Metamorfosi del mito

La metamorfosi del mito

 

Mito, ossia racconto. Continuato, ripreso, rovesciato, annullato. Anche sull'arte del Novecento  insistono i miti classici, forza e potenza della storia e delle forme. Il mito è lin­guaggio oppure forma. Dove alla parola classico si da il significato di tradizione e continuità, persistenza. Secondo il si­gnificato che ne dava Thomas S. Eliot nella conferenza su Virgilio del 1944: «Un classico può apparire soltanto quando una civiltà è matura; quando un linguaggio e una letteratura sono matu­re, e deve essere il lavoro di una mente matura».

Il Novecento riapre gli occhi sopra un'eredità millenaria tramandatasi nel tempo senza scosse. Le avanguardie, una dopo l'altra, abbattono le consue-tudini. Si comincia adagio, attribuen­do all'arte significati e finalità nuove, poi i ritmi si accelerano fino a mettere in dubbio tutto.

 

Sovvertire l'ordine del cosmo

 

II Futurismo è l'avanguardia delle avanguardie: studiata a tavolino, pen­sata e programmata, precedette Dada e Surrealismo, seguendo le istanze spar­se del Simbolismo che non aveva avutoun principio, un programma di fonda­zione, ma soltanto assestamenti e vo­lontà di singoli.

Il Futurismo chiese all'arte molto più di quanto sia stato mai preteso. Fin­se di annullare la storia e la tradizione ma soltanto per ricominciare da capo e ri-costruire il mondo da principi di tota­lità e vitalità, di ottimismo e invenzio­ne, di allegria, anche.

Il Futurismo assunse i caratteri del suo fondatore, la sua poliedricità, il suo sprezzo del pericolo. Filippo Tommaso Marinetti: soldato, poeta e scrittore, me­cenate e impresario, politico e patriota.

Il Futurismo si snodò attraverso tre generazioni e decine di artisti, dalla Sar­degna al Friuli, dalla Russia al Giappone. Svolse un programma nato e cre­sciuto sopra la lettera dei manifesti di fondazione, declinato nelle decine e de­cine di veci. Si dipinge, si fanno mostre, una dopo l'altra, si scrive, si pubblica, si organizzano serate in tutte le città e Marinetti arriva sempre, in treno, con il suo stiffelius nero.

Il Futurismo sembrò rovesciare sui linguaggi la sua apparente iconoclastia: in realtà Marinetti e i suoi ridettero all'arte l'etica antica di un programma completo e complesso, un impegno.

Il mito dell'arte-vita incrociò quell'i­deale che alla fine del secolo aveva at­traversato l'Europa, il Gesamtkun-stwerk, l'opera d'arte totale la cui ur­genza scaturiva dalle maturità incrocia­te dei diversi linguaggi. Diventò uno sti­le di vita eletto ad annullare la distanza tra opera e biografia.

 

Continuità e memoria

 

L'idea del mito contemporaneo ha un significato provocatorio. Si tratta di ve­dere come sopravvivono i miti e l'arte stessa. Dopo il Quadrato nero su fondo bianco di Kazimir Malevic, dopo la Fontaine di Marcel Duchamp, l'orinatoio del 1917, dopo i tagli di Lucio Fontana e la Merda d'artista di Piero Manzoni, do­po l'affermazione hegeliana ormai più che secolare della morte dell'arte.

L'arte va avanti. E propone una ricu­citura continua tra ciò che resta dalle rei­terate fratture del Novecento e il mondo contemporaneo. Anche il mito resta, e la sua suggestione, la sua continuità tra memoria e tempo. Rovesciandosi, alle volte, diventando l'esatto contrario del­le sue origini.

Molti dei miti attuali sono lontane conseguenze dell'anti-mito futurista: rappresentano il capovolgimento delle gerarchie, dei poli energetici, sovverto­no il positivo in negativo. Così la città non è più il teatro sperimentale della vitalistica crescita dei futuristi, ma la gabbia del traffico; così la velocità non è più lo svi­luppo fantastico dell'epoca della mac­china, ma una preoccupante distesa di automezzi fermi in autostrada e la bel­lezza femminile non è più soltanto og­getto di contemplazione, ma moderno sfruttamento commerciale dell'indu­stria della moda e dello spettacolo.

Tra metafisica e ritorno all'ordine, anni 1910-1920, l'idea e le vestigia del classico tornarono in ogni forma, in ogni ambito, richiamate a forza dalla necessità o dalla nostalgia. Roma e l'antico, l'arte italiana del Tre e del Quattrocento, Masaccio e Paolo Uccel­lo, Piero della Francesca. Si assesta un vocabolario dove la parola classico moltiplica i suoi rimandi. Per Giorgio de Chirico incontrare e dipingere ora­coli e Arianne vuoi già dire aver sdop­piato memoria e nostalgia: il mito della Grecia antica si riflette immediatamen­te nella Grecia di Friedrich Nietzsche: malinconia, enigma, luce del meriggio.

Così i miti s'incontrano, uno e dop­pio, calco e matrice. E quelli del moder­no programmatico ed esperito dai futu­risti si aggiungono ai miti che il passato ha salvato, a quel che serve ora: Italia, patria e famiglia, giustizia.

 

Il tempo, l'immutabile

 

<o:p> </o:p>Mario Sironi snoda cortei che rive­stano la pittura moderna e pubblica di quell’Ethos che l'arte ebbe quando nac­que: l'afflato della pittura murale è alto e civile. «Il ritorno alla pittura murale -scrive nel 1932 - significa ritorno agli esempi italiani e alla tradizione nostra, alla quale oggi è impossibile effettiva­mente collegarsi, nonostante che tanto spesso se ne senta la modernità affasci­nante e si intuisca la spinta possente che potrebbe venire all'arte moderna dal suo esempio e dalla sua disciplina». Uffi­ciali come programmi ideali o sotterra­nei come fiumi carsici, i miti vecchi e i miti nuovi giungono al secolo nuovo.

La mostra Mito contemporaneo ne delinea una mappa possibile attraverso un percorso tematico, suggestioni, acco­stamenti e proposte che avvicinano arti­sti dei primi decenni del secolo ad altri delle generazioni successive, fino a quella dei trentenni: Umberto Boccioni, Ottone Rosai, Mario Sironi, Gino Severini, De Chirico, Mino Rosso ed Enrico Prampolini in dialogo con Tano Festa e Mario Schifano, Luigi Ontani, Mimmo Paladino.

La bellezza. Giunge da lontano. Da Felice Casorati, di cui la mostra presenta il superbo Ritratto di Renato Guatino del1922, da Tano Festa che trasforma la quotidianità pop degli americani nella confidente ripresa di Michelangelo. Non minestre, non detersivo in barattolo, ma David e Cappella Sistina: Roma anni Sessanta. Filtra dalla citazione colta e coltivata di Carlo Maria Mariani, artista della classicità quando era peccato im­pugnare il pennello che risoffia l'anima nelle statue antiche, classiche, neoclas­siche, e ancora una volta classiche.

 

La bellezza si traveste.

 

È insidiosa e mascherata quella dei set di F.lli Calgaro, ha gli occhioni di Barbie la bella Stefania Ricci che riproduce il suo corpo e lo tra­sforma in una bambola; ha lo sguardo sfuggente di un'araba affrettata e stupita l'Oriente ventoso di Ali Hassoun che di nuovo prende Michelangelo e lo ritaglia in bianco e nero; mito classico e mito d'Oriente, Roma e Venezia, viaggi, sete, spezie.

 

Beatrice Buscatoli

 
 

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