Pericolo per i Moai

Pasqua senza giganti

 

Le famose statue di pietra si stanno sbriciolando. A causa di troppa umidità, vento e salinità dell'aria. L'Unesco ha lanciato l'allarme. Ma hanno risposto in pochissimi.

 

I moai sono in pericolo. Gli enigmatici e misteriosi idoli di pietra, dal lungo na­so diritto, la bocca chiusa dalle grandi labbra, gli occhi incassati e la fronte bassa, che dominano l'Isola di Pasqua a oltre tremila settecento chilometri dalle coste del Cile, nel bel mezzo dell'oceano Pacifico, rischiano di scomparire. Entro cinque anni, se non si fermerà il pro­cesso di deterioramento, il sessanta per cento degli 887 moai potrebbe trasfor­marsi in polvere. Per colpa di un tris micidiale: la forte umidità, il vento dell'ocea­no e la salinità dell'aria. Insomma, questa volta non è direttamente colpa dell'uomo se i moai rischiano l'estinzione.

Almeno, non in prima battuta. E con buona pace dell'Unesco che, nel 1993, ha dichiarato l'isola patrimonio dell'umanità. Il grido d'allarme è stato lanciato da Rafael Rapu, ricercatore, ambientalista e paladino delle statue dai lunghi nasi. Che ha accusato la comu­nità internazionale di lasciar morire dei veri e propri giganti di pietra. Che arrivano fino a venti metri di altezza e a oltre ot­tanta tonnellate di peso. E che rappresentano la memoria storica di popoli antichissimi. Sull'isola di Pasqua, così chia­mata per essere stata scoperta il giorno di Pasqua del 1722 dall'ammiraglio olande­se Jakob Roggeveen, di moai ce ne sono ovunque. A partire dalle pendici e dalle spiagge che guardano l'oceano Pacifico verso la Polinesia. Area geografica da cui gli antropologi ritengono provenisse la popolazione, già a partire dal Quattro­cento. I moai sono i veri padroni dell'isola. Lungo la costa orientale, è ancora visibile il cratere del vulcano Rano Kau: la ca­va madre dove si intagliavano e prende­vano forma gli idoli di pietra. Tra questi, suggestivi sono il moai Tuturi, l'unica sta­tua in ginocchio, un gigante di oltre venti metri ma incompiuto; Ti Fischio Kura, dieci metri, e un berretto sulla testa di do­dici tonnellate e Ti Fischio Ti Kura, co­struito a differenza degli altri con una pie­tra nera sferica e considerato "il vero ombelico del mondo", secondo le leggende dell'isola. Archeologi e ricercatori hanno però dimostrato quanto l'intensa produ­zione dei moai abbia contribuito alla de­sertificazione e all'eco-distruzione dell'i­sola. Funzionava una vera e propria cate­na di montaggio che lavorava senza sosta. Come se fosse stata stabilita una scaden­za. Improrogabile. Nel cratere di Rami Raraku, ad esempio, giacciono statue ap­pena iniziate e abbandonate all'improvvi­so. È opinione condivisa che le statue raf­figurassero antenati tribali. Certo, la loro imponenza e i tratti fortemente stilizzati conferiscono a queste figure un fascino in­descrivibile.Tutta l'economia dell'isola era incentrata sulla produzione dei giganti di pietra. C'erano i gruppi di costruttori, formati da venti persone, che lavorano nelle cave e in­tagliavano le statue. E c'erano le squadre dei trasportatori, composte minimo da duecento uomini ciascuna, che utilizzava­no legname e corde per costruire slitte mo­bili formate da tronchi allineati che permettevano lungo una strada di far scivo­lare più facilmente l'enorme masso di pie­tra. L'isola, al momento della scoperta, era un vero e proprio eden per la sua ric­ca vegetazione. Un paradiso di acqua, bo­schi e foreste che sono letteralmente scom­parse proprio a causa dell'intensa produ­zione e costruzione di moai. A partire dall’anno Ottocento, infatti, si estinse com­pletamente la palma mentre l'albero Hau hau, utilizzato per fare le corde, si ridusse a pochi esemplari.

È questa la storia vera dei giganti di pietra che sono arrivati a noi grazie all'intensa opera di un popolo della Polinesia e, so­prattutto, alla distruzione dell'ecosistema di un'intera isola del Pacifico. Oggi la mo­bilitazione per salvare i moai dal deterio­ramento naturale è appena iniziata. Per il loro restauro e la loro conservazione, so­no necessari dieci milioni di dollari. Al­meno. Ma finora è stato avviato soltanto un progetto di conservazione che conta su appena 590 mila dollari. Un goccia in mezzo all'oceano.

I soldi sono stasi messi in campo dell'U­nesco con il contributo del Giappone. La raccolta è appena iniziata ma, per adesso, i Paesi che fanno la fila per contribuire, so­no ancora molto pochi, come anche i miliardari cileni.

 
 

BuiltWithNOF

Site Made By

[Home] [Cos' è Agorà] [Politica Interna] [Politica Estera] [Economia] [Scienza & Medicina] [Religione] [Cultura] [Poesie] [Duchamp] [Montanelli] [Russel Kirk] [Metamorfosi del mito] [Pericolo per i Moai] [Vignette] [Frasi Celebri] [Preferiti] [Forum]