prestazione da parte di Protagora (la somma dovuta dal suo allievo per le lezioni), sarebbe subordinata al verificarsi della condizione secondo cui Evatlo intraprenda o meno la carriera forense, e vinca la sua prima causa. Non è pertanto in discussione il "se" Evatlo debba dei soldi a Protagora, o il "quanto" denaro gli debba, bensì unicamente il "quando" glieli darà.
Tale condizione oggi si defiinrebbe "meramente potestativa", giacchè il suo verificarsi dipenderebbe unicamente dalla volontà di Evatlo. La situazione, infatti, gli consentirebbe di fa si che la condizione non si verifichi mai, per esempio scegliendo un'altra professione, il che lo lascierebbe pertanto libero da obblighi verso il suo maestro.
Ad evitare tale pericolo, il nostro codice civile (art. 1355 c.c.) sanziona con la nullità tale tipo di condizione, che si considera pertanto come non apposta, il che consentirebbe a Protagora di esigere immediatamente la prestazione dal suo allievo. Evatlo pertanto perderebbe la causa. Apparentemente, la sentenza non porrebbe la parola fine circa l'interpretazione dell'accordo, ma andrebbe a costituire un elemento del medesimo, perchè statuirebbe che la condizione non si è verificata (Evatlo non ha vinto). Riempirebbe cioè di significato (negativo) la domanda, contenuta nel contratto, "si è verificato l'avvenimento previsto dalle parti?". Avremmo cioè una sentenza che dice una cosa, e un contratto che dice il contrario proprio a seguito di quella sentenza.
Allorchè in forza della sentenza Protagora richieda la prestazione a Evatlo, egli tuttavia non potrebbe opporre l'eccezione relativa al mancato verificarsi della condizione "ho vinto la mia prima causa" contenuta nel contratto, proprio perchè tale condizione è nulla per i motivi già visti. La sentenza agirebbe cioè "a monte" del verificarsi della condizione, rendendola nulla, e Protagora avrebbe via libera al soddisfacimento del proprio credito, indipendentemente dal fatto se Evatlo abbia vinto o meno la sua prima causa... :)
Ultimo aggiornamento: giugno 2006
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