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ROME
in the footsteps of an XVIIIth century traveller
 
 

A Short and Delicious Digression

The guide of Rome by Giuseppe Vasi ends with a short "digression" which covers the environs of Rome and in particular the so-called Castelli little towns, usually belonging to an important family, located on the volcanic hills to the south-east of Rome. They offered a healthy climate, a tasty although a bit too sweet white wine and fine views over Rome, the sea and two little lakes.

Map of the delicious digression Ponte Salaro Ponte Lamentano Ponte Mammolo Tivoli Albano Ariccia Genzano Grottaferrata Marino Frascati Castelgandolfo Civita Lavinia Nemi Velletri Monte Porzio Catone Montecompatri Rocca Priora Rocca di Papa Ostia città famosa, ora quasi distrutta Porto Map of the environs of Rome (1850 ca.)


The digression covers the following locations:

A) Ponte Salaro (Plate 83)
B) Ponte Lamentano (Plate 82)
C) Ponte Mammolo (Plate 81)
D) Città di Tivoli
E) Città di Pelestrina (see Map in Gregorovius' Walks)
F) Tusculo antico oggi Frascati città
G) S. Maria di Grotta Ferrata
H) Marino castello de' Colonnesi
I) Città di Velletri
J) Castello di Cori (see Map in Gregorovius' Walks)
K) Città di Albano
L) Castel Gandolfo, e monte Albano
M) La Ariccia castello antichissimo
N) Nemi castello delizioso
O) Gensano castello amenissimo
P) Civita Lavinia, oggi castello
Q) Anzio città antichissima (see Map in Gregorovius' Walks)
R) Nettuno castello moderno (see Map in Gregorovius' Walks)
S) Ostia città famosa, ora quasi distrutta
T) Porto Romano, città distrutta
U) Palazzo di Caprarola (see Map in A Walk Around Monte Cimino)
1-4) Other towns in the Castelli Romani area: 1) Monte Porzio Catone; 2) Montecompatri; 3) Rocca Priora; 4) Rocca di Papa

Start your tour of the Environs of Rome from Ponte Salaro
 


Itinerario istruttivo
per ritrovare con facilità tutte le
Magnificenze di Roma
e di alcune città, e castelli suburbani.

Digressione breve e deliziosa



Per ritrovare alcuni luoghi celebri ne' contorni di Roma.

Siccome famosi, e memorabili sono nell'Istoria Romana le Provincie, e Castelli intorno a Roma, e ricche le vicine contrade di monumenti illustri, e di memorie irrefragabili della magnificenza, e magnanima possanza degli antichi abitatori di questi contorni; ed avendo osservato che il virtuoso genio del mio Lettore, sia molto portato dal piacere delle antichità, mi do a credere, che non sarà fuori di proposito se io lo condurrò in alcuni suburbani castelli, ad osservare i chiari avanzi della vetusta gente, ed insieme le antiche e moderne magnificenze. E perchè principiamo col nostro solito metodo, faremo capo alla Sabina.
Quest'insigne e celebre Provincia resta a fianco di Roma divisa da una parte dal fiume Nera, dall'altra dal Tevere, e da questa parte dall'Aniene, che ora diciamo Teverone, sopra di cui sono quattro famosi ponti, Salaro, Mammolo, Nomentano, e Lucano, non già per la loro struttura, ma bensì per le gloriose gesta, ed imprese degli antichi Eroi.
Da un Re loro, o Idolo detto Sango, o Sanco, ed ancora Sabo, dice sant'Agostino presero il loro nome i Sabini, la cui Provincia stendeva molto più ampj suoi confini, di quello, che è oggidì: onde non è maraviglia, se quei popoli facessero fronte ai Romani con pertinaci guerre. Furono poi di tale ingegno e talento, che Fauno Re de' Sabini, e de' Latini ancora, si legge, che fosse il primo, che in queste due Provincie introducesse, e poi in tutta l'Italia distendesse il culto de' falsi Dei, non essendovi per l'addietro, o niuna o pochissima cognizione di religione, come chiaramente lo asserisce Lattanzio, il quale aggiugne ancora, che la di lui moglie per nome Fauna, o Faula, così esattamente conservò la castità, che mai conobbe, nè vide altro uomo, che il suo marito; proposta perciò da Lodovico Vives per un celebre esemplare di onestà fra' Gentili, ai quali fu così memorabile questo esempio, che dopo la sua morte, le eressero tempio, ed altare, e la venerarono come Dea, dicendola buona Dea. Soggiunse Plutarco, che quella buona Regina ebbe una figliuola chiamata Draja, la quale con tanta modestia fuggì l'aspetto degli uomini, che mai fu veduta in pubblico.
Numa Pompilio similmente Re de' Sabini, e poi de' Romani ancora, fu quegli, che introdusse l'ordine delle vergini Vestali, acciò custodissero il fuoco perpetuo dinanzi alla statua di Vesta, o di Diana, ed ancora considerando, che il Sole in un anno illustrava li dodici segni dello Zodiaco, aggiunse due altri mesi all'anno, cioè il Gennaro, ed il Febbraro, mentre per l'addietro dice Tito Livio, che si contavano dieci mesi, e poi per tenere ubbidienti a se que' popoli così bellicosi, simulava di avere notturni colloqui colla dea Egeria, e che da essa restava istruito intorno al governo di essi: onde tanta stima si acquistò da tutta l'Italia, che era riverito come un Dio vivente. Perciò divenne così illustre il nome de' Sabini, che dipoi si recarono ad onore i Consoli, i Prefetti di Roma, i Capitani, i Presidenti delle Provincie, e persino gli stessi Imperadori di chiamarsi con questo nome.
Per la salubrità dell'aria, e per la fertilità de' campi fu la delizia de' Romani; ma poi usurpata, e devastata, dalle nazioni barbare, nel Pontificato di s. Gregorio fu gran parte della Sabina donata per patrimonio della Chiesa Romana, ed essendo poi da' Tiranni usurpata, Luitprando Re de' Longobardi la restituì al Pontefice s. Zaccaria; e perchè di nuovo fu invasa, Carlo Magno avendo debellati i Tiranni, la donò ad Adriano I. donde provenne, che il vescovo della Sabina, come custode del patrimonio della Chiesa, in mancanza del Papa, incorona il nuovo Imperatore.

Il primo Cardinale eletto vescovo della Sabina fu Gio. Romano, del quale si legge un terribile avvenimento della divina vendetta, per avere circa l'anno 1050. distrutto un altare di una chiesa spettante al monastero di Farfa, nella medesima Sabina, portando seco le preziose reliquie, che vi erano, ed avere usurpate alcune ragioni spettanti alla medesima Badia, fondata da Lorenzo vescovo suo predecessore, il quale 70. anni prima fabbricato, e dorato aveva quel celebre monastero, in cui vestì anche esso l'abito religioso, dopo aver renunziato il vescovato.

Ponte Salaro
Tre miglia fuori della porta Salara si vede il ponte del medesimo nome distrutto da Totila, e poi rifatto da Narsete nell'an. 39. dell'Imperio di Giustiniano, come si legge nella celebre iscrizione postavi dal medesimo.
Ponte Lamentano
Tre altre miglia fuori di porta Pia è questo ponte, che dovrebbe dirsi Nomentano, dalla Città di questo nome, che non molto lungi era, celebre non tanto per gli avvenimenti profani, quanto per l'eroiche prodezze di molti ss. Martiri, i quali ne' primi secoli della Chiesa collo spargimento del loro sangue illustrarono la via, che dalla medesima Città dicevasi Nomentana, su cui furono le ville di Seneca, di Ovidio, di Quinzio, ed il famoso suburbano di Faonte liberto di Nerone, di cui ancora si vedono le rovine, come di molti tempj, e fabbrice cospicue.
Ponte Mammolo
Quattro miglia lungi dalla porta s. Lorenzo si vede questo ponte, il quale secondo alcuni, fu edificato da Alessandro Severo, o da Mammea sua madre, da cui facilmente porta il nome, e corrisponde colla via Tiburtina. Sul medesimo Aniene è il ponte Lucano vicino alla
Città di Tivoli
Celebre, è questa antichissima città lontana da Roma 18. miglia, detta Tibur, bagnata dal mentovato Aniene, ora detto Teverone. Nasce questo a piè de' monti Appennini ne' confini del Regno di Napoli, e in Tivoli fa una soprendente comparsa, mentre cascando da alte rupi, si nasconde in un profondo cavo, e poi dopo lungo tratto si fa rivedere. Col beneficio di quelle furiose acque, sonovi molte ferriere, ramiere, e cartiere, e nell'alto si vede il celebre tempio della Sibilla Tiburtina, e non molto lungi la magnifica villa di Adriano, ora rinnovata dalla nobilissima famiglia Estense, e però merita una particolare osservazione, non solo per il palazzo, e deliziosi viali, ma ancora per la rarità delle statue, e la moltiplicità delli scherzi, che maravigliosamente fanno quelle fontane.
Città di Pelestrina
Fuori della porta Maggiore lungi 24. miglia, da Roma è questa città, fabbricata al dire de' Poeti da Preneste figliuolo di Latino e nipote di Ulisse, o da Telegone figliuolo di Vulcano, e dicesi, che così la chiamasse l'Oracolo dalle corone, colle quali si videro la prima volta quelli abitatori, o pure dalla preminenza del sito, che quasi praest agli altri monti. Su questo fu il celebre tempio della Fortuna primogenita, a cui ricorrevano i Gentili, non solo nelle loro pretensioni, ed elezioni di ufizj, cariche, ed onori messi a forte; ma ancora ne' loro viaggi, specialmente per mare. Perciò i marinari e viandanti, passando dal mare tirreno, e scoprendo quel tempio da lontano, solevano riconoscere con dimostrazione di ossequio il simolacro di quella Dea, acciò conseguissero prospera navigazione.
Fu ristaurato quel magnifico tempio da Lucio Silla in emenda dell'empietà commessa contro C. Mario il giovane, e altri suoi nemici, che ivi si erano rifugiati, parendogli di aver profanata la santità di quel tempio. E perchè vide, che la città era rimasta vuota di cittadini, parte uccisi da esso nel lungo assedio, e parte fuggiti dalla sua crudeltà, egli vi mandò da Roma molti ad abitare, e fecela colonia Romana.
Dipoi per la salubrità dell'aria, ed amenità del paese fu frequentata quella città da Augusto, ed Orazio insieme con Mecenate; da Aulo Gellio, da Marc'Antonio Imperatore e da molti altri: ma sopra tutto è notabile, che in essa città s. Agapito, giovinetto di 15. anni dopo vari tormenti sofferse il martirio nel medesimo luogo, ove oggi è la chiesa cattedrale. Rimane di quel tempio non piccolo argomento vicino a questa chiesa, ed altresì nel palazzo superiore, osservandosi l'ammirabile mosaico noto a tutte le nazioni.
E' ancora notabile la città o castello, che sta sulla cima del monte, perchè ivi dimorò per qualche tempo s. Pietro Apostolo, perciò si dice castel di s. Pietro, e vi si vede la famosa torre, in cui stette prigione il B. Japocone.
Tusculo antico oggi Frascati città
Dodici miglia lungi da Roma, camminando per la strada fuori della porta s. Giovanni, fu quell'insigne città, fabbricata sull'eminente collina da Telegone figliuolo di Ulisse e di Circe per collocarvi la sua regia. Prese un tal nome forse da' Toscani, che l'ingrandirono, o da Greci, che ve lo imposero per la difficoltà del salirvi; e fu di tal maniera forte, che in essa ricoverossi Tarquinio Superbo ultimo Re discacciato, da' Romani; donde nacque poi la fierissima guerra tra' Latini, e i Romani, e non cessò fin a tanto, che quella città non rimanesse spianata fino al suolo con tutte le sue magnificenze. Non per questo fu dipoi abbandonata, anzi più gloriosa risorse per opera de' medesimi Romani, i quali la illustrarono con magnificenze più insigni, vedendosi in quell'angolo del colle verso tramontana le diroccate mura; ed il famoso Tusculo di M. Cicerone, in cui aveva aperta per suo trattenimento letterario una accademia, che fu la più fiorita di tutta l'Europa, concorrendovi tutti i maggiori letterati di Roma e del Mondo ancora: onde Tusculane si dissero quelle questioni e quesiti, che in un picciolo, ma prezioso volume si gode, formato in quelle delizie dal Principe della Romana eloquenza. In quell'altra parte del colle verso Oriente fu la famosa villa di Lucullo, e dove si vedano sparse a mucchi le pietre su il vecchio sepolcro de' Furj, e la regia di Tarquinio suddetto.
Mutò nome e sito quell'insigne città circa l'anno 1191. quando nuovamente distrutta da Romani per le insolenze usate colla Sede Apostolica da' suoi cittadini, i quali poi non sapendo dove ricoverarsi scesero nel basso incontro a Roma costruendo diverse casette e capanne di legno coperte di rami, di frondi, e frasche, dalle quali la nuova città prese il none rurale di Frascati. Dipoi riconosciuta la salubrità dell'aria, e l'amenità del sito, principiò la nobiltà Romana a farci le sue villeggiature: perciò vi furono erette de' magnifici casini, e maravigliose ville con deliziosissime fontane, e viali amenissimi, fra le quali tiene il primo luogo quella di Belvedere posta dinanzi alla porta di questa città, e quella di Mondragone eretta da Paolo V. Borghese; dipoi la Taverna, la Conti, la Rufina, la Boncompagni, la Odescalchi ed altre, che con più facilità riuscirà il vederle, che con brevità quì descriverle: ma non potrò contenermi di accennare almeno i sagri pregj del vicino celebre monastero di
S. Maria di Grotta Ferrata
Correva il decimo secolo della nostra salute, quando Agareno Arabo, soggiogava tutta la Calabria, con una fierissima persecuzione contro i Cristiani; ma molto più contro i monaci, e religiosi, ed essendo in quella Provincia per il timore disertati tutti i monasterj, e romitorj, s. Bartolommeo Nileo discepolo di s. Nilo monaco dell'Ordine di s. Basilio, scelse 60. de' suoi monaci di rito greco, e fuggendo le crudeltà del Barbaro predatore, se ne venne nel Lazio per servire Iddio in santa pace. Giunto nell'ameno campo in vicinanza del Tusculo, quasi per divino istinto fu guidato ad una sa grotta, che ancora oggidì si vede, dove insieme co' suoi religiosi si ricoverò; e dormendo in essa con tutti gli altri compagni, gli apparve la ss. Vergine dicendoli, che ivi si fermasse, e vi fabbricasse una chiesa in suo onore.
Dominavano allora nel Tusculo undici Conti di grande autorità e possanza, i quali avendo avuto la stessa visione, non solamente somministrarono i sussidj per la fabbrica della chiesa e monastero; ma con somma generosità provvidero loro di rendite per lo mantenimento di cento Monaci sotto la condotta di s. Bartolommeo loro primo Abate, e fondatore. Questi datosi subito a fabbricare, operò quivi diversi segnalati miracoli, e fra gli altri, che stando per cadere una delle otto colonne, che egli dalle rovine antiche, ivi cavate aveva, per ornarne la chiesa, come ancora si vede, egli la fermò in aria col segno della santa Croce.
Crebbe poi a tal segno la devozione de' Fedeli verso quel santuario, che accrebbero quelle entrate alla somma di 60. mila scudi annui, con 21. chiese e monasterj soggetti; arricchiti e segnalati con vari privilegj. Nulladimeno a poco a poco mancato il fervore e la devozione; massimamente in occasione dello scisma tra la Chiesa Greca, e la Latina nell'anno 1462. alli 28. di Agosto su quel monastero da Pio II. ridotto in commenda Cardinalizia, onde molti Cardinali Commendatarj hanno ristaurata, ed ornata la chiesa con marmi, sculture, e pitture insigni, tenendosi in gran conto quelle nella cappella laterale dipinte a fresco dal Domenichino, per commissione del Card. Farnese, mentre era Commendatario di quel monastero, ora ridotto a pochi monaci. Senza allontanarci da questa contrada passeremo ora a visitare i castelli, che a sinistra vediamo far corona a questo santuario, mentre anche essi sono pieni di dilettevoli erudizioni, e di grate memorie.
Marino castello de' Colonnesi
Fuori della medesima porta s. Giovanni, prendendo la strada a destra, che a drittura guida al regno di Napoli, si trova dopo 14. miglia questo castello già detto Mariano o Mareno. Prese egli un tal nome da Cajo Marino, perchè fabbricato sopra la sua villa, o pure da Lucio Murena, che vi ebbe la famosa sua delizia. Fu ancora detto Ferentino, celebre dopo la destruzione di Albalunga, per il concorso de' popoli Latini, che vi andavano a consultare i loro affari: perciò molto grande e magnifico dovette essere, vedendosi per quelle contrade varie rovine maravigliose.
Evvi ora di ammirabile un quadro del Guercino da Cento rappresentante s. Bartolommeo Apost. posto nella chiesa Collegiata, ed altro in quella della ss. Trinità, dipinto da Guido Reni. Quindi seguitando per la medesima strada di Napoli, si giunge alla
Città di Velletri, a Cori, e Cisterna castelli
Sulla medesima strada 24. miglia lungi da Roma è questa insigne città, la quale fu la metropoli e capo de' Volschi, ed e illustre per il nascimento della famiglia Ottavia Augusta; perciò Ottaviano vi ebbe delle delizie, come ancora Tiberio, Nerva, Cajo Caligola, e Ottone, delle quali ancor oggidì se ne vedono li vestigj. Ma lasciate le profane memorie, si crede, che quì s. Pietro nella seconda volta, che venne da Gerusalemme a Roma, o pure s. Paolo nel passare, che fece da questa città, vi spargesse la parola evangelica; ma con più probabilità si presume ciò di s. Clemente oriundo da Velletri, per avergli i Velletrani dedicato dopo il di lui martirio il più magnifico tempio, che avevano, eretto a Marte, che oggidì è la chiesa cattedrale, alla quale fu poi da Eugenio III. unita, come diremo, quella di Ostia. E' riguardevole in questa città il palazzo Ginnetti, colla magnifica scala tutta di candidi marmi, e la statua di metallo eretta nella piazza ad Urbano VIII. per benemerenza da quel popolo.
Non molto lungi da questa, fuori però della strada consolare, evvi l'antichissima città di Cori, edificata secondo alcuni da Dardano Trojano, e su una di quelle, che si oppose ai progressi de' Romani, onde in tal modo fu distrutta, che di quella li soli vestigj si vedono sparsi per quelle contrade, e appresso alla chiesa parrocchiale di s. Salvatore le nobili rovine di un tempio di Ercole. Risorta poi dalle sue sciagure sulla costa di un amenissimo colle, gode la giurisdizione del Senato e Popolo Romano.
Otto miglia dopo Velletri e 30. lontano da Roma è Cisterna celebre nell'istoria Ecclesiastica, sotto nome però delle tre Taverne, sebbene queste siano state più lontane, ed appresso il fiume Assura, dove ancora oggidì si dice le tre Taverne sulla via Appia. Ivi i fedeli di Roma, intendendo la venuta di s. Paolo, andarono a riceverlo, e sin colà a fargli onore, come egli stesso racconta, e poi arrivato a Roma, fu trattato con tanto amore, che eziandio i Gentili amici de' Cristiani gli andarono incontro.
Città di Albano
Uscendo fuori della porta s. Sebastiano, e camininandosi per la via Appia, dopo le rovine del Circo di Caracalla, e del sepolcro di Metella, ora detto capo di Bove, evvi la villa delle Frattocchie, oggi de' Colonnesi, in cui fu la deliziosissima villa di Claudio Cesare, facendone testimonianza le tante rarità, che vi sono state trovate, fra le quali il prezioso bassorilievo di Omero. Dipoi seguitando per la strada a sinistra, si rintraccia la via Appia, e poco dopo si vede la moderna città di Albano.
Da Ascanio figliuolo di Enea, come dicemmo, fu edificata Albalunga per un sogno, che egli aveva avuto, che una troja bianca, ivi aveva partorito 30. porchetti bianchi, per lo che Alba volle chiamare la sua città, e Lunga la disse, perchè sulla sommità del monte fabbricolla intorno al lago, occupando Castel Gandolfo, il convento de' Zoccolanti, fino a Palazzolo, e formandola di figura lunga quasi circolare, come ne fanno fede i vestigj colà trovati in tempo di Alessandro VII. ed ancora le tre ruvide moli, che si vedono sulla via Appia, nelle quali furono riposte le ossa, secondo che si legge, de valorosi Curiazj.
Distrutta poi da' Romani quell'insigne città, fu edificata la nuova, non già sull'alto del colle, ove era l'antica: ma sulla costa verso ponente, appunto ove era la sontuosa villa di Pompeo Magno, della quale se ne vedono ancora le rovine; ed il teatro di Domiziano, destinato ai giuochi pubblici di fiere, di gladiatori, e di zuffe militari, e secondo che si legge, vi si facevano ancora i letterarj congressi di Poeti, Oratori, e d'Istrioni, di cui se ne vedono similmente le rovine. Eravi il tempio di Venere e della buona Dea, l'uno da un canto, e l'altro dall'altro canto del sotterraneo condotto, ovvero maraviglioso Emissario dell'acqua, lungi due miglia dal Lago, che ora dicesi di Castel Gandolfo. Fuvvi ancora la villa di Clodio, ucciso da Milone, mentre tornava dalla Riccia, disceso poi da Cicerone, e si comprende nella di lui orazione la magnificenza di quella villa. Ora per la salubrità dell'aria, e per l'amenità del campo, e ambiente marittimo, vi sono moltissimi casini della primaria nobiltà Romana.
Castel Gandolfo, e monte Albano
Per due amenissime strade da Albano si passa a quel nobile castello, una sopra il colle, e l'altra di sotto, ricoperte ambedue di altissimi e folti alberi, onde ne' calori estivi vi si gode lo spasseggio con un ombrosa frescura.
Da Gandolfo Savelli allora Principe di Albano fu eretto un castello in quell'amenissimo sito, di cui compiaciutosi poi Paolo V. e insieme della delizia del suddetto lago, vi edificò un palazzo per suo diporto, cd essendo poi da Urb. VIII. accresciuto di comodi, e compito da Alessandro VII. con deliziose fontane e comodissime strade, principiò a popolarsi, talmente che il medesimo Pontefice, per fare le sagre funzioni, e dare a quelli abitatori maggior comodo, vi fece una nuova chiesa col disegno del Cav. Bernini, ed anche altri personaggi vi fecero nobilissimi casini con giardini e ville.
L'altissimo monte, che sta dirimpetto, e che al lago sovrasta, sebbene appoggia all' erudito castello di Rocca di Papa, pure dall' antica città di Alba venne detto, monte Albano, ora però dicesi monte Cavo. E perchè le memorie di esso sono molto celebrate dall' istoria Romana, a noi solamente basterà osservare la magnifica strada, che va sino alla sua sommità simile alla via Appia, con le molte ruine di tempj, e sepolture, che si vedono da per tutto, massimamente del famoso tempio di Giove Laziale, posto nella sua cima, ove ora è un romitorio con una chiesa.
La Ariccia castello antichissimo
Due miglia dopo Albano, camminando a sinistra della via Appia, si vede situato sopra uno scoglio questo fortissimo castello, secondo che si legge eretto 500. anni prima della guerra di Troja da Archiloo Siculo, e chiamollo Ermina. Dipoi essendovi posta da Oreste la statua di Diana Scitica, la quale portata seco aveva da Tauricia, fu il castello detto Arizia, e portò il vanto di essere stato patria di Accia madre di Ottaviano Augusto, e di Turno Erodino: ma poi ebbe lo scorno di essere sepoltura dell'infame Simon Mago, ivi condotto da' suoi parziali dopo la vergognosa caduta in Roma, per curarlo delle sue ferite, e poi trasportarlo nella Giudea; ma il disgraziato vi morì di spasimo.
Ora è feudo della famiglia Ghigi, e vi è di particolare il magnifico palazzo, e la chiesa fatta da Alessandro VII. col disegno del Cav. Bernini, ornata di ottime pitture, fra le quali evvi l'Assunzione della ss. Vergine fatta a fresco nella tribuna dal Borgognone. Quindi dopo un miglio siegue il monastero colla magnifica chiesa di s. Maria di Galloro fatta dal medesimo Alessandro col monastero per i monaci di Vallombrosa.
Nemi castello delizioso
Non vi è in tutto il Lazio parte più amena o gioconda tramischiata di fertilissimi campi e deliziose colline, abbondanti di delicatissimi frutti, e prelibati vini, come questa. Aicino chiamavasi anticamente il bosco presso l'altro Lago, che quì si vede; ma poi da nemus parola latina, ne provenne volgarmente Nemi. Nel quale sito era il celebre tempio di Diana Taurica, il quale era cotanto frequentato da' popoli Latini, che dipoi divenne abitato, e formossi un castello. A piè di questo si vede il famoso lago, da alcuni chiamato specchio di Diana, perchè dal sopraddetto monte Albano si favoleggiò da' Poeti, che quella Dea in esso si specchiasse, e fu detto da altri lago nemoroso: oggi però per i due castelli, che si sovrastano si dice lago di Nemi e di
Gensano castello amenissimo
Il nome di questo secondo castello, se provenga dal suddetto tempio di Diana, la quale fu detta ancora Cintia, cambiandosi poi da Cintiano in Gensano, non si sa indovinare, mentre alcuni popoli, che andavano a quel tempio, non trovando ivi luogo sufficiente, e compiacendosi dell'amenità del sito, quivi si fermavano, e poi forse vi abitarono. Egli è sommamente delizioso questo castello, oggi posseduto dalla nobilissima famiglia Cesarini; non solamente per il salutare clima, e per l'abbondanza di frutti e vini squisiti: ma ancora per l'amenità delle strade industriosamente formate come di verdeggianti e lunghi viali di giardini.
Vicino al luogo, ove si apre il profondo condotto del lago, che sgorga verso il basso della Riccia, era la famosa villa di Ottaviano Augusto, ora quasi sepolta; ma rimangono ancora alcuni maravigliosi avanzi di sassi quadrati, e di altre stupende reliquie di quella imperiale delizia. Poco lungi, ove ora è il convento de' frati Cappuccini, furono scoperti diversi acquedotti antichi creduti del tempo di Augusto e di Tiberio, e nel fondo di quel lago furono scoperte per opera del Card. Prospero Colonna, nel Pontificato di Martino V. due gran navi, e cavatane la poppa di una, si riconobbe l'ammirabile struttura di esse, e da alcune grosse lastre cavate dal fondo dell'acqua fu riconosciuto il nome di Tiberio, e che in quel lago si facessero de' combattimenti navali per delizia della nobiltà, e per esercizio della milizia Romana.
Civita Lavinia, oggi castello
Tre miglia lungi da Gensano a destra della via Appia, conserva questa, a dispetto del tempo divoratore, il nome dell'antichissima città, ma non già l'antico sito di quella, di cui tante cose memorabili si leggono, e che Enea fabbricolla, dandole il nome della sua moglie figliuola di Latino. E sebbene soggiacesse anche essa alle violenze de' Romani per l'ingrandimento di Roma, poi fu patria di Antonino Pio, e di Milone, difeso, come dicemmo, da M. Tullio. In quell'insigne città fu il famoso tempio di Giunone Sospita, e le celebri pitture, una di Atlante, e l'altra di Elena.
Anzio città antichissima, e Nettuno castello moderno
Camminando poi per la strada sotto Albano, 40. miglia lungi da Roma, si trovano le rovine di quella città posta sulla spiaggia del mare tirreno, celebre appresso i Gentili, perchè in essa fu custodito con somma superstizione un libro, in cui erano scritte alcune opinioni di Pittagora. Prese quel nome da uno de' figliuoli di Ulisse e di Circe, e ne' suoi principj non ebbe porto, perchè i suoi cittadini erano tutti dediti alla magnificenza, e delizia della città; ma poi datisi alla navigazione, divennero sì periti e prodi, che per le scorrerie, che facevano sopra i Greci, furono ripresi dal Senato Romano, e poi essendo ricercati dà Romani, che prontamente prendessero le armi contro Annibale; furono fatti esenti dalle pubbliche gravezze. Quindi venendo più volte guasta da' nemici corsari, fu da Claudio Nerone suo cittadino ristaurata, ed accresciuta con superbi edifizj, e con un magnifico porto, spendendovi i tesori non solamente di Roma, ma anco di tutto l'Imperio, e poi Adriano alla magnificenza della città e del porto aggiunse l'amenità di una villa, onde Anzio era la delizia de' Romani.
Fu altresì famosa quella città per li due gran tempj, uno della Fortuna, l'altro di Venere Afrodisia, e di Esculapio, per la cui fabbrica vi contribuì tutto l'Imperio, per compiacere l'ambizione di. Cajo Caligola similmente nato in quella.
Dalle rovine di quella città sorse poi il castello di Nettuno per opera de' Colonnesi, e prese un tal nome, perchè eretto nel sito del famoso tempio di Nettuno, celebre appresso i Poeti, in cui da' viandanti si facevano frequenti sagrifizj di bovi, acciò avesse impedito il mugito delle onde agitate dall'impeto de' venti, e conceduto loro propizio il viaggio.
Non molto lungi da Nettuno è il fiume Astura, celebre anche esso per un castello, di cui non resta alcuna memoria, che una torre, appresso a cui, secondo alcuni, seguì la morte di M. Tullio Cicerone, il quale volendo fuggire l'insidie di Marco Antonino, ivi fu sopraggiunto da Popilio ingratissimo uomo.
Innoc. XII. rifece il porto incontro all'antico Anzio col disegno di Carlo Fontana, andandovi egli in persona per facilitare l'opera, e fu ricevuto e trattato dalle nobilissime famiglie Colonnese, Borghese, Panfilia, e Costaguti, perchè ivi fanno magnifici casini, con deliziose ville. Benedetto XIV. vi andò similmente per darci l'ultima mano, e fu trattato dalla Eccma famiglia Corsini, che vi ha un sontuoso palazzo, vicino a quello del Cardinale Alessandro Albani, i quali tutti meritano d'esser veduti.
Ostia città famosa, ora quasi distrutta
Uscendo poi fuori di porta s. Paolo, e pigliando il cammino per la celebre via Ostiense, si giunge a quella desolata ma celebre città. Sulle foci del Tevere, dove sboccava nelle sponde del mare tirreno, si vedono i miserabili avanzi della illustre città di Ostia termine del Lazio, edificata da Anco Marzio III. Re de' Romani col famoso tempio di Giove Feretrio; e chiamossi Ostia, quasi porta, ed ingresso agli Eroi, che a Roma portavano i trofei delle provincie conquistate. Abbracciata poi da' Romani la religione Cristiana, fuvvi da Costantino Magno edificata una chiesa in onore de' ss. Apostoli Pietro e Paolo, e di s. Gio. Batista: ma dipoi essendo stata ivi la s. vergine Aurea con un sasso legato al collo gettata nel Tevere, fu tanta la devozione, che ne prese quel popolo, che riedificando la chiesa, in onor di essa la dedicò, e poi fu ristaurata da s. Leone III. e da s. Leone IV. il quale vi andò processionalmente, e vi comunicò tutti i soldati e capitani dell'armata Cristiana, ivi radunata contro i Saracini i quali poi coll'ajuto Divino furono parte disfatti dalla tempesta, e parte rotti, e fatti prigioni, e poi, come dicemmo furono condotti a Roma, ed impiegati nella fabbrica della città Leonina. Appresso alla chiesa vi fu probabilmente un ospizio, in cui s. Agostino si trattenne, quando dopo la sua conversione voleva passare in Affrica con santa Monica sua madre, la quale però avendo colle lagrime guadagnato il suo figliuolo a Dio, quivi morì, e nella medesima chiesa fu poi sepolta, standovi dal dì della sua sepoltura, che fu nel 362. fino all'anno 1430. in cui Martino V. trasportolla a Roma con solennità.
Celebre è negli atti de' ss. Martiri non solo la città, ma ancora la via Ostiense, mentre non lungi dalla suddetta chiesa si conserva la memoria de' ss. Ciriaco vescovo Ostiense, Massimo prete, ed Archelao diacono, i quali sotto Alessandro Severo sostennero il martirio, con altri compagni avanti il teatro della medesima città; e tanti e tante gloriosamente sparsero in difesa della Fede cattolica il proprio sangue in quelle campagne: ma sopra tutti è celebre la memoria di s. Gallicano capitano, ed amico caro di Costantino Magno, mentre egli fu il primo, che edificasse chiese in Ostia, e che istituisse prebende per mantenimento de' preti, e chierici, facendo nella sua abitazione un grande ospizio per li pellegrini, che allora da tutte le nazioni ivi capitavano per andare a Roma, e visitare i sagri Limini; insieme con s. Ilario monaco Ostiense servivali con tanta carità, che quanti venivano dall' oriente, e occidente restavano tutti sorpresi di vedere sì grande umiltà in un uomo tanto nobile e ricco; onde sparsesi da per tutto la fama di sì magnanima virtù, e non potendo ciò soffrire l'Apostata Giuliano successore di Costantino, perchè non poteva per la di lui grande nobiltà farlo morire, discacciollo da Ostia; onde andatosene in Alessandria, fu tanto odiata la sua esemplare virtù, che ivi gloriosamente sofferse il martirio.
Gregorio IV. vedendo, che mancato era lo splendore di quella città, rinnovolla di mura e di popolo, mettendovi i Corsi ad abitarla, e perchè spesso facevansi vedere i Saracini, Martino V. fecevi altissime torri con varie fortificazioni. E' notabile, che essendo poi stata presa da Menaldo Guerra di Navarra formidabile corsale, il quale teneva in gran terrore tutto li mare di quei contorni, Alessandro VI. che allora era Pontefice vi mandò Consolano, detto per soprannome il gran Capitano, il quale avendo superato e fatto prigione Menaldo, lo condusse a Roma legato sopra un cavallo magro, e sfornito come in trionfo, mettendo spavento a chi lo mirava. Per un tal felice successo il medesimo Pontefice si portò poco dopo in Ostia insieme col Duca Valentino, e con vari Cardinali, per godere quelle delizie; e per rendere più forte la città. Giulio II. vi aggiunse nuove fortificazioni con larga fossa; ma a poco a poco scemato il popolo per l'infelicità dell'aria, ora non rimane altro delle antiche grandezze, che un castello o rocca, per difesa di quella spiaggia, abitato da pochi operari delle vicine saline.
Porto Romano, città distrutta
Fuori di porta Portese camminando si giunge dopo 14. miglia al celebre e magnifico Porto Romano, ora distrutto dal tempo, e per la trascuraggine. Claudio Imperatore piantollo sulle foci del Tevere, affine di rendere Roma abbondante di viveri e di mercanzie, e però fu l'emporio di tutte le nazioni, ed il luogo del commercio di tutto il Mondo. Fecevi una gran torre a similitudine di quella di Alessandria, e nell'imboccatura vi pose un gran colosso rappresentante Augusto, che pensato aveva di fare sì grande opera. Trajano fecevi smisurati portici, e magazzini, e Costantino Magno per fare a Roma un forte antemurale contro le invasioni de' nemici fecevi un accrescimento notabile, onde Costantiniana fu detta: e fu tale il concorso de' popoli dell'Affrica, dell'Egitto, e di tutte le provincie dell'Impero Romano, che divenne famosissimo il porto, e ricchissima la città. Restò spopolata quella città dopo l'edificazione della città Leonina, e però da s. Leone IV. vi fu posta una colonia di Corsi; ma ora è alloggio di pecorari e di pescatori, che vi hanno erette fra le rovine alcune capanne, e vi è una piccola chiesa dedicata a s. Biagio.
E' notabile, che essendo vescovo di detta Città s. Ippolito, sotto Alessandro Imperatore legate le mani e i piedi fu gettato ivi in un pozzo. Egli era venuto dall'Oriente per visitare i sagri Limini e cimiterj; ma il Pontefice s. Calisto conoscendo la sua santità, creollo vescovo di Porto, dove intento alla propalazione della Fede, in odio di questa acquistò la corona del martirio: onde i Cristiani ebbero tanta venerazione a quel Santo, che vi eressero una statua, la quale ora sta nella biblioteca Vaticana, e sopra la di lui sepoltura fabbricarono una chiesa, che nelle disgrazie di Porto soggiacque anche essa; si conserva però il pozzo, ove fu gettato il Santo, e i vestigj dell'antica confessione. Furono similmente martirizzati nella città di Porto s. Giacinto, e li ss. Marziale, Saturnino, Epiteto, Maprile, Felice e compagni, ed ancora 50. soldati; e poi i ss. Eutropio, Zosimo e Bonosa, ed altresì s. Ninfa vergine Palermitana, la quale essendo sbarcata con suoi compagni nel porto Romano, stette nascosta in una grotta, ivi vicina, nella quale fu poi con i compagni sepolta; e però vi fu edificata una chiesa. Molti altri Santi, che noi per brevità tralasciamo, col glorioso loro martirio illustrarono quelle contrade; ma non già conviene tacere le glorie delle sante sorelle Rufina e Seconda nobilissime donzelle Romane.
Era nella via Aurelia, o secondo altri, via Cornelia fuori di porta s. Pancrazio, che da Roma conduceva al porto Trajano, ovvero Centocelle, che ora diciamo Civitavecchia, un bosco lungi dalla Città 10. miglia, che per l'orrore , che cagionavano gli alberi folti, e alti, dicevasi Selva nera. Occorse nell'anno 160. che le due sorelle figliuole di Asterio e di Aurelia, essendo state promesse in spose a due giovani di ugual nobiltà, uno per nome Armentario, e l'altro Vasino entrambi Cristiani, gli rifiutarono, perchè avevano apostatato dalla Religione. Di che sdegnatisi i giovani, come d' un'ingiuria grave fatta alla loro nobiltà, le accusarono a Giunio Prefetto di Roma; il quale vedendo inutili le persuasioni e le lusinghe, minacciò loro i tormenti; nè bastando le minacce e i rimproveri, fece fieramente battere Rufina con flagelli alla presenza dell'altra sorella. Ma questa vedendosi priva dell'occasione di patire per Gesù Cristo, con risentimento di generosità cristiana, rivoltasi al Giudice si disse: ' Quid est, quod sororem honore, me afficis ignominia? Jube ambas simul cadi, qua simul Christum Deum confitemur '. Per la qual cosa confuso il Giudice, e non sapendo a qual partito appigliarsi, le fece condurre in prigione, nella quale apparendo una splendida luce, e sorgendo un soavissimo odore, tosto più inviperito il Giudice, comandò che senza indugio le due sorelle fossero gettate in un ardentissimo bagno; ed uscendone illese, dispettosamente le fece buttare nel Tevere; ma poi vedendo, che anco da quelle acque erano uscite libere e belle, ordinò che condotte alla Selva nera, fossero ivi decapitate, e i loro corpi lasciati insepolti per essere cibo delle fiere. Ma Iddio, che voleva onorare le sue dilette spose, apparvero tutte e due piene di gloria a Plautilla nobile Romana, padrona di tutta quella contrada, sebbene fosse ancora gentile; e facendole conoscere l'errore della gentilità, l'esortarono a dare sepoltura ai loro corpi. Compiacendosi poi Iddio di operare molti miracoli a favore di quei, che andavano a venerae il sepolcro di quelle sante Sorelle, non più Selva nera fu chiamata quella contrada; ma Selva candida.
Quindi per il concorso de' popoli, che andavano a visitare i ss. Martiri, si fabbricarono ivi delle abitazioni, e se ne formò una popolata città edificandovi ancora una magnifica chiesa, alla quale fu data la Sede Vescovile, continuata per molto tempo; finchè Calisto II. vedendo devastato tutto quel paese da' Saracini e ridotta la città, e la chiesa in desolazione circa l'anno 900. la unì alla Portuense, e i corpi delle sante Sorelle furono trasportati nel Laterano in una cappella vicino al battisterio, non vi restando di quella magnificenza, se non un piccolo avanzo laterale della antica tribuna, nella quale ancora si ravvisano le immagini dipinte; da una parte s. Seconda, che sta a giacere morta in terra, e dall'altra parte s. Rufina in atto di aspettare il colpo del carnefice.
Sulla medesima via Aurelia non molto lungi dalle mura di Roma evvi il celebre cimiterio di s. Calepodio, in cui furono sepolti moltissimi corpi di santi Martiri, e poi come dicemmo nella, pagina 270. quello di s. Pancrazio martirizzato ivi presso, in onor del quale fu poi circa l'anno 500. edificata da Simmaco Papa la magnifica chiesa in forma di basilica a tre navi, tenuta sempre con gran devozione da' fedeli, sì per l'invitta costanza del santo Giovinetto, che nell'età di 15. anni confessando la Fede di Gesù Cristo gloriosamente sostenne il martirio; sì ancora per i miracoli, che Iddio dispensava a quei, che con fede ricorrevano al di lui sepolcro: tanto che Narsete gran Capitano di Giustiniano Imperatore riconoscendo dall'intercessione di s. Pancrazio l'insigne vittoria conseguita sopra i Goti, che infestavano questa Città, e devastavano tutta l'Italia, avendoli quasi del tutto disfatti, da questa chiesa insieme col Papa, che allora era Pelagio I. li portò in solenne processione alla basilica di s. Pietro in Vaticano, per rendere a Dio le dovute grazie.
Similmente in questa chiesa l'anno 1204. ai 21. di Novembre fu da Innocenzo III. coronato Pietro II. re di Aragona, il quale giurò fedeltà ed obbedienza alla Sede Apostolica, e promise di scacciare dal suo Regno la pestifera eresia degli Albigensi, come puntualmente fece per mezzo del glorioso s. Domenico.
Scendendo poi per la scaletta a destra dell' altare maggiore si vede quel sagro Cimiterio o grotte, incavare forse dalla natura, o da qualche antico accidente aperte; si ravvisa però che sono state ajutate dall'arte, e opera delle mani de' nostri maggiori, ristaurate forse per ordine de' sommi Pontefici. Queste di sotto la chiesa diramandosi per quella contrada sotto vigne e prati, non solo si vedono incavate nel terreno in parte tufo, ed in parte sasso simile al tartaro: ma in molti luoghi con calce e pietre fortificate. Vi sono diversi spazj con piccole porte e basse lavorate di mattoni, e per quelle oscure stradelle camminando con lumi accesi si vedono di quà e di là incavati o nel tufo, o nel sasso gli armarj a guisa di casse della misura di un corpo umano, dove si riponevano i cadaveri o gli ossi de' ss. Martiri, i quali ivi dentro muravano poi con mattoni larghi, come sin oggidì si vede. Queste erano i tempj e gli oratorj de' primi Cristiani nel tempo delle persecuzioni de' Gentili, ed in queste grotte si radunavano i sommi Pontefici, i Preti, e i Fedeli per celebrare i divini misterj, e fare le stazioni e vigilie ne' giorni destinati. A quest'effetto vi furono fatte ogni tanto delle cappellette, vedendosene una col nome di Calepodio intagliato sopra; e se vi si imbatterà una pratica guida, vi mostrerà il luogo, ove s. Calisto Papa orava, e dove dormiva s. Giulio I. e poi dove stette il corpo di un tal santo, e dove di un tal altro; cose tutte da far maravjglia a chi ha lume di Fede.
Per quanto da' Martirologj raccogliamo, oltre i sopraddetti ss. Martiri, nel cimiterio di Calepodio furono sepolti Palmazio uomo consolare, insieme colla moglie, figliuoli e famiglia al numero di 42. Simplicio Senatore con tutta la sua casa al numero di 68. Felice con Blanda, e Giulio Senatore con molti altri martiri, de' quali solo a Dio sono noti i nomi. Scaturisce dentro quelle grotte un rivo di acqua, la quale sebbene non in ogni tempo venga fuori, tuttavia si crede, che sia antico, e che quei primi Cristiani se ne servissero. Moltissime altre sagre memorie sono in questa chiesa, e nella via Aurelia; ma per non rendermi oltremodo prolisso in queste sagre materie, che non sono ora di mia particolare ispezione, e perchè è ormai tempo, che diamo fine a questa digressione, passeremo a vedere la bellissima fabbrica del gran
Palazzo di Caprarola
Sarebbe un errore, se, avendo dimostrato le magnificenze antiche e moderne di Roma, e suoi contorni, non guidassi ora il mio Lettore a vedere il celebre palazzo fatto erigere dal Card. Alessandro Farnese nipote di Paolo III. Fuori di porta Angelica, o di porta Castello camminando fino a ponte molle, e poi voltando a sinistra verso la Toscana, si trova in primo luogo la prima posta, che dicesi della Storta, in cui è notabile la cappella di s. Ignazio di Lojola, eretta in memoria d'essergli apparso il nostro Signor Gesù Cristo, mentre con i suoi compagni ivi orava, e gli disse: ' Ego propitius ero vobis Roma 'Quindi proseguendo il cammino fino al castello di Monte rosi, e poi lasciando la strada a sinistra, che porta a Viterbo, e prendendo quella a destra, si giunge a Caprarola, castello posto sulla schiena di un colle, ed in cima di esso si vede il magnifico palazzo, ammirabile in tutte le sue parti. Giacomo Barozio da Vignola ne fece il disegno in figura pentagona, con baluardi e fosse d'intorno a modo di fortezza, facendo nobilissimo invito una doppia cordonata alla magnifica piazza, e delizioso ingresso al superbo palazzo una scala a due branchi con ponte levatore; ed altra nobilissima e maravigliosa scala fatta a chiocciola con colonne doriche e balaustri, lavorata sì perfettamente, che sembra tutta di getto; con un cortile sferico cinto di portici e di logge. Tanto le camere, e sale del primo piano nobile, quanto quelle del secondo, i portici, le logge, e le scale sono tutte a volta, ornate di vaghissimi stucchi, e capricciose pitture a grottesco fatte dal famoso Antonio Tempesta. Nelli sfondi delle camere, e delle sale sono dipinte varie favole proposte da Annibal Caro a Taddeo, e Federigo Zuccheri, i quali dipinsero ancora alcuni fatti celebri de' Farnesi, che il Card. Trajano Acquaviva fece incidere in rame, ed insieme le piante e alzate dell'edificio, per compiacere gli eruditi dilettanti. Alla magnificenza del palazzo corrisponde l'amenità di due giardini segreti, ai quali si passa per due ponti levatori; ed ancora la delizia di una villa con amenissimi viali, boschetti, e diversità di fontane, di scale, e fiorire ornate di sculture capricciosissime; e con un casino di ricreazione posto fra' due giardini, si rende oltre modo riguardevole questa delizia, ora del mio Sovrano il Re delle due Sicilie. E perchè è ormai tempo, che io chieda congedo al gentilissimo mio Lettore, rimetto alla savia sua condotta di passare al convento de' frati Teresani, che sta a destra, per osservare la bell'architettura della chiesa fatta dal mentovato Vignola, ed ancora li due quadri ammirabili, uno di Guido Reni, e l'altro del Lanfranchi. E se poi passando da Viterbo vorrà portarsi a vedere la famosa villa Lanti, cognominata di Bagnara, ne riceverà sommo piacere: con che resto augurandoli ottima salute ed ogni felicità.

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