[BASE Cinque - Appunti di Matematica ricreativa]
Cari amici, per me è venuto il momento di liberarmi dai libri. Dapprima uno alla volta e poi a casse, vecchi e nuovi. E molti altri sono in partenza. Con loro, se ne sono andati anche gli scaffali della libreria. E' stata davvero una liberazione!
Ho amato i libri, ne ho letto tanti e ne ho collezionato ancora di più.
In essi cercavo risposte a domande fondamentali, ma non le ho trovate.
No, non erano i libri sbagliati. Il fatto è che il 99,9% dei libri è pieno di vuoto.
Quali sono allora i libri davvero importanti?
Ho trovato un suggerimento utile nel libro di Antonio G. Iturbe intitolato La bibliotecaria di Auschwitz (traduzione italiana La biblioteca più piccola del mondo, Rizzoli, 2013).
Il Blocco 31 è la parte di Auschwitz che i nazisti mostrano agli ispettori della Croce Rossa per convincerli che si tratta di un "normale" campo di lavoro.
Ci sono cinquecento bambini nel blocco, e per loro il signor Hirsch, un ebreo tedesco di mezza età, e la quattordicenne cecoslovacca Dita hanno creato una minuscola biblioteca segreta di otto libri arrivati fin lì per vie complicate e pericolose.
Dita è disposta a tutto per salvare il suo tesoro, e sarà proprio la sua fiducia nel potere dei libri a consentirle di sopravvivere all'orrore.
Ma cosa c'entra tutto ciò con BASE Cinque?
C'entra, perché tra gli 8 libri che formano la biblioteca più piccola del mondo ce n'è uno di matematica. Tiro un sospiro di sollievo...
Il capoblocco andò in un angolo dove erano ammucchiati alcuni ritagli di stoffa e li spostò. Alzò un'asse e comparvero i libri. Dita non riuscì a trattenere la gioia: si mise a battere le mani come di fronte a un gioco di prestigio.«
Questa è la tua biblioteca. Non è un granché.» E le scoccò un'occhiata per studiarne la reazione.
In effetti, non era molto fornita. C'erano solo otto libri, alcuni anche rovinati. Ma erano libri. E in quel luogo così cupo, dove gli esseri umani erano ridotti all'ombra di loro stessi, quei libri facevano correre la memoria a tempi meno lugubri, più benevoli, tempi in cui le parole risuonavano forti sopra i colpi delle mitragliatrici. Un'epoca finita. Dita prese i volumi a uno a uno con la stessa attenzione con cui si prende in braccio un neonato.
Il primo era un atlante squadernato a cui mancava qualche pagina e che mostrava un'Europa con Paesi e imperi che non esistevano più da tempo. I colori vivaci dei mosaici delle cartine politiche - rosso vermiglio, verde brillante, arancione, blu - contrastavano con il grigiore che la circondava, con il marrone scuro del fango, l'ocra delle baracche in rovina, il grigio del cielo fosco di cenere. Pagina dopo pagina, a Dita sembrava di volare sul mondo: attraversava oceani, doppiava capi dai nomi esotici - Buona Speranza, Horn, punta di Tarifa -, sorvolava montagne, saltava da una sponda all'altra di stretti che sembrava volessero toccarsi - Bering, Gibilterra, Panama -, navigava con il dito sul Danubio e sul Volga, e poi sul Nilo. Mettere tutti quei milioni di chilometri quadrati di mari e boschi e catene montuose, tutti quei fiumi, città e paesi in uno spazio tanto piccolo era un miracolo che solo un libro era in grado di compiere.
Il Trattato elementare di geometria era in uno stato di poco migliore. Descriveva un altro tipo di geografia: un paesaggio di triangoli isosceli, ottagoni e cilindri, di file di numeri ordinate in squadre di eserciti aritmetici, insiemi che sembravano nuvole e parallelogrammi che somigliavano a cellule misteriose.
Il terzo libro le aveva fatto sgranare gli occhi. Era la Breve storia del mondo di H.G. Wells. Un libro popolato di uomini primitivi, egizi, romani, maya, civiltà che avevano costruito imperi poi scomparsi perché ne sorgessero di nuovi.
Il quarto volume era una grammatica russa. Dita non capiva una parola, ma le piacevano quelle lettere enigmatiche che sembravano fatte apposta per raccontare leggende. Adesso che anche la Germania era in guerra contro la Russia, i russi erano suoi amici. Ad Auschwitz c'erano molti prigionieri di guerra russi, Dita lo sapeva, e i nazisti avevano infierito su di loro con una crudeltà estrema.
Poi c'era un romanzo in francese, un libro molto rovinato con qualche pagina mancante e qualcuna macchiata di muffa. Edita non sapeva il francese, ma avrebbe trovato il modo di carpire il segreto di quella storia.
E c'era anche un trattato intitolato Nuove strade della terapia, di un certo professor Freud.
C'era un altro romanzo in russo, senza copertina.
L'ottavo libro era un romanzo in ceco, ridotto in uno stato penoso: un pugno di fogli tenuti insieme a malapena da pochi fili. Prima che potesse prenderlo, Fredy Hirsch se ne impossessò. Dita lo guardò contrariata. Le sarebbe piaciuto avere un paio di occhiali di tartaruga per fissarlo da sopra le lenti, come facevano le vere bibliotecarie.
«È tutto rotto. Non serve a niente.»
«Lo aggiusto io.»
«Non è adatto ai ragazzi. Meno ancora alle ragazze.»
Dita aveva sgranato ancora di più i suoi grandi occhi.
«Con tutto il rispetto, signor Hirsch, ho quattordici anni. Crede davvero che dopo aver visto la pentola della nostra colazione incrociare il carro dei morti e decine di persone entrare nelle camere a gas in fondo al lager un romanzo possa ancora farmi impressione?»
Hirsch era sorpreso. E non era facile sorprenderlo. Le vicende del bravo soldato Svejk, le aveva spiegato, lo aveva scritto un alcolista blasfemo di nome Jaroslav Hasek e conteneva affermazioni indecenti in materia di politica e religione, oltre a situazioni più che discutibili da un punto di vista morale e molto poco adatte alla sua età.
In conclusione, la biblioteca più piccola del mondo potrebbe essere formata da:
Pace e bene a tutti!
Gianfranco Bo
Data creazione: novembre 2014
Ultimo aggiornamento: novembre 2014
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